martedì 5 dicembre 2017

THE FORTY DAYS – “THE COLOUR OF CHANGE”, di Andrea Pintelli


THE FORTY DAYS – “THE COLOUR OF CHANGE” (LIZARD)
Di Andrea Pintelli

Sì, partiamo. Viaggio nell’uomo attuale. Viaggio allucinante: nelle sue paure, nelle sue sensazioni, nei suoi pensieri. Si vuole far sì che possa esistere un vascello per portarci in questo non-luogo di difficile esplorazione, ed è chiamato volontà. Con deflagrante urlo, il varo di questa nave ha il sapore della ricerca di un cambiamento di intenti, di voglia di (ri)nascita, di nuova coscienza. Un bagno di umiltà che porterebbe assoluti e progressivi (!) benefici. Fiducia: negli altri finalmente, ma soprattutto in noi stessi e il gioco si farebbe più colorato. Viviamo in tempi cupi, fatto di bianchi e neri, come se qualcuno avesse già pianificato l’involuzione della società, a discapito del benessere reale. Proprio a questo qualcuno dobbiamo far sentire la nostra voce, dobbiamo agire in fretta, cambiare appunto, e solo con la fiducia, per l’appunto, ci si muove per sconfiggere il grande buio. Certamente non si parla di semplicità, però tutti sogniamo: esistono, quindi, anche sogni non facili da affrontare. Lo è ancor più rapportarli al vissuto quotidiano, fatto di velocità, cambi improvvisi, scontri e riscontri. La nostra fermezza potrebbe aiutarci? No. Serve coalizione e comunione d’intenti. Cosicchè anche un incubo possa trasformarsi in fiore, da donare a chi si incontra, ora dimenticandosi dello specchio. Principio di gratuità. Ogni mano deve cercarne una altrui, costruendo una catena fatta di sensazioni positive, che possa condurci in un giardino fatto di soavi suoni, arpeggi celestiali, dove i timori possano sparire per lasciare spazio ai profumi dei sorrisi. Ognuno può qui dire e pensare ciò che vuole, il cambiamento passa anche, e soprattutto, dall’ascoltarsi. Distruggere l’individualismo, a favore dell’aggregazione. In questo luogo fatto di fili verdi e petali d’arcobaleno non esistono server, pc, telefoni, antenne. Niente di niente. Orpelli inutili banditi a favore del libero vivere nell’essenzialità. Sorpresa: si sta meglio. Si socializza senza social. Ah, che paura… iniziale, forse. Poi di colpo sparirà la solitudine, perché ci incontreremo e ci rincontreremo. Anche chi non ha dimora, chi vive spazzolato dall’aria fredda della notte, potrà trovare riparo dalle proprie paure, potrà sentir considerate le proprie lacrime, potrà essere giustamente importante. Come chiunque. Quindi i rifiuti scontati ben evidenti sui visi dei veri zombies, gli sguardi assenti delle persone che troppo di fretta si dimenticano di esistere veramente, le impronte lasciate da animali coi mocassini, non avranno più ragione d’esistere. Non è buonismo: trattasi di un tuffo univoco in una piscina fatta di tiepidi pensieri. Nonostante tutto e nonostante quasi tutti. Perché privarsi degli altri per la mera paura di conoscerli? Sarebbe gioia totale, tuttavia. I piani elitari di certi mass-media vorrebbero (de)finirci: a noi il dovere di finirli a nostra volta, applicando la tortura (per loro) peggiore, cioè l’indifferenza. Da qui verso la vera ripartenza. Noi, tutti noi, tutti, contro il vero nemico: non l’altro, non il nuovo, non lo pseudo-invasore, ma il conservatorismo, che negli anni ha acuito le distanze, imbrigliato le coscienze, annullato il dialogo. Signora Libertà, dove vuoi che ci troviamo? Dacci un forte segnale per la vivida strada che ci hanno fatto dimenticare. Portaci su quel sentiero d’erba e terra e pozzanghere che tanto apprezzavamo in età infante. Dacci da mangiare quei tuoni che ci permettevano di affrontare ogni sfida, piccola o grande che fosse. Ecco, sta a noi cercarla, ritrovarla, baciarla. La famiglia del colore, in un attimo, ci riporterà ad una condizione ideale di esistenza, in un attimo (perché anche anni possono essere un attimo) torneremo a brillare di luce intrinseca. La casa delle meraviglie riaprirà i battenti, scacciando i falsi miti e le incertezze fuorvianti, per farci accomodare sulle sue soffici poltrone di sottobracci affettuosi. E finalmente basteremo a noi stessi. Promesso. Che tutto questo sia stato suscitato dall’ascolto di una chitarra spaziale, che annienta il tempo e si diverte a viaggiare fra le dimensioni parallele? Che queste parole siano state provocate da una voce altisonante e romantica, mentre tastiere fantasiose e coloratissime fan girar la testa dal piacere? Che le nostre vere certezze possano filare fin su quei monti creati da una sezione ritmica granitica ma gentile? Io le risposte le ho trascritte dopo che il mio desiderio si è fatto uomo, voi cercatele in “The colour of change”, dei The Forty Days. Vi aiuterà senz’altro. Abbracci diffusi.


NOTE UFFICIALI

I The Forty Days vengono da Pisa e Livorno e si possono definire una band progressive rock, ma con evidenti contaminazioni art/rock, pop/rock e rock psichedelico. 
Le influenze principali sono Pink Floyd, Porcupine Tree, Steven Wilson, Marillion, David Gilmour, Calibro 35, Supertramp, Led Zeppelin e molti altri, in altre parole tutti quelli artisti che hanno provato a mischiare prog/rock/psichedelia con una certa componente melodica.
La formazione attuale del gruppo è attiva da settembre 2015, periodo dopo il quale la band inizia una discreta attività live e soprattutto a pensare seriamente alla stesura del primo album.

Questo disco è venuto alla luce nel 2017 ed è intitolato The Colour of Change: è un concept album che parla di situazioni, pensieri e paure di un uomo alla soglia dei 30 anni nella nostra epoca.
The Colour of Change, registrato all'Indiependente Studio di Edoardo Magoni a Putignano (Pisa), è frutto della collaborazione con la label Lizard Records.



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