sabato 9 novembre 2013

Gianni Sapia ricorda Lou Reed


Sentivo la radio in macchina qualche sera fa, sulla via di casa. Il tempo era grigio e appiccicoso e con lui il mio umore e la radio non mi aiutava. Programma noioso, musica noiosa. Ma forse non era colpa della radio, forse ero io ad essere noioso. Comunque l’irrequietezza del mio cervello ha fatto sì che l’indice della mia mano destra schiacciasse il pulsante per passare da radio a lettore CD. Allora ho iniziato a ridere, felice. Ero un bambino che era stato sgridato e a cui subito dopo era stata data la caramella più buona. L’intro di Sweet Jane versione Rock’n’Roll Animal riempiva l’abitacolo della mia Panda di coriandoli, fuochi d’artificio e zucchero filato. Aveva preso il grigio del mio umore e l’aveva dipinto dei mille colori della felicità. È una cosa che non dimenticherò quella mia gioia inattesa, quel mio ridere senza controllo. Ho sempre goduto ad ascoltare Lou Reed, ma quella sera ridevo proprio. Ancora una volta il caro Lou dava lezione d’emozione. Quella Sweet Jane lì, l’avrò sentita un milione di volte e ho vissuto un milione di emozioni diverse, perché il genio è così, sempre meravigliosamente uguale nella sua diversità, come l’alba, incoerente come un tondo con gli angoli, trasparente come un sogno, irriproducibile come un orgasmo, inarrivabile, come la sua genialità. E Reed è un fottuto genio! Come i suoi concerti, dove l’unica cosa uguale era lui, ma le canzoni le reinventava tutte le volte e ti ritrovavi immerso in quelle sonorità che la sua mente rielaborava e poi proiettava sul mondo e dopo un po’ ti ritrovavi a pensare che I’m Waiting for the Man o New York Telephone Conversation o Perfect Day o Lady Day o Walk on the Wild Side o Rock & Roll o tutto quello che lui suonava dal vivo, avresti sempre voluto ascoltarlo in quella versione e lui ora la stava suonando così proprio per te, perché lo sapeva che volevi sentirla fatta così, perché lui non suona per tutti, lui suona per ognuno. Lui dal vivo non riproduce le sue canzoni, lui le rivive, ne alimenta il fuoco che le rende dei capolavori. Dal vivo. Già. Sì lo so, Lou è morto, qualche giorno dopo avermi fatto ridere come uno scemo da solo, nella mia macchina. Ma non chiedetemi di scrivere Lou Reed era o Lou Reed è stato, perché Lou Reed è, o al massimo sarà. La morte era solo l’ultimo ostacolo che lo separava dall’immortalità. Lo sento e lo vedo dappertutto. Nel rumore del vento che si infila tra le montagne, tra le nuvole che si rincorrono nell’azzurro del cielo, tra le tristi lacrime di pioggia che quel cielo, prima allegro, ora piange, tra le rughe del volto di un vecchio, solchi di tempo vissuto, nel modo in cui una donna cammina, o parla, nello scintillare del sole sul mare, che ti abbaglia con la sua meraviglia, lasciando soltanto trasparire, con l’ironia del bello, quello che nasconde dietro la sua maschera blu. Lou Reed è vivo perché è parte della vita, perché è un elemento naturale, come l’aria, l’acqua, come le sue canzoni; storie di chi vive ai margini, o tra le stelle, storie in cui chiunque potrebbe imbattersi per poi dimenticare, ma che lui sapeva cogliere e raccontare, facendole diventare momenti unici, catturava la vita, come Renoir nei suoi quadri e Michelangelo nelle sue sculture. Le canzoni di Lou Reed sono facce di chi ha qualcosa da raccontare, immagini impresse sugli occhi di chi non guarda soltanto, ma vede, sono corde di chitarra suonate col plettro dell’anima. Il genio scorre tra le rapide del suo sangue amplificando di volta in volta la sua sensibilità, la sua magnificenza, la sua visionaria fantasia, ma anche il suo egocentrismo, il suo narcisismo, la sua presunzione, frutto della consapevolezza di essere un genio, di essere capace di respirare la vita, che gli fa dire “I’ll be your mirror, reflect what you are, in case you don’t know” o  “I’ve been set free and I’ve been bound, let me tell you people what I’ve found, I saw my head laughing, rolling on the ground, and now, I’m set free, I’m set free, I’m set free to find a new illusion” o ancora “Take me for what I am, a star newly emerging”. Il mio amore per Lou Reed non è stato un colpo di fulmine, una magnifica vampata destinata a spegnersi col tempo, il mio, anzi, il nostro è un amore che abbiamo costruito col tempo, concedendoci uno all’altro un po’ alla volta. Ricordo la prima volta che ascoltai una sua canzone, non ricordo quale, ma ricordo che pensai “sì, vabbè…” e niente di più. Ma il tarlo ormai era nella mia mente. Quel rock’n’roll così puro e scintillante aveva iniziato a scavare gallerie nella mia mente. Poi ascoltai Walk on the Wild Side, ne lessi il testo tradotto e orizzonti fatti di luce si aprirono nella mia mente. Iniziai a costruire il nostro amore e Lou mi riempiva di baci e di carezze e lo costruiva insieme a me, con pazienza, con devozione. Un amore costruito e non trovato dura nel tempo e può diventare eterno, come il nostro, perché lo conosci in tutte le sue pieghe, perché l’hai tirato su con passione, mattone per mattone. Sono passati giorni ormai dall’annuncio della sua morte, ma solo ora ho trovato il coraggio di cercare di imprimere su un foglio il mio dolore, perché, anche ora, mentre scrivo, mi sento inadeguato. Ho cancellato e riscritto queste parole non so quante volte, perché non mi sembra mai abbastanza, perché vorrei mettere insieme parole per formare frasi indimenticabili, perché vorrei che lui mi suggerisse cosa scrivere, perché vorrei che mi rassicurasse, che mi dicesse “tranquillo, sono ancora qui, la grande avventura è appena cominciata”, perché vorrei vederlo ancora con la sua chitarra appesa al collo… basta cazzo! Basta con le lacrimevoli intenzioni! Così rischio di fottere l’ironia, elemento fondamentale dell’universo di Lou. Ironizzare, dissacrare tutto, riappropriarsi della vita nella sua interezza e raccontarla per come è, non per come vorremmo che fosse, né favola né incubo, solo vita, semplicemente. Come semplice è il rock’n’roll. Perché il genio è rendere alle cose la loro primitiva semplicità, spogliandole di tutti gli orpelli della complessità con cui l’essere umano le adorna nel tempo. Parlare di tutto e di chiunque con uguale disinvoltura. Grazie allora Lou, per la musica che ci hai regalato, per le parole che hai scritto, ma soprattutto grazie per averci ricordato che siamo esseri umani, senza meglio né peggio, anzi, ognuno col suo meglio e col suo peggio. Poi basta, non c’è più tempo…

This is no time for celebration
this is no time for shaking hands
This is no time for backslapping
this is no time for marching bands
This is no time for optimism
this is no time for endless thought
This is no time for my country right or wrong
remember what that brought
There is no time






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