martedì 16 aprile 2019

Light In The Sky-“Revolution”, di Gianni Sapia

Light In The Sky-“Revolution”
Di Gianni Sapia

Pensavo a quello che ero. Ci pensavo davvero. Ma non mi ricordavo. O per meglio dire non mi inquadravo, nel senso che non riuscivo a darmi un contorno, era sempre tutto così brado, senza cornice e senza continuità, tutto frammentario, caotico. Rivoluzionario, inevitabilmente. Perché la rivoluzione non è necessariamente lo stravolgimento del potere per mano del popolo, la rivoluzione può essere anche personale, interiore. 


La rivoluzione può essere solamente la strada che camminiamo per arrivare ad essere quello che siamo. La rivoluzione è la necessità di cambiare sulla base dell'esperienza ed esserne consapevoli. è una questione di spazio più che di tempo. è senza confini e può durare un secondo, come dieci anni. E sono circa dieci gli anni di note dal vivo, che hanno portato i Light in The Sky a partorire il loro primo album, “Revolution appunto. Un disco che ha nelle sue vene il sangue del rock, quello chitarra-basso-batteria, ma che non nasconde sfumature punk, new wave, dark e forma teatrale.

Si comincia in mezzo alla strada, cercando di sintonizzare la radio con Where are you e poi si parte, letteralmente. Taxi Driver entra lentamente tra le spire del cervello e poi si gonfia di basso e batteria e regala passaggi teatrali, che tengono accesa la vena di follia. Mantiene un legame saldo col pezzo precedente (It's Just a) Burning Life pur disgredendo maggiormente verso sonorità Clash, che ti fa venir voglia di dar loro abbastanza corda. La nostalgia vince, come spesso le accade in questi casi, dentro Lucrezia, classica ballata rock che in un disco simile non può mancare. L'umorale Lovely Cash getta la maschera di ulteriore ballata quando le vibrazioni della chitarra distorta ti riempiono i padiglioni auricolari e poi continua così, rimbalza, tipo pallina del flipper. La sesta traccia si intitola come la band ed è un'altra ballata dal sapore più epico della precedente. Più "ruffiana" mi verrebbe da dire, più approcciabile. Anche Idea conserva una linea melodica simile alle precedenti, godendo però di un crescendo sonoro, che le regala un'energia che da accennata passa ad essere predominante, salvo terminare con squisita dolcezza. è la spensieratezza invece, ad accompagnare, per tutta la sua durata, Summertime e non poteva essere diversamente, visto il titolo. Pezzo proprio godibile. The Hare è un brano cantato e recitato, che non lascia nulla di intentato e scatena la parte goliardica dei LiTS, che sembrano divertirsi un bel po' a suonarlo, denotando una capacità tecnica davvero di ottimo livello. In The Mountains inizia e ti spacca la mascella, colpendoti con violenza, poi ti fa respirare un attimo e poi colpisce ancora. Potente, corposa, succosa, urlante. E anche un po' metallara con assolo godereccio. Angel of Light riapre le porte alla melodia, a sonorità più edulcorate. Ancora una ballata, da naso all'insù, per contare le luci nel cielo. Praticamente alla fine, arriva la Title Track, canzone acustica impattante come se fosse elettrica, misteriosa, sognatrice, dominante, ritmata come se fosse africana, epica come se fosse americana, intimista come se fosse europea, cosmopolita, bella come se fosse Revolution. Si chiude con il recitato di Diamonds in the Rough. No, Please no, ti viene da dire, ma il disco è proprio finito. 

Revolution, il primo album dei genovesi Light in The Sky, ovvero Lorenzo Vassallo, chitarra solista e voce della band, Teodoro Chighine, batterista e Tony Randello bassista, con l'aggiunta del chitarrista ritmico Massimo Cartagenova, è un album godibile dall'inizio alla fine, che richiama alla mente sonorità rock anni settanta, ma anche colori di quanto sentito negli anni ottanta. Un album variopinto per dirla tutta, che raggiunge una sua consapevolezza attraverso il proprio percorso rivoluzionario, tanto che adesso, se dovessi riscrivere questo pezzo, non comincerei più con "pensavo a quello che ero". Dopo la rivoluzione avrebbe più senso "pensavo a quello che sono".


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