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sabato 27 giugno 2020

Compie gli anni Ettore Vigo...


Compie gli anni oggi, 27 giugno, Ettore Vigo, tastierista, compositore, fondatore dei Delirium (a seguire una bella intevista per conoscerlo meglio...)

Happy Birthday Ettore!
Wazza


Intervista a Ettore Vigo
Di Claudio Calzoni

​Oggi entriamo nella storia di una delle eccellenze italiane, la Musica.
Incontro il Maestro Ettore Vigo a Torino, in via Bertola, davanti al numero 34, sede ormai abbandonata della famosa casa discografica Fonit Cetra, una delle più grandi italiane, nata nel 1957 dalla fusione della Cetra, di proprietà della Rai e attiva sin dagli anni Trenta e la Fon.It. milanese, nata nel 1911. La Fonit Cetra è stata chiusa nel 1998 assorbita dalla Dischi Ricordi. Il Maestro, riconoscibilissimo, è un vero signore della musica, oltre ad essere un simpaticissimo amico. Quest’uomo è uno dei fondatori dei Delirium - uno dei più importanti gruppi musicali della scena del “pop” italiana - che qui, proprio qui, venivano ad incidere i loro dischi. La sede della Casa Discografica era in uno stabile dallo stile moderno, vicino al Palazzo della Luce, già conosciuto dai nostri lettori. Ora, uno dei luoghi in cui si è scritta, suonata e registrata moltissima musica italiana è occupato anche da alcuni uffici della Regione Piemonte. Il pensiero che all’inizio degli anni Settanta molti tra i più importanti e celebrati gruppi rock e pop frequentassero questi luoghi mi emoziona a dovere. Ammetto di non essere imparziale, ma la musica di quegli anni era per me, ragazzo, una vera fonte di crescita culturale. Del resto, molti dei brani pensati dai musicisti eccentrici, cappelloni e ribelli di allora venivano qui arrangiati da musicisti classici di chiara fama e registrati con la grande orchestra della casa discografica. Incontrare il Maestro, per me, è come incontrare un pezzo di Storia.    

1973: i Delirium al Bar Atù
dietro al banco Renzo Naso, che ha gentilmente concesso la foto

Conosciamoci meglio chi è il maestro Ettore Vigo? Ci racconti un po’ della sua storia.

Sono nato nel 1942 a Genova. Mia mamma era casalinga, mio papà ferroviere. Mi sono avvicinato presto alla musica, studiando il pianoforte. Poi la passione per il Jazz ha preso il sopravvento. Ho suonato in tutto il mondo, fondato il gruppo dei Delirium e frequentando la scena pop italiana sino ad oggi. Ora vivo in collina, ad Arquata Scrivia, nella pace della campagna. Compongo musiche, studio sempre e mi diverto con la mia splendida famiglia.

Ci racconta un po' di storia dei Delirium, il gruppo che lei ha fondato negli anni Sessanta e che è ancora in attività?

Ho iniziato a suonare per locali da solo, un repertorio di classici americani. Ma Genova è città di mare e nei locali arrivava forte il vento della musica brasiliana. Decisi di formare un trio, piano, contrabbasso e batteria, per poter suonare e comporre anche un po’ di samba e bossanova. La Genova musicale allora era una fucina di artisti, si viveva, si parlava e si faceva musica tutti assieme, per cui formare gruppi era all’ordine del giorno e gli impresari dei locali sapevano come farci impegnare al massimo. Nel lontano 1966 entrai a fare parte di un gruppo che dal 1962 si esibiva nelle balere e nei night della città: I Sagittari. Scoperti da Gian Piero Reverberi dopo qualche incisione con l’etichetta del mitico Natalino Otto, e l’ingresso del giovane Ivano Fossati, il gruppo cambiò il nome in Delirium. Arrivammo al successo con i dischi “Canto di Osanna”, “Jesahel”, “Haum” e l’album “Dolce Acqua”. Successo vero, interplanetario. Partito militare, Ivano decise di continuare la sua attività musicale come cantautore. Arrivato dall’Inghilterra nei Delirium cominciò a suonare il flauto ed il sax “il folletto” Martin Frederick Grice, e la nostra musica divenne “prog” a tutti gli effetti. Registrammo ancora due dischi, “Lo scemo e il villaggio” e “Viaggio negli arcipelaghi del Tempo”, che sono rimasti nella storia del “progressive” italiano.
Ora il gruppo si è riformato con la presenza di giovani e bravissimi musicisti, prendendo il nome di Delirium IPG (Italian Progressive Group). Nonostante l’età abbiamo ancora molte cose da dire musicalmente e il contatto con il pubblico è sempre piacevole.

Che cosa era la musica “prog”? Spesso si parla di eccellenze italiane nel mondo, quanto importante è ancora il “progressive” italiano nel mondo?

La denominazione Prog è nata nei paesi anglosassoni alla fine degli anni Sessanta, per definire un nuovo modo di fare musica, combinando vari generi come, pop, pop jazz, rock e anche classica e popolare, spesso utilizzando tempi ritmici dispari per «impreziosire» le armonie e le performance soliste. Spaziare fra i vari generi è ed è stato molto stimolante. Guardando la reazione del pubblico dei nostri concerti in Francia, Germania e Ucraina vi posso assicurare che il pop italiano è ancora seguitissimo in tutta Europa. Non per nulla i dischi originali dei gruppi italiani dei primi anni Settanta sono tra i più richiesti al mondo. La vera sorpresa però è stato il successo della nostra tournée in Giappone di due anni fa. Indubbiamente siamo stati trattati come delle star internazionali.


Nello specifico i Delirium hanno avuto successo e popolarità universale, ci può raccontare le sensazioni di quegli anni?

A ripensare adesso a quei tempi mi accorgo di come fosse normale vivere tra la realtà ed il sogno. Ci si muoveva tra uomini che sono poi diventati veri miti della musica italiana, si suonava e cantava con persone che nel tempo avrebbero raggiunto il successo. Nei Sagittari e nei Delirium oltre a me, suonava e cantava Ivano Fossati che poi ha avuto una splendida carriera di cantautore. Il batterista Peppino di Santo e il bassista Marcello Reale arrivavano dal gruppo di Nico Di Palo, che avrebbe poi suonato nei New Trolls. I Sagittari erano prodotti da Gian Piero Reverberi e Dino Cabano, il bassista, tentò la strada del cantante solista insieme a Lucio Dalla cantando “Il Cielo” al Festival delle Rose nel 1967. Sul palco di Sanremo, insieme a noi cinque e tra le donzelle del coro si vedono Oscar Prudente, autore della musica di “Jesahel” e Mario Lavezzi, che ci farà poi incidere una sua canzone, “È l’ora”, con testo di Mogol. Oltre alla musica la popolarità ci aveva portato perfino a fare le comparse in un film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Ancora oggi incontro persone che mi raccontano di come le serate Sanremesi del 1972 abbiano stravolto il loro rapporto con la musica, spesso con la poesia, con la cultura. Noi ci ispiravamo agli hippie, al movimento nuovo, pacifico e rivoluzionario che il vento del ‘68 aveva portato in Europa, intanto studiavamo musica, tempi ritmici diversi, strumenti sempre più complessi ed elettronici. 

Torino fa parte dei suoi ricordi?

A Torino venivamo spesso a suonare come Sagittari nei locali alla moda, come il Fortino e il Le Roy. In città, in via Bertola, aveva sede la nostra casa discografica.
La realizzazione del nostro primo album, Dolce Acqua, risale alla fine del 1971. La Cetra (allora non era ancora Fonit) era fornita di una sala di registrazione enorme, contenente due pianoforti a coda, un organo hammond B3, un organo a canne e altri mille strumenti. Si registrava però con un magnetofono da un pollice, cioè 8 tracce: base ritmica e piano, poi premixaggio e aggiunta di chitarre, premix e aggiunta di cori, premix e aggiunta di voci. Insomma, un gran lavoro manuale che ora viene fatto in digitale al computer e allora costava ore di lavoro certosino.  Qualche brano strumentale, come To Satcmo Bird and other friends (dolore), e Movimento I (egoismo), lo abbiamo registrato in diretta senza sovraincisioni, così come alcuni brani degli album successivi: troppo bello! Ricordo le manovre del fonico Danilo, quando doveva tagliare la coda o qualche rumore iniziale nei brani, faceva girare a mano il nastro e tagliava nel punto esatto, eliminava il difetto, poi incollava i due lembi del nastro con uno speciale adesivo (anche ora si fa copia e incolla, ma è molto più facile!) Insomma, Torino per me rimane una città in cui ho lavorato e vissuto molto e da cui, forse, non ho ricevuto abbastanza.

E Genova?

Genova è stata ed è ancora una fucina di talenti, in particolare, nel mondo cantautoriale e nel mondo pop e prog… citerei ad esempio New Trolls, Nuova Idea, Mattia Bazar, Museo Rosenbach, cantautori come Fabrizio De Andrè, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli e Bruno Lauzi. Specialmente tra le band, in quegli anni d’oro, c’è stata molta collaborazione, si suonava e si ascoltavano i nuovi talenti, le nuove tendenze della musica insieme, in particolar modo quella dei gruppi stranieri che inevitabilmente ci appassionava ed influenzava.

Nota dolente, il rapporto con Ivano Fossati.

Ivano era il flautista ingaggiato dai Delirium (allora ancora Sagittari) in un locale a Genova, il Crystie, locale frequentato da tutti gli orchestrali dei complessi cittadini, e quindi sede continua di jam session e scambi musicali. Suonava la chitarra, ma con il flauto riusciva a incantare il pubblico, ispirandosi chiaramente a Ian Anderson dei Jethro Tull. Aveva quel vocione da basso e quel fisico possente, e subito la sua immagine ieratica da trascinatore venne fuori, aiutata per altro da canzoni come Canto di Osanna e Jesahel, che lo vedevano protagonista assoluto. Era un ragazzo introverso ma pieno di talento e di voglia di scrivere e imparare. Aveva scritto buona parte dei testi dell’album Dolce Acqua, e la musica e le parole di Canto di Osanna e Jesahel, con l’amico Oscar Prudente. Musicalmente andavamo d’accordo e anche caratterialmente c’era una buona intesa. Dopo le notti di San Remo qualche cosa cambiò, un po’ di sua iniziativa, un po’ per “merito” della Fonit che, pensando di prendere due piccioni con una fava, cercò di convincerlo a tentare la carta del cantautore solista. Quando poi partì per il militare la collaborazione finì, i Delirium erano ormai famosi e dovettero continuare a suonare in giro per l’Italia assoldando un nuovo flautista. I nostri contatti sono ora molto sporadici.


Una curiosità, come è nato il nome “Delirium”

Come detto sopra, l’idea l’ha avuta il bassista, Marcello Reale, studente in medicina: il gruppo stava vivendo un periodo di euforica frenesia, così pensando al delirium tremens, scherzosamente, si decise di eliminare il «tremens».

La passione per la vita del musicista non è ancora passata?

Speriamo di fare più concerti possibile! Per noi Delirium il live è prioritario, specialmente in paesi esteri come Messico, Canada, Giappone. Nel frattempo, stiamo già pensando ad un prossimo album discografico, il materiale fortunatamente non manca e nemmeno l’entusiasmo. La passione, certo, non passerà mai!


Delirium ultima formazione

Bevuto il caffè nel bar di fronte, ascoltato il racconto di più di cinquanta anni di carriera musicale del Maestro, rimango incantato. Resta, quel palazzo, ormai svuotato di suoni, di armonie, di ritmi. Quanto è cambiata la musica in questi anni, quanto siamo cambiati noi e sono cambiati i gusti dei nostri figli? Allora, nei primi anni Settanta, comprare un disco nuovo era un rito magico, religioso. Si ascoltavano i lunghi brani poetici ed incalzanti, evocativi o provocatori e si analizzavano con gli amici, cercando inutilmente di farli capire alle ragazze. Bach, il Jazz, il Rock e la poesia si intrecciavano con i vestiti eccentrici, i capelli lunghi, le chitarre, il moog, il mellotron. Una generazione di musicisti ed ascoltatori che è durata per pochi anni. Restano il mito e quelle note, che negli anni sono diventate leggenda.
Ho salutato da poco il Maestro e non l’ho ringraziato abbastanza. Se ogni tanto sogno, certo, è merito di quella musica che mi è rimasta nel cuore.




martedì 23 giugno 2020

Compie gli anni Danilo Rustici

  
Compie gli anni oggi, 23 giugno, Danilo Rustici, chitarrista della prima formazione degli Osanna, con i quali incise i primi quattro album, macinando migliaia di chilometri tra concerti e festival, dal 1971 al 1974.

Dopo lo scioglimento del gruppo formò gli Uno, con Elio d'Anna e il batterista Enzo Vallicelli, con cui andò a Londra per registrare il loro unico album.

Il gruppo non ottenne grandi consensi, come sperato: Danilo Rustici ed Elio d'Anna, rimasero a Londra e formano un altro gruppo, i Nova, insieme al fratello Corrado e a Dede Lo Previte.

E poi il grande ritorno con gli Osanna di Lino Vairetti, in due periodi, 1978-79 e 1999-2003.

Grande sperimentatore dai potenti fraseggi chitarristici, da anni "fuori dal giro" per problemi di salute.

Happy Birthday Danilo!
Wazza


 Lino Vairetti-Voce,Tastiere
Danilo Rustici-Chitarra
Elio D'Anna-Fiati
Lello Brandi-Basso
Massimo Guarino-Batteria


 London 1973. Da destra a sinistra: Vince Vallicelli, Elio D'Anna e Danilo Rustici, ovvero gli UNO nel periodo in cui effettuarono le registrazioni del loro eponimo disco uscito per l'etichetta Fonit nel 1974 proprio nelle sale dei Trident Studios





OSANNA - sul set del "L'uomo del Prog" di Deborah Farina, i mitici componenti storici da L’UOMO a SUDDANCE - Lello Brandi, Enzo Petrone, Danilo Rustici, Massimo Guarino, Fabrizio D’Angelo e Lino Vairetti



Marcello Capra-"Aria Mediterranea", di Saverio De Chiara


Marcello Capra ‎– Aria Mediterranea 1978
Di Saverio De Chiara

Un disco bellissimo, quasi tutto in acustico per l'ex chitarrista della prog band italiana Procession.

Le chitarre di Marcello Capra si intersecano magistralmente e magicamente con i suoni degli strumenti degli altri musicisti ospiti (provenienti da Arti & Mestieri e Procession): flauto, basso, percussioni, violino.
La tecnica chitarristica del nostro è notevole, risente molto, anche delle accordature aperte, delle sonorità raga - metafisico - primitiviste dei Maestri americani: John Fahey e Robbie Basho.


Aria Mediterranea è a tutti gli effetti un album progressive con tutti i sacri crismi, cambi di tempo, armonizzazioni complesse, ricchissimo di melodie mediterranee, atmosfere oniriche baroccheggianti, qualche passaggio di musica minimale alla Philip Glass ed eleganti rifiniture jazzate.
Sound che dipinge alla perfezione l'incredibile bellezza del paesaggio mediterraneo con le sue forme, colori, profumi, sapori, lasciandoci in bocca, infine, un buon sapore e un meraviglioso senso di infinita leggerezza. 




lunedì 22 giugno 2020

Il 22 giugno del 1971 usciva "Blue", di Joni Mitchell



Usciva il 22 giugno 1971 "Blue", quarto album della cantautrice canadese Joni Mitchell.
Fu un grande successo, uno dei pochi esempi in cui pubblico e critica si trovarono d'accordo.
Nell’occasione Joni fu aiutata, tra gli altri, dagli amici James Taylor e Stephen Stills.

Un grande album malinconico e poetico, da molti considerato il suo migliore di sempre.
Nel 2003 è stato inserito alla trentesima posizione nella lista dei 500 album più importanti di tutti i tempi, compilata dalla rivista musicale Rolling Stone.
Ascoltare per credere!

Di tutto un Pop…
Wazza


(dalla rete...)

Ormai è fatta anche quest'anno. Per quasi due mesetti il bombardamento mediatico è stato impietoso: siate buoni, buoni da fare ribrezzo, e soprattutto comprate sempre più cianfrusaglie inutili. Siate buoni come il bambino dello spot del pandoro, con quella mascella deforme e con quel suo belato già impostato secondo i peggiori canoni sanremesi, usato per ricordarci più volte al giorno che è Natale e si può dare (o fare?) di più, più o meno come dicevano i suoi tre fratelloni Morandi Tozzi & Ruggeri, se non ricordo male. O buoni come la modella statuaria con il culo molto più espressivo del viso, che con accento da Stanlio e Ollio continua ad assicurarci che tutto è intorno a noi, purché si usi un certo telefonino. Rimedi non ce ne sono: è il Mercato, sacro e intoccabile, e non importa se l'invito a dilapidare tredicesime fa a cazzotti con l'esiguità, e a volte mancanza, delle medesime. Però sviluppare reazioni allergiche è ancora possibile. Quest'anno per esempio ogni volta che dal carrozzone dei venditori televisivi viene sparata una raffica di "Jingle Bells" da imbecilli coretti infantili, i miei nervi acustici la assorbono e la convertono in note di pianoforte analoghe, ma molto più distinte, intense e soprattutto molto più adulte. Note che suggeriscono un altro modo di aspettare Natale, desiderando un fiume ghiacciato su cui pattinare in libertà, forse per trovare il modo di ricucire un difficile rapporto con una figlia adottata e un po' trascurata

È l'introduzione pianistica natalizia di "River", uno dei tanti gioielli che fanno di "Blue" (1971) un disco storico, senza ombra di dubbio la vetta massima della fase acustica di Joni Mitchell e per molti il suo capolavoro assoluto. Personalmente preferisco la successiva svolta a base di raffinati apporti jazz, che ha il suo culmine nell'ineguagliabile "Hejira", ma è una questione di gusti. In "Blue" si alternano, fronteggiandosi in un'avvincente gara di bellezza, due grandi gruppi di canzoni. Uno è costituito da struggenti duetti tra il pianoforte e la voce di Joni, che a tratti raggiunge vertici di intensità e di passione quasi liederistici. L'altro da eleganti ballate acustiche in bilico tra stile West Coast e influenze latine, e qui giganteggia la chitarra di James Taylor, volutamente scarna, a volte metallica come un bouzouki greco, ideale complemento sia ai gorgheggi luminosi della voce di Joni che alle sue sfumature più ombrose e roche. Anche qui il livello è tale che le preferenze sono una questione di gusti: chi come me è classicomane e amante del pianoforte sarà portato a privilegiare le canzoni del primo gruppo, il che non toglie un grammo al valore delle altre. Tra le splendide "confidenze al pianoforte" che la voce di Joni ci regala, oltre alla già citata "River", spicca "Blue", una vera e propria poesia incorniciata da accordi delicati e affascinanti. "Le canzoni sono come tatuaggi" recita il primo verso, ed è una garanzia: una volta ascoltata rimane davvero indelebile nella memoria. In "My Old Man" è bellissima l'alternanza tra l'esplosione di felicità, con acuti da soprano, delle strofe più amorose, e la brusca sterzata malinconica del refrain ("Ma quando lui se n'è andato..."), con la voce squillante che in un attimo si adombra. "The Last Time I Saw Richard", vero dialogo in forma di canzone, sfrutta i registri più bassi del pianoforte e della voce per raccontare un amore finito nel tono più lucido e discorsivo possibile. Anche se i due temi "amore" e "libertà", con il loro contrasto spesso irrisolto, sono alla base di quasi tutte le canzoni, nelle ballate per chitarra tende ad imporsi la libertà, che si esprime nel bisogno di viaggi, di spazi estesi, il che è perfettamente in linea con la tradizione musicale della West Coast. Unica ma notevole eccezione "A Case Of You", dove la chitarra essenziale di James Taylor lascia il massimo spazio alla voce di Joni, che esalta da par suo lo stato di grazia di un amore totale, assoluto come un legame di sangue. Il culto del viaggio come simbolo di libertà è espresso fin dall'inizio, con l'insistente ripetizione della parola "travelling" nella brillante "All I Want", che ci prepara a fare un pieno di nuovi orizzonti da scoprire in "Carey" e in "California", non a caso le due canzoni più serene del disco, con i loro chiari colori latini. Ma "This Flight Tonight" spezza ogni illusione e, pur trattando di un viaggio, riporta in primo piano l'eterno dissidio amore-libertà con i suoi tormenti interiori, ben espressi anche da una musica piena di tensione. La chitarra di James Taylor, fin qui metallica e nervosa, si placa in "Little Green", un concentrato di tenerezza in grado di commuovere i cuori più aridi, una breve parentesi in cui il dolce verde della primavera per un attimo si impone sul colore cupo della malinconia, quel blu che non è affatto "dipinto di blu" ma piuttosto un blu notte, come quello della copertina di questo capolavoro poetico e musicale.

 James Taylor e Joni Mitchell-1971




domenica 21 giugno 2020

Il 21 del mese, giorno dedicato a Big Francesco...



21 giugno

" Non lasciate che il dolore

sia l’unico vincitore della vostra vita. "

(Jeff Buckley)



Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano!

Wazza


Un anziano incontra un giovane che gli chiede:

- Si ricorda di me? E il vecchio gli dice di no.

Allora il giovane gli dice che è stato il suo studente. E il professore gli chiede:

- Ah sì? E che lavoro fai adesso?

Il giovane risponde:

Beh, faccio l’insegnante.

- Oh, che bello come me? gli ha detto il vecchio

- Beh, sì. In realtà, sono diventato un insegnante perché mi hai ispirato ad essere come te.

L'anziano, curioso, chiede al giovane di raccontargli come mai. E il giovane gli racconta questa storia:

- Un giorno, un mio amico, anch'egli studente, è arrivato a scuola con un bellissimo orologio, nuovo e io l’ho rubato. Poco dopo, il mio amico ha notato il furto e subito si è lamentato con il nostro insegnante, che era lei. Allora, lei ha detto alla classe:

- L'orologio del vostro compagno è stato rubato durante la lezione di oggi. Chi l'ha rubato, per favore, lo restituisca.

Ma io non l'ho restituito perché non volevo farlo.

Poi lei hai chiuso la porta e ci ha detto a tutti di alzarci in piedi perché avrebbe controllato le nostre tasche una per una. Ma, prima, ci ha detto di chiudere gli occhi. Così abbiamo fatto e lei ha cercato tasca per tasca e, quando è arrivato da me, ha trovato l'orologio e l'ha preso.

Hai continuato a cercare nelle tasche di tutti e, quando ha finito, ha detto:

-Aprite gli occhi. Ho trovato l'orologio. Non mi ha mai detto niente e non ha mai menzionato l'episodio. Non ha mai fatto il nome di chi era stato quello che aveva rubato. Quel giorno, lei ha salvato la mia dignità per sempre. È stato il giorno più vergognoso della mia vita. Non mi hai mai detto nulla e, anche se non mi ha mai sgridato né mi ha mai chiamato per darmi una lezione morale, ho ricevuto il messaggio chiaramente. E grazie a lei ho capito che questo è quello che deve fare un vero educatore. Si ricorda di questo episodio, professore?

E il professore rispose:

-Io ricordo la situazione, l'orologio rubato, di aver cercato nelle tasche di tutti ma non ti ricordavo, perché anche io ho chiuso gli occhi mentre cercavo.

Questo è l'essenza della decenza. Se per correggere hai bisogno di umiliare, allora non sai insegnare.  

(Anonimo )
       

martedì 16 giugno 2020

MARONGIU & I SPORCACCIONI -Mulo de Paese, di Andrea Pintelli



MARONGIU & I SPORCACCIONI
“Mulo de Paese”
Di Andrea Pintelli

Eh già, il nome della band non lascia dubbi in merito; il titolo del loro terzo disco la dice lunga sulle loro intenzioni, poi confermate dai testi disimpegnati; cantare con fierezza le proprie canzoni in dialetto bisiacco (made in Gorizia e limitrofi) è un sigillo di appartenenza al popolo; suonare un blues-rock simil-cafone mischiato a riff ora alla Angus Young, ora alla Keith Richards (con tutto il rispetto per i due maestri citati) completa il quadro. Se poi vi capitasse di beccarveli live, in cui il leader e cantante Claudio Marongiu si esibisce in mutande (nessun riferimento a GG Allin però, ci fermiamo prima…) e offre alla folla (?) le sue imperfette ma vissute rotondità, capireste che questa operazione volutamente non seria ma incisiva, non è tutto e solo uno scherzo. Ossia, i ragazzi ci sanno fare, a dispetto del turpiloquio (chiamare un disco, il secondo, “Austria & Puttane” suona come una dichiarazione di guerra fredda con la parte perbenista e bigotta della società). Veneto e Friuli-Venezia Giulia, si sa, sono fra le regioni più cattoliche che abbiamo in Italia, immaginiamo come certa gente possa reagire nel sentire cantati certi concetti a loro lontanissimi; ma c’è verità e attualità in Marongiu, e questo forse non lo accetteranno mai. Il popolo vuole anche divertirsi e svaccare, ridere e urlare, bere e abbracciarsi: le storie raccontate da questo gruppo sono perfette in tale intento. Ora, chiaramente, ascoltando questa operazione di musica (hard) rock/folk/blues associata al cantato dialettale, viene in mente chi per primo ha portato questo genere in cima alle classifiche, riempito il Forum di Assago, arrivato fino allo stadio di San Siro per suonarci, ed è Davide Van De Sfroos; certo il Bernasconi ha puntato di più su visioni poetiche che sul divertimento puro, ma tant’è. Marongiu non ne è assolutamente un clone, sta solo ripercorrendo questo filone con la propria visione d’insieme, ma con un “pizzico” di follia in più, portando alle nostre orecchie un immaginario provinciale fatto di passione per le donne altruiste (!), pub e bar cattivi che profumano di seconde case, personaggi più che di persone di paese, storie per sorrisi a centosettanta denti, pacche sulle spalle e pugni in faccia, bottiglie di vino e fusti di birra offerti da amici in cinque secondi. Insomma, riassumendo, l’Italia verace che vuole continuare a uscire per far festa, senza mai mollare, quella che se ne frega di andarsi a confessare davanti a uno sconosciuto. 


Canzoni come le indiavolate “Mulo de Paese” e “Volpe Russa”, la country-oriented “Sio Buck”, l’hard-opening “Pronto a Guar”, la soffusa “Imbriaga”, la “buscaglionesca” e finale “Veci Nevrotici”, la dolce “Non Me Ricordo Più”, hanno sia dei belli arrangiamenti, segno questo che dietro c’è un lavoro di certo non approssimativo, sia dei testi che non sono mai banali, a dispetto di quanto detto poc’anzi. Insomma non si possono ascoltare solo King Crimson e Banco del Mutuo Soccorso, comodamente e giustamente seduti nella propria poltrona numerata o nel tepore della propria abitazione; a volte c’è il sacrosanto eretico ed erotico bisogno di mischiarsi agli altri, abbracciarli, magari dopo aver buttato giù qualche calice di bevande “sorridenti”, e urlare canzoni come fossero degli inni, saltando e sgomitando: in questi casi un disco di Marongiu & I Sporcaccioni o, ancor meglio, un loro concerto saranno perfetti. Io, che ho avuto e vissuto (pace all’anima sua) uno stupendo zio originario di Ciano del Montello (TV) ve lo posso assicurare. Non ci sono solo concetti cervellotici da affrontare; meraviglioso, sometimes, è non considerarli affatto, perché bisogna anche e soprattutto godere nella vita. In tutti i sensi possibili. Abbracci diffusi.


MULO DE PAESE
Marongiu & I Sporcaccioni
Boogie Records 2020

Claudio Marongiu – voce
Andrea Farnè – basso
Gioppi Bertossi – chitarra
Enrico Granzotto - tastiere
Michele Cuzziol – batteria






lunedì 15 giugno 2020

Nel ricordo di Keith Tippett


Anche il grande tastierista, pianista, icona del jazz inglese Keith Tippett ci ha lasciati... 

Famoso anche nel campo progressive, per aver fatto parte per un breve tempo dei King Crimson.

RIP.
Wazza

La notizia della sua scomparsa è stata pubblicata sulla pagina Facebook ufficiale del musicista:

Keith, uno spirito dolce amorevole, vivace, incredibile, ora riposa in pace. Le più sentite condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari.
Nato a Bristol il 25 agosto 1947, a vent'anni formò un sestetto che comprendeva Elton Dean al sassofono, Mark Charig alla tromba e Nick Evans al trombone. Il gruppo trovò un duraturo ingaggio al famoso locale 100 Club di Londra, che permise a Tippett di mettersi in luce e di pubblicare per la Vertigo Records un album nel 1970 ed uno nel 1971.


Divenuto protagonista (spesso con la moglie Julie Driscoll, incredibile soprano) della scena avantgarde inglese, formò nel 1970 la big band Centipede, che riunì insieme diverse generazioni di musicisti jazz e rock britannici.

Proprio la passione per il jazz, il rock e l'abilità nell'improvvisazione consentirono a Tippett di pubblicare, in cinquant'anni di carriera, oltre cinquanta dischi e di stringere numerose collaborazioni: in particolare con Elton Dean, Arthur Brown, Hugh Hopper e la band italiana composta di 20 elementi Canto Generale, ma anche con la televisione e il cinema.

Nel mondo del prog rock, genere da sempre molto amato dal tastierista, Tippett era noto per la sua militanza nei King Crimson: suonò infatti in tre album della band di Robert Fripp.






domenica 14 giugno 2020

Concerto per Demetrio



Sono passati 41 anni da quel concerto tenuto all'Arena Civica di Milano, il 14 giugno del 1979.

Un raduno di tanti artisti per sostenere le spese ospedaliere per Demetrio Stratos, ricoverato in America per una forma acuta di leucemia.

Purtroppo, Demetrio Stratos ci lasciò, proprio il giorno prima, e il concerto diventò un "epitaffio"!

Per non dimenticare…
Wazza
 Angelo Branduardi e Gianni Nocenzi (foto Renzo Chiesa)


 Concerto per Demetrio
Milano Arena Civica 14 giugno 1979 - Francesco Guccini


sabato 13 giugno 2020

Demetrio Stratos: era il 13 giugno del 1979


 Il cuore di Demetrio Stratos cessava di battere il 13 giugno 1979.

Non farò il solito "pippone" raccontandovi dei Ribelli, della grande innovazione chiamata "Area" (quello lo fanno altri in rete).

Vi chiedo di dedicare un'ora della vostra giornata al lavoro che Demetrio sviluppò parallelamente al gruppo, riguardo i suoi studi sull'uso della voce e sulla musica contemporanea.

Magari ascoltando "Metrodora" o "Cantare la voce"... Demetrio non era "solo" gli Area.

… per non dimenticare
Wazza


Ricordo di Mauro Pagani

A quarant’anni dalla scomparsa di Demetrio Stratos, Mauro Pagani condivide il ricordo di uno tra gli artisti più geniali della storia della musica italiana e internazionale sul numero 317 di Cultura Commestibile in uscita e online da sabato 13 luglio: “Aveva un piede nella modernità e l’altro nell’America del grande blues, più che nella tradizione greca, che ha recuperato più tardi – dice Pagani – .  Era capace di spaziare dalle collaborazioni con John Cage, alle grandi ricerche culturali sui lavori tradizionali greci di Donna Samiou, repertorio a cui anche io mi sono ispirato, ad esempio con l’inizio di Creuza de ma dove la gaida macedone è tratta proprio da un disco di Samiou”. 

Un ricordo ammirato, ma anche molto intimo: “Ci conoscemmo all’inizio degli anni ’70 nei locali milanesi e ci esibimmo insieme tante volte, ad esempio quando facevamo serata con la Premiata, che all’epoca si chiamava Quelli. Milano all’epoca era un epicentro culturale internazionale. Proprio a Milano, organizzammo insieme a Paolo Tofani un concerto costruito sulle comuni radici soul e rock’n’roll, di cui la Cramps pubblicò qualche mese dopo una registrazione di fortuna su un Revox col titolo di Rock and roll exhibition. Avevamo il progetto di un gruppo insieme e di una tournée: la prima data doveva essere al Palasport di Cantù. Ma poi Demetrio si ammalò”. “Tra le avventure più curiose che abbiamo condiviso – prosegue Pagani – , ricordo un festival a Cuba, il Festival della Joventù nel 1979, dove la Figc mandò un’intera delegazione con a capo Massimo D’Alema. C’erano Guccini, Pietrangeli, gli Area, il Canzoniere del Lazio e rappresentanze musicali di più di centocinquanta tra nazioni e movimenti di lotta provenienti da tutto il mondo. Mi ritengo molto fortunato perché nel corso degli anni ho collaborato con molte persone veramente interessanti da cui ho imparato un sacco di cose. Demetrio è sicuramente una di loro”. Una riflessione che offre spunti sullo stato di salute dell’industria discografica: “La progressiva scomparsa del supporto a favore della distribuzione ‘liquida’ della musica ha messo in crisi irreversibile i discografici. 

L’assottigliarsi dei compensi derivati dalla vendita dei supporti fisici sta facendo sì che il diritto d’autore sia ormai l’unica fonte di guadagno certo per gli autori ed è ovvio che questi cerchino di difenderlo ad ogni costo, anche se questo risolve solo in parte il problema. Produrre musica comporta lavoro di molti: fonici, arrangiatori, grafici e quant’altro. Il diritto d’autore tutela solo il compositore. E gli altri? È un problema non da poco, che però va affrontato”. “Ci sono scuole che sfornano fonici laureati che non troveranno più lavoro – va avanti Pagani – I musicisti, soprattutto gli esordienti, non hanno più budget sufficienti per pagare arrangiatori, bravi turnisti, buoni studi di registrazione.

 I dischi sembrano ormai diventati dei biglietti da visita per fare concerti e i dischi fisici si vendono ormai in massima parte solo ai giovanissimi, interessati perlopiù al firmacopie. I cantanti vengono fatti girare per un mese e mezzo per l’Italia per vendere album che i giovani comprano per avere sopra l’autografo dell’artista. Il resto del mercato boccheggia – conclude – Contro la gratuità proposta da Internet, non c’è strategia promozionale che tenga”.  




venerdì 12 giugno 2020

Compie gli anni Gennaro Barba, batterista degli Osanna


Compie gli anni oggi, 12 giugno, Gennaro Barba, dal 1999 batterista degli Osanna.

Oltre al suo impegno come musicista, Gennaro è direttore artistico dell'Associazione "Leemuseper - l'oro", associazione senza scopo di lucro che si prefigge di migliorare la qualità della vita, delle persone svantaggiate, in ragione delle loro condizioni fisiche, psichiche e sensoriali.

Happy Birthday "Genny"
Wazza

Forse non molti lo ricordano in questa esibizione del Festival di Sanremo del 1987 con i Walhalla!