venerdì 6 marzo 2015

I Salici- “Sowing Light”, di Stefano Caviglia


I Salici
“Sowing Light

I SALICI:
Devid Strussiat (voci, testi, chitarre acustiche, e-bow)
Stefano Razza (batteria e percussioni)
Marco Fumis (chitarre elettriche, tar)
Marco Stafuza (mandola, viella, ghironda)
Simone Paulin (tromba, corno djambè, marranzano)
Stefano Rusin (basso elettrico, contrabbasso, basso tuba

La prima cosa che sorprende di questo gruppo sono alcuni degli strumenti che utilizzano per comporre e suonare le loro canzoni.
Il tar,  la viella, la ghironda, ecc. fanno nascere il “sospetto” che ciò che andremo ad ascoltare sarà qualcosa di molto particolare e originale, sarà una fusione, se vogliamo un’azzeccata contaminazione tra mondi musicali apparentemente lontani.
Sarà un viaggio.
Liriche in lingua inglese, ma per capire meglio e cercare di essere efficaci ho avuto la possibilità di utilizzare le note del booklet.
Quindi posseggo, un “condensato” che spiega il significato di ogni brano.
Il primo è “ Ocean’s Outschine”, che nelle sue note iniziali ci offre un’intro, che apre la porta ad una linea melodica caratterizzata dal dialogo tra la voce di Devid e Simone Paulin sostenuto da un struttura ritmica sempre presente ed efficace grazie al basso di Stefano Rusin e Stefano Razza alla batteria.
Le atmosfere sono molto aeree ed ampie e rendono bene l’idea del viaggio che i sei musicisti vogliono raccontarci.
Nel finale, e non sorprende, appare qualche richiamo/ “ricamo” psichedelico.
Il tutto ha il sapore di un’ampia armonia con la conclusione appena accennata di una chitarra acustica.
Il tema del viaggio viene ripreso in “Fernando”, una ballata dove spiccano ancora Paulin, la ritmica piuttosto incalzante e la  chitarra (Marco Fumis), in un pregevole  assolo.
I molti cambi di tonalità non compromettono la solidità del suono, e nel finale la tromba accenna anche  ad  un fraseggio jazzistico che trovo un po’ avulso dal resto dell’insieme.
“Wild one”: non trovo in questa canzone molti elementi pop, come dichiara lo stesso Devid, anzi la trovo molto articolata nel suo sviluppo; dalle prime battute evoca antiche atmosfere dei primi Genesis, soprattutto per merito di dolci arpeggi chitarristici; nella seconda parte il ritmo si fa incalzante, un 4/4 molto semplice, ma il cerchio viene chiuso prima da alcuni accenni prog ed un finale che rimanda all’inizio.
Continuo a sentire profumi di lunghi viaggi e la raffinatezza unita ad una grande eleganza vengono sempre più ad evidenziarsi.
“Got a clock”, intrigante brano, un po’ inquietante,  sembrerebbe estratto della colonna sonora di un film giallo, il ritmo dà l’idea di un pedinamento in qualche angolo buio di una città immaginaria.
Il tutto scandito dal tempo che scorre, “a clock”, che batte, a volte amico. ed acerrimo nemico in altre situazioni, in altri luoghi. Il tempo scandito dalle percussioni con un inatteso suono  del maranzano.
Volto pagina e quindi brano,”Young Heart be in Love Tonight”: per questo pezzo non utilizzo molte parole, mi ha preso sin dai primi accordi di chitarra acustica, mi ha fatto capire la capacità che hanno questi musicisti nel partire in maniera a volte soffusa, per svilupparsi e crescere, crescere ancora e spaziare in fraseggi mai scontati, e dare luogo ad un “volume di suono” molto avvolgente.
Bellissima “Round & Round”, dai suoni psichedelici - grazie alle chitarre di Marco Fumis - e dalle fantasiose ritmiche che fanno da sottofondo alla voce di Devid: è un brano che non mi stancherei  di ascoltare anche per il  finale il cui protagonista è un solo strumento. Confesso che non so quale sia!
Completamente diversa è l’allegra atmosfera di “Mariutta”, ballata allegra, vagamente country, con un basso tuba molto dixie… altra bella fusione.
Questa canzone dice che I Salici sanno anche raccontare storie allegre, vicende che potrebbero capitare a ognuno di noi donna o uomo, con un lieto fine.
L’amore può battere qualsiasi avversario quando è sincero.
Con “Bee Bop” ritorniamo nel territorio del rock più genuino, intenso, aggressivo, anche se non si capisce chi è l’avversario da aggredire; se vogliamo, una struttura abbastanza semplice, ma il dialogo tra chitarra e tromba, che volteggiano e volano sulla parte ritmica, compatta e potente, danno un tocco di ricercatezza, per nulla scontato, un’altra bella sorpresa.
Il finale è un grande crescendo che improvvisamente si tronca.
“Louther than so” è un esempio di come si può comporre un brano decisamente dolce, da ascoltare con gli occhi chiusi, senza essere melenso e sdolcinato; c’è tanto cuore specie nella fisarmonica che ci accompagna al finale.
L’ultimo brano, “Bardo Thodol / Bossanova”, credo meriti un discorso a parte, forse perché riassume molte delle emozioni che sono scaturite dalle canzoni precedenti.
Qualcuno, forse loro stessi, hanno definito questa pagina musicale “ambiziosa”.
Verissimo! Ma la voglia di ambire, di cercare, di provare, di sperimentare, rendono  questa band originalissima e molto raffinata.
Forse a volte si nota una ricerca eccessiva del dettaglio, che però denota anche un notevole coraggio, il non volere identificarsi in nessun clichè, che per qualcuno può rappresentare un confortevole rifugio, nella musica e forse anche nella vita, un po’ come coltivare il proprio orticello senza badare a ciò che succede intorno.
Vorrei sottolineare il finale, che in alcuni momenti mi ha ricordato “ San Jacinto” di Peter Gabriel.
Ho qualche difficoltà a trovare la conclusione di queste poche righe, vorrei essere originale come “I Salici”, ma non lo sono.
E’ difficile descrivere le emozioni, impossibile darne oggettività, chiudo dicendo molto semplicemente che  è stato bello scoprirli, scrivere di loro e ascoltarli con la dovuta attenzione e cercando di capire.
Sicuramente la varietà dei suoni e delle interpretazione nasce anche da un grande senso di appartenenza ai luoghi di origine.
Trovo molta naturalità in quello che suonano e che raccontano.
Cercando di essere spontaneo e naturale come loro, direi che… è stato piacevole scrivere di loro ed ancora più interessante ascoltarli e penso che lo sarà anche per chi li vorrà ascoltare.

                                 
BIO…
I SALICI nascono nel 2009 dall'incontro di sonorità psichedeliche (Strussiat, Fumis Paulin) con la musica medioevale del 1200 (Stafuza), musica che ancora oggi anima molti momenti delle performance live. Nel 2010 i Salici realizzano il primo EP come colonna sonora del documentario di AESON a cura di Alfio Di Lena. Nel 2012, entra nella band Stefano Rusin al e contrabbasso dopo un periodo di sperimentazioni live nutrito da fasi di ricerca in studio, pubblicano Nowhere better Than This place, Somewhere better than this place”, co-prodotto con Marco Beltramini, ricevendo entusiastici riscontri da parte di critica e pubblico.
L'attività dal vivo della band si intensificata e Stafano Razza si integra con le sue batterie.I SALICI si esibiscono in contesti prestigiosi quali Folkest, Imola in musica, Hysteria festival, Festintenda (come spalla per gli Ozric Tentacles), Pietrasonica.
Sul finire del 2013 iniziano le registrazioni di SOWING LIGHT che è stato bubblicato in Cd com e autoproduzione e in vinile per LINÈRIA a gennaio 2015.
Contemporanemente all’attività musicale I SALICI sono attivi nell’organizzazione del festival AESON ARTI NELLA NATURA, in campagne di sensibilizzazione attiva della sensibilizzazione del patrimonio naturale e della cultura rurale.





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