giovedì 19 maggio 2016

Nathan- “Nebulosa”, di Alberto Sgarlato


Nathan “Nebulosa”
(2016)
di Alberto Sgarlato

I savonesi Nathan sono una band che, tra vari cambi di formazione, tiene duro da oltre una ventina d’anni. E, innegabilmente, in questo lungo percorso, il gruppo si è tolto notevoli soddisfazioni: i Nathan hanno portato in giro su vari palchi i loro tributi, di volta in volta incentrati su nomi del calibro di Genesis, Pink Floyd, Peter Gabriel e Supertramp; hanno messo in scena in teatro delle eccellenti rappresentazioni di “Ovo” (dalla discografia solista gabrielliana) e “The Lamb lies down on Broadway”, assieme al corpo di ballo di Alessandra Schirripa; si sono esibiti con un’orchestra sinfonica, rileggendo non soltanto i classici genesisiani, ma anche brani di nomi come Yes e Kansas. Ma probabilmente, nel cammino dei Nathan, l’emozione più grande è stata quella di condividere il palco insieme a un nome come Richard Sinclair, “l’Anima” di due formazioni storiche come i Caravan ed Hatfield and the North e collaboratore occasionale dei Camel e di Robert Wyatt, con il quale hanno presentato live un emozionante excursus storico tra le note del rock di Canterbury.
A questo punto, per raggiungere la soddisfazione finale, mancava un solo tassello: dopo tanti tributi, un album di materiale proprio.
Ed ecco arrivare questo “Nebulosa”, intelligente e curatissimo album di progressive rock dalle mille sfumature e dalle molte anime.


La breve intro di “La notte prima” è affidata a bellissimi intrecci su tempi dispari di piano e sintetizzatori, che creano fin dalle note iniziali il giusto pathos sinfonico e cosmico al tempo stesso; ed ecco “Diluvio”, un arpeggio organistico di tipa scuola prog italiana, con un cantato decisamente particolare. Potrà sembrare strano ma l’impatto alle prime note della voce fa venire in mente un nome inaspettato: quello di Mino Reitano, autore che quando scriveva per altri aveva una mano ben più raffinata ed eclettica di quanto ci si potesse aspettare, e che godeva di un’ottima cultura rock, pur essendo ingabbiato in un personaggio pop che non gli apparteneva. L’inserto strumentale soft che arriva sui 2 minuti e mezzo circa, tra chitarre arpeggiate e synth melliflui, non può non ricordare i Genesis; il tema di tastiere si trasforma poi in un meraviglioso e ispirato solo chitarristico, fino al bellissimo crescendo strumentale finale che ricorda alcuni momenti di “Il fiume” de Le Orme.
La title-track, terza traccia del disco, avrebbe potenzialità di singolo radiofonico enormi. Una melodia vocale che entra in testa fin dal primo ascolto, un testo accattivante e una partenza chitarristica aggressiva di scuola quasi AOR, l’hard rock melodico americano, ben punteggiata da arpeggi di synth molto neo-prog. L’assolo di organo Hammond centrale, veloce e dalle trame imprevedibili, ci rammenta le frequentazioni canterburyane della band, ma con un’ulteriore sterzata verso la metà il brano si indurisce, lambendo i territori del metal-prog.
Resto qui” inizia riprendendo il tema iniziale dell’intero album, arricchito da una chitarra di matrice molto floydiana e da ottimi inserti di flauto. Ma dopo il primo minuto e mezzo, ecco riprendere forma robuste trame metal-prog, alternate con sapienza a momenti più delicati e intimisti. L’interpretazione vocale è una delle più intense e struggenti dell’intero disco, armata di una dolcezza che ricorda il grande Aldo Tagliapietra.
Dopo il breve inserto elettronico/space-rock di “Nel profondo” arriva “La coltre viola” e… quell’arpeggio di piano così vicino all’intro di “The Lamb lies down on Broadway” non può non evocarci i trascorsi come tributo genesisiano dei Nathan. I perfetti “languori” chitarristici che emergono sopra il piano, completano l’opera come giusto Hackett avrebbe fatto. L’intro flautistica di “A ferro e fuoco” ci porta addirittura al cospetto di un Epitaffio crimsoniano, prima di esplodere in un energico hard-rock giocato tra i riff della chitarra e dell’organo sporcato dal giusto grado di distorsione, mentre ancora la chitarra e il Minimoog si inseguono in duelli solisti. La sfuriata, però, dopo i 4 minuti e mezzo, ci porta a navigare dolcemente nel prog italiano più di vecchia scuola, tra sapori di Pfm e Banco, per poi risalire in un fiero crescendo finale. Un brano che, con i suoi oltre 7 minuti, si impone nel novero degli “highlights” del disco.
Il tempo dei miracoli” inizia per sola voce e pianoforte, con gli altri strumenti che entrano pian piano, quasi in punta di piedi. Con questa ottima traccia di oltre 8 minuti, i Nathan si inseriscono in grande stile nella nobile scuola del progressivo italiano degli anni ‘90/’90, che ci diede nomi del calibro di Arcansiel, Finisterre, Ezra Winston e Leviathan, ancora oggi ricordati con amore dai cultori del genere e qui molto ben evocati nel gusto e nelle atmosfere.
L’attesa” è forse il brano che, strumentalmente, si distingue e si ricorda per i temi più belli, ancora una volta con i Genesis, questa volta quelli di “A trick of the tail” e “Wind and wuthering”, che fanno capolino qui e là. Anche il testo e l’interpretazione vocale sono tra i più toccanti del disco, costruiti su un’altra di quelle melodie che ricorderete a lungo.
Il fiume sa” parte con un tempo dispari scandito con forza, di tipica scuola new-prog; questa è la traccia più vicina al progressivo melodico anni ’80 di gruppi come IQ, Pendragon e i primissimi Marillion. I ricami tastieristici centrali evocano persino il grande Keith Emerson, ma dopo il terzo minuto e mezzo cedono il passo a ricami chitarristici di impronta jazz-rock/fusion, per poi tornare nel tema dispari iniziale. E a metà del brano le ondate di Mellotron che sorreggono il costrutto armonico del brano, faranno scendere più di qualche lacrimuccia ai progster più nostalgici, mentre la chitarra sopra di esso ci delizia ancora con volteggi tra Pfm, Genesis e Yes. Il crescendo che ci porta verso il settimo minuto è mozzafiato, e culmina in un bellissimo cantato corale che potrebbe rievocare le migliori incursioni dei Pooh nei territori del rock progressivo. Finale epico, come si conviene a un brano che supera i 9 minuti di durata.
Comandavo il vento” si apre con l’arpeggio pianistico che abbiamo incontrato all’inizio dell’album, quasi a ricordarci che il disco sta per finire, con la chitarra che su di esso disegna linee melodiche realmente magiche. L’epico cantato, intenso e rabbioso, ben si sposa con la durezza del riff che lo accompagna. Le divagazioni strumentali di questo brano sfociano quasi in certo jazzrock, con un gusto molto attuale, sempre flirtando con il prog-metal. Ma il finale si apre, ritorna di nuovo più solare, regalandoci un altro tra i temi strumentali più toccanti ed emozionanti sul disco, mentre ci accompagna verso la conclusiva “Quando volo”. Quest’ultima, introdotta da loop di percussioni elettroniche dal sapore quasi etnico che ben si intrecciano con il piano, ci regala forse la più bella melodia vocale del disco. I Nathan sono liguri, e il cantato in qualche modo richiama qui la più nobile scuola cantautoriale genovese, in equilibrio tra Gino Paoli e Ivano Fossati. Il modo più commovente per finire un ottimo disco.


Doveroso, a questo punto, ricordare chi sono i Nathan che, nel perfetto amalgama sonoro di questo disco, dimostrano di aver trovato la loro miglior formazione di sempre: i componenti fissi sono Piergiorgio “PJ” Abba (tastiere), Bruno Lugaro (voce e basso), Fabio Sanfilippo (batteria) e Daniele Ferro (chitarre); Abba e Lugaro firmano anche la quasi totalità dei brani; come ospiti sono accreditati Marco Milano (pianoforte e co-autore in alcune tracce), Monica Giovannini (cori), Mauro Brunzu (basso) e Davide Rivera (flauto).

Dal punto di vista delle invenzioni melodiche e dell’eleganza stilistica, questo “Nebulosa” dei Nathan si farà ricordare a lungo tra le migliori produzioni di progressive rock di questo decennio, probabilmente non soltanto in Italia, ma anche a livello internazionale. Un’opera fresca, intelligente, variegata, dove mille influenze si fondono tra loro senza essere mai derivative ma, al contrario, sorprendendoci sempre con un caleidoscopio imprevedibile di prog, hard, AOR, fusion, pop, cantautorato raffinato e jazz-rock, perfettamente dosati in una ricetta dal gusto delizioso.






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