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martedì 25 settembre 2018

OVERTURE: Overture, di Valentino Butti


OVERTURE: Overture
Autoprodotto    ITA   2018

Line up
Luigi Ventroni
Lead Vocals
Samuele Desogus
Guitars
Fiorella Piras
Flute, Vocals
Simone Meli
Keyboards, Background Vocals
Stefano Sanna
Bass
Simone Desogus
Drums, Percussion, Vocals

With:
Sara Cuzzupoli: Violin (3)

Track list
1.      Intro - 0:58
2.      Lux Et Ombra - 8:50
3.      Il Mendicante - 8:10
4.      A Deer In The River - 9:14
5.      Crop Circles - 13:28
6.      Ephesia's Chime - 9:05


Album d’esordio per il sestetto sardo degli Overture composto da Luigi Ventroni (voce), Fiorella Piras (flauto e voce), Samuele Desogus (chitarre), Stefano Sanna (basso, contrabbasso e synth bass) e Simone Meli (tastiere). Sei brani, due con liriche in italiano, tre con testi in inglese ed una breve introduzione strumentale, sono il biglietto da visita della band e del suo piacevole prog sinfonico che si pone a mezza via tra la tradizione italiana (ed inglese) dei seventies e quella più moderna che prevede, anche, sonorità più heavy. Sebbene il lavoro esca solo nel 2018, la band è attiva (con altro nome e line up differente) dal 2010 e gli stessi brani, prima di vedere la luce, hanno subito una lunga gestazione e, dai risultati, sembra ne sia valsa proprio la pena. La breve “Intro” anticipa uno dei brani migliori della raccolta “Lux et ombra” di quasi nove minuti:  aperture sinfoniche, cambi di “umore” strumentali, l’importante contributo del flauto a conferire un gusto retro al tutto, buone melodie. Ottima pure “Il mendicante”, con una lunga introduzione al pianoforte, che richiama alla memoria il pop-progressivo italiano degli anni settanta (il Banco in primis…) senza sfigurare affatto. “A deer in the river” è il primo dei tre brani cantati in inglese. Rarefatta e malinconica, chitarre acustiche e flauto, ritmica essenziale poi, intorno al quinto minuto, il brano esplode e c’è spazio per la chitarra elettrica di Samuele Desogus e per le tastiere di Meli oltre al flauto della Piras. Qualche perplessità, invece, è procurata dal cantato di Ventroni, sicuramente più a proprio agio con il cantato in italiano. Decisamente più rock, almeno nelle fasi iniziali, è “Crop circles”, poi i consueti sali-scendi sonori con fasi elettriche intercalate a momenti più riflessivi ed acustici. Ottimo il finale con i riff decisamente heavy della chitarra in cui si insinua il solito flauto. Chiusura in bellezza con “Ephesia’s chime” con i consueti chiaro-scuri elettrico-acustico che ci avevano intrigato anche in precedenza.

In definitiva un album promettente e soddisfacente, ben realizzato e ben suonato.L’unico appunto importante che ci permettiamo di evidenziare è la non felicissima idea del cantato in inglese, quando i testi in italiano (oltre che interessanti) sembravano adattarsi maggiormente alla voce di Ventroni. Vediamo che succederà per l’auspicato secondo album. Per il momento comunque promossi.

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