giovedì 26 aprile 2018

Z-Fest 2018: commento e reportage fotografico di Max Rock Polis


Z-fest 2018 the symphonic edition - Legend club, Milano 23/03/18
Di Max Rock Polis

Ogni anno si riapre la diatriba: “a che numero di Z-Fest siamo?”. È qualcosa che lo stesso ideatore Fabio Zuffanti, bassista fondatore dei Finisterre e... si fa forse prima a elencare i progetti Prog in cui lui non abbia messo le mani in questi ultimi 20 anni, non sa dirci con esattezza. Vogliamo considerare la prima piccola edizione in quel di Genova qualche anno fa, oppure no?
Alla fine per mettere tutti d'accordo usiamo semplicemente il numero dell'anno in corso: Z-fest 2018. E il progster vive...

Già, ma che cos’è lo Z-Fest? Non è altro che lo “Zuffanti festival”, ovvero un ritrovo di artisti e appassionati che si svolge ogni anno al Legend club di Milano a fine marzo, dove gli intervenuti possono gustare un'intera serata (quest'anno più di 4 ore) di musica in chiave Rock Progressive, con artisti, gruppi esordienti scoperti e curati da Fabio, fino all'esibizione finale degli headliner in cui lui stesso partecipa.
Chiariamo subito una cosa: lui organizza, presenta, collabora, suona, ma non è assolutamente una serata concentrata su di lui, anche se alla fine è il personaggio più in vista. Per quanto lui sia al giorno d'oggi tra i più apprezzati e migliori direttori artistici che esistano nel Prog italiano, la protagonista qui è sempre e solo lei: la musica.
Il resto, tutto quello che ci gira attorno, alla fine è un corollario, quasi una scusa, anzi una garanzia che ci troveremo a passare una serata vedendo artisti di livello eccellente suonare musica a livelli che raramente capita di poter assaporare in una sola volta.

Ecco intanto il cartellone, che quest'anno per la prima volta prevedeva pure degli artisti stranieri: That Joe Payne, ISproject, Heather Findlay e Höstsonaten. Visti gli ospiti, il sottotitolo “the symphonic edition” appare già chiaro: tra solisti e il cosiddetto New prog ci sarà spazio per un ensemble di nove elementi.

Alle 21 lo spettacolo è aperto da That Joe Payne, vero nome Joe Payne, cantante dei The enid fino a un paio d'anni fa, che adesso si presenta come artista e compositore solista. Con molta emozione ci ha confessato che per lui questa è la prima volta in assoluto che appare sul palco da solo, tastiera e voce. Ecco spiegate le due incertezze, i due brevissimi stop con conseguente “oops” che lo hanno reso simpatico a tutti.



Le quattro canzoni da lui presentate sono “One and the many”, “Who created me?”, “Moonlit love” e da ultimo “I need a change”, il suo singolo di debutto da poco uscito. Pur nell'emozione abbiamo potuto ascoltare e gradire la sua capacità nel suonare piano e tastiera ma soprattutto nell'uso della voce, della vocalità con un falsetto sorprendentemente acuto e potente.

Poi è la volta degli ISproject, ovvero la coppia di artisti pugliesi Ivan Santovito e Ilenia Salvemini, che già conoscevo dall'anno scorso per il loro album d'esordio “The archinauts” per AMS records con la direzione artistica di Zuffanti (chi altri?). I due hanno cominciato prima da soli, lui alle tastiere e canto e lei al canto, eseguendo “Lovers in the dream” e “The mountain of hope” cioè la quinta e la sesta traccia del loro CD. Sono stati due arrangiamenti particolari, fatti apposta per un duo quasi acustico, con solo la tastiera a suonare.



Sapevo anche l'intenzione dei due IS di poter suonare dal vivo la loro creatura sia in duo che con una band dietro come da studio, e difatti per le restanti quattro canzoni “Ouverture”, “The architect”, “Mangialuce” e “Between the light and the stone” della performance (praticamente facendo tutto il resto dell'album meno un pezzo) sono saliti con loro sul palco Marcella Arganese alla chitarra elettrica, Daniele Sollo al basso e Paolo Tixi alla batteria (che tra l'altro è il batterista del loro disco) e hanno dato vita a uno show entusiasmante, meno intimista rispetto al duo ma carico di energia, bravura e spettacolarità. La migliore pubblicità possibile per l'acquisto della loro opera.

Prima del pezzo forte della serata, degli headliner Höstsonaten, è intervenuta sotto i riflettori la brava e bella Heather Findlay, ex cantante dei Mostly Autumn, per un paio di pezzi solo lei voce e chitarra acustica, per cullarci un po' prima del muro sonoro del progetto messo in piedi da Zuffanti una ventina di anni fa.


Verso le 23.30 ecco finalmente entrare in scena l'ensamble, formato oltre che da Fabio a basso e chitarra acustica e dai tre che prima avevano accompagnato gli Isproject, da  Luca Scherani alle tastiere e da un quartetto classico di tutto rispetto: Joanne Roan al flauto, Alice Nappi al violino, Gaetano Galli (oboista di “Sulle corde di Aries” di Battiato) all'oboe e Martin Grice (storico sassofonista dei Delirium) a sax e flauto.



L'atmosfera è quella giusta e fin dalle prime note si capisce benissimo quali siano le loro intenzioni: di stupirci ed emozionarci rovesciandoci addosso letteralmente una cascata di sonorità Progressiva e sinfonica. I nove sul palco non si sono risparmiati nello sfornare un'ora e mezzo di musica affascinante, complessa, energetica e d'impatto. Gli Höstsonaten sono un gruppo di tutto rispetto che fonde stilemi, strumenti e suggestioni classiche con un Prog d'autore ottimamente costruito ed eseguito, portando le architetture sonore e la musicalità a livelli altissimi, e non c'è niente di meglio per rendersene conto che sentirli dal vivo, dove non ci sono trucchi: tutto quello che viene fatto, o non fatto, balza subito in evidenza.
Certo il Prog sinfonico si può fare anche utilizzando solo le tastiere, ma la differenza con una vera sezione fiati e archi si sente eccome: il suono è più vero, più vibrante. più armonico e sentito. Tutto quello che abbiamo dovuto fare noi del pubblico, non molti causa imprevista concomitanza di altri eventi sportivi e musicali, è mettersi lì ad ammirare la bravura dei ragazzi sul palco mentre ci trascinavano via sulle loro continue ondate sonore, tanto da farci riflettere sull'opportunità e la bellezza di vedere questa formazione anche in sale più grandi del (non piccolo) Legend club, magari in teatri, in posti dove è più usuale sentire certi tipi di strumentazione e di musica.



In fondo si sono uniti a loro prima Payne poi Findlay, che hanno cantato a turno e in duetto altre canzoni offerta a noi dagli Höstsonaten. Alla fine non ci sono stati bis, ma nel locale si era già detto tutto il possibile, e soprattutto goduto ogni singolo momento dello spettacolo.

Come nota quasi a margine, visto che saperne il nome non aggiunge o toglie nulla a quanto visto e sentito, ecco la scaletta dei brani da loro proposti: "Season’s overture", "The sacrifice", "Zephyr", "Entering the halls of winter", "Edge of summer", "Towards the sea", "The rime... prologue", "The rime... part 3", "The rime... part 4" (questi ultimi tre pezzi ispirati da “The rime of the ancient mariner”).

Come ogni festival che si rispetti poi, anche se le note la fanno da padrone, non è stato solo questo il vero valore della serata. È stata anche un'occasione per persone come me che vengono da lontano (Roma) di ritrovare un sacco di vecchi amici e farne dei nuovi. Così, tanto per citarne alcuni, oltre ad avere finalmente conosciuto Joe, Ivan ed Ilenia di persona, come fu l'anno scorso con Stefano Agnini, Andrea Dal Santo, Stefano Marelli, quest'anno mi sono ritrovato ancora assieme a grandi amici come Mox Cristadoro, batterista leader dei Christadoro che per malasorte non poterono suonare lì un anno fa, come Andrea Orlando, batterista dei Finisterre che suonarono l'anno scorso, come Francesco e tutti i ragazzi dei Cellar Noise, che pure suonarono qui nel 2017.
Me ne sono andato via, devo dire con molta soddisfazione, con il mio pacchetto di libri e CD presi ai banchetti e autografati dagli amici artisti presenti, perché sostenere chi fa musica con passione a questi livelli è doveroso, oltre che piacevole per quello che poi ci si ritrova in mano e nello stereo ad ascoltare.


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