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sabato 7 novembre 2015

L'esilio di Robert Wyatt, di Francesco Pullè


“L’assenza è un assedio” scrisse un livornese con le carte in regola, ed una delle tante dimostrazioni dell’aureo assunto si ha censendo il sempre crescente novero di noi inconsolabili orfani di Robert Wyatt.

Da quando il vecchio barbuto marxista paraplegico si è ritirato, da quando quella che Sakamoto definì “la voce più triste del mondo” ha smesso di cantare, da quando il rigore dell’impegno politico e la ricerca senza compromessi dello straordinario sperimentatore si sono eclissati, il panorama musicale è sembrato immediatamente più arido e inospitale.

Questo 2015 ci porta però insperate consolazioni nelle vesti della doppia eccentrica antologia “Different Every Time”, che prevede un cd dedicato alla carriera solista e l’altro ad alcune delle sue innumerevoli collaborazioni (troviamo anche “Goccia”, bella traccia di Cristina Donà), dove onestamente si poteva scegliere di più e di meglio. 
Ma poi c’è l’omonima biografia (autorizzata) curata da Marcus O’Dair ed appena pubblicata da Giunti nella bella traduzione di Alessandro Achilli, piacevolissima cavalcata alla scoperta delle tante anime di Wyatt. 
Ecco allora sfilare il bipede batterista, all’ombra del patafisico mentore Daevid Aellen, colto ad esercitarsi in una rimessa della villa maiorchina di Robert Graves, alla vigilia delle soffici macchinazioni di cui sarà anima e cuore. 
A seguire i tempi della ruvida militanza RIO col supergruppo Matching Mole, agguerrito eppure capace di slanci melodici come “O Caroline”, bagliore riflesso d’un raggio dell’antica luna di giugno. 
E verrà la terrifica paresi soavemente sublimata in catarsi creativa “ex machina” e sacralizzata nel lampo immortale “Rock Bottom”, autentica pietra filosofale dell’intellighenzia musicale canterburiana. 
A chiudere un percorso artistico pressoché netto ci saranno gli ultimi eccellenti lasciti discografici, opere di un pacificato (ma non troppo) e venerato (mai abbastanza) maestro, dominati da quel “Comicopera”, sublime esercizio d’impossibile equilibrio tra cerebrale ed emozionale, che si aggiudicò meritatamente i riconoscimenti della più illuminata stampa musicale internazionale, e che ha anche il merito di aver fatto conoscere a tanti una composizione dei benemeriti C.S.I. di Giovanni Lindo  Ferretti (“Del mondo”). 
In mezzo a questo e tanto altro scorrono l’arte, la politica, la rabbia, l’umorismo, l’indignazione, l’alcol, le meditazioni, i fallimenti. La vita. E la compagna della vita: Alfreda “Alfie” Benge, coautrice di molte liriche e raffinata pittrice, le cui creazioni ritroviamo nel ricco apparato iconografico del libro.

Ma le sorprese non finiscono qui: lo scorso aprile l’icona del rock russo Boris Grebenshikov ha rilasciato il singolo “Stella Maris” che vede Wyatt contribuire con voce, tuba e cornetta. Ed è straniante e delizioso sentire l’irsuto iconoclasta arabescare un’icona mariana d’altissima spiritualità. 

Ora è legittimo sperare che quest’ultimo prezioso cameo preluda ad un ripensamento sull’esilio che ci possa regalare altre magie.
Lo so, I’m a believer… lo so, sto sognando, in volo tra le morbide ali d’una chagalliana colomba, proprio lì, tra le seriche nubi della copertina di “Shleep”. Non mi svegliate, ve ne prego!



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