mercoledì 21 agosto 2019

UNA CONVERSAZIONE CON PETER FONDA, DI EZIO GUAITAMACCHI



MEMORIE DI UN EASY RIDER: UNA CONVERSAZIONE CON PETER FONDA

Un ricordo di Captain America a pochi giorni dalla scomparsa: era il 2009 ed Ezio Guaitamacchi intervistava Peter Fonda per gli allora quarant'anni di "Easy Rider"
Dieci anni fa, per la nuova edizione del mio libro Figli dei fiori, figli di Satana, ho avuto un lungo incontro con Peter Fonda che mi aveva dato l'autorizzazione a usare quella piacevole conversazione come postfazione di quel libro. Oggi, a pochi giorni dalla scomparsa, ho riletto l'intervista e mi sono reso conto di quanto le sue idee e i suoi pensieri siano sempre di attualità e, per certi versi, di esempio.
Addio "Captain America", take it easy.

* * *
 
"Sembra un ragazzino.
Capelli lunghi, basette, occhiali da sole, jeans e maglietta, Peter Fonda, a 69 anni suonati, appare e si comporta quasi fosse ancora l’ultimo rampollo di una delle dinastie reali di Hollywood: un piccolo ribelle, stravagante, scapestrato ma molto simpatico, amico dei Beatles e fan dei Byrds, che fumava marijuana in pubblico e non faceva mistero di sperimentare nuovi stati di percezione sensoriale. Un personaggio controverso che, però, per molti, è ancora una delle icone più seducenti della controcultura degli anni ‘60.
Magro, tonico e sorridente, Fonda sembra davvero in gran forma (“è tutta apparenza …”, commenta in modo autoironico, “vedi qui? Ho due belle placche nelle ginocchia, triste ricordo di un incidente in moto”). Già, la moto …
Quella Harley Davidson Electra Glide sulla quale posa per la felicità di fotografi e operatori tv non può non farci venire in mente Wyatt / Captain America, il personaggio che interpreta in “Easy Rider”, il film che ha cambiato la storia del cinema. E che, sicuramente, ha condizionato l’intera carriera artistica di Peter Fonda e, forse, la sua stessa vita.

A 40 anni di distanza, cos’è stato per te “Easy Rider”?

Confesso che, all’inizio, l’enorme successo di Easy Rider è stato quasi imbarazzante, per certi versi addirittura fastidioso. Non era solo il pubblico a identificarmi con Captain America.
Gli stessi registi o produttori mi offrivano ruoli che erano, di fatto, tagliati su misura per quel personaggio.
Col tempo, ho capito e accettato che quanto si percepiva era legato all’importanza che “Easy Rider” aveva avuto. Non solo.
Finalmente, non ero più il “figlio di Henry Fonda” o “il fratellino di Jane”: anche se, per tutti, ancora non ero Peter Fonda ma … Captain America.
Nella realtà, Wyatt / Captain America e Peter Fonda sono due identità separate. È vero che ho inventato io il personaggio, che ho scritto la storia, che ho dato lo spunto per disegnare le moto e i costumi e che c’è molto di me nel modo di fare e di pensare di Captain America, però io sono una persona diversa che oggi, 40 anni dopo, è orgogliosa di aver dato vita a un film che ha cambiato la storia del cinema e (forse) del modo di vivere di più generazioni.
Pensa che, secondo l’American Film Institute, la più prestigiosa delle istituzioni americane sul cinema, “Easy Rider” è uno dei 100 film più importanti del 900. È al numero 88 di questa specialissima classifica …

Nonostante l’incredibile successo del film, non hai mai voluto farne un sequel … E, credo, te lo avranno chiesto in molti …

Già, ecco il vero motivo per cui ho voluto far morire i protagonisti alla fine della storia (ride …). Prova a pensarci: come fai a ripetere un film del genere? Come fai a dargli un seguito? Dopo un successo tale, la critica ti aspetta con i fucili spianati: qualsiasi cosa tu faccia, viene paragonata all’originale e ne esce sempre sconfitta.
Semmai, oggi (40 anni dopo), avrebbe senso riprendere lo spirito di “Easy Rider”, inventandosi altri personaggi per verificare cosa significhi per loro attraversare l’America nel nuovo millennio. Credo che sarebbe interessante e, forse, porterebbe allo stesso tipo di domande e riflessioni fatte per il film originale: cosa sta succedendo oggi al nostro paese? Cosa è diventata l’America? Solo perché oggi gli Stati Uniti hanno un presidente afroamericano significa che il razzismo è finito? No … solo perché la maggior parte degli americani è contraria alla guerra in Iraq significa che verranno ritirate le truppe? No

Verso la fine del film, Captain America pronuncia una battuta enigmatica … “we blew it”, dice, (abbiamo sprecato un’occasione) … cosa significa esattamente quella frase?

Non te lo dirò mai… anche se posso svelarti che quella battuta è la prima che ho scritto per il copione di “Easy Rider”. Era il 1967 e mi trovavo a Toronto, in Canada, per promuovere un altro film (“The Wild Angels”, di Roger Corman). Quando ho iniziato a scrivere lo script di “Easy Rider”, ho deciso di cominciare dalla fine. Ho pensato: sarebbe bellissimo raccontare il finale di una storia di due ragazzi che attraversano in moto l’America, partono con grandi intenzioni ma si devono rassegnare a quella che è la realtà dei fatti. E alla fine, decidono di ritirarsi. Ma quella parola, ritirarsi o più in generale, “andare in pensione”, non appartiene al mio vocabolario. Neanche a quello della mia vita privata.
È allora che Captain America si rende conto di qualcosa di importante che riguarda il personaggio o, più in generale, l’intero paese. Il commento è: “we blew it”, abbiamo buttato al vento un’occasione… e può voler dire moltissime cose. Ad esempio, può significare che, nonostante tutto ciò che rappresenta lo spirito di cambiamento contenuto in “Easy Rider” (la ricerca di un’identità e di uno stile di vita diverso) il paese è rimasto quello di un tempo o è persino peggiorato. La cosa è inquietante se la stessa riflessione la facciamo osservando il mondo odierno. Basta guardar fuori dalla finestra per rendersi conto del livello di inquinamento delle nostre città, della crisi economica, lo stress della gente, le guerre nel mondo, la prevaricazione della finanza, l’arroganza delle multinazionali: cose assurde, che dovremmo combattere con tutte le nostre forze. Non solo: dobbiamo, purtroppo, avere la consapevolezza che la società americana ha provocato tragedie vere in tutto il mondo.
E di questo, noi americani, dovremmo vergognarci.
Io, me ne vergogno …

Easy Rider è anche famoso per la sua fantastica colonna sonora. È vero che durante le riprese del film avevi la tua 12 corde con te e che era tua intenzione usare le canzoni che avevi composto come colonna sonora del film?

È vero che, quando posso, porto sempre la mia chitarra con me ma, ad essere sincero, non ho mai pensato di usare la mia musica e le mie canzoni come colonna sonora del film. Piuttosto, io e Dennis Hopper abbiamo messo insieme le nostre rispettive collezioni di dischi e cominciato a selezionare i brani. Devo dire che la scelta dei pezzi e l’accoppiamento degli stessi con le diverse scene dei film è stato un lavoro svolto prevalentemente da Hopper.
Ed è stato fatto da dio. Persino i miei amici Crosby, Stills & Nash mi hanno detto che non avrebbero saputo fare di meglio. Persino Robbie Robertson (il chitarrista di The Band, che avevamo interpellato prima di tutti, prima ancora di aver scelto le canzoni e che ci aveva letteralmente snobbato) dopo aver visto il film con la selezione dei brani musicali è rimasto di sasso. “Voglio fare io tutta la colonna sonora”, ci ha detto, entusiasta. Ma ormai era troppo tardi.
Ripensando anche al mio ruolo di producer, ricordo le preoccupazioni, le difficoltà nell’ottenere i permessi, il casino nel mettere tutti d’accordo: gruppi, artisti, manager, avvocati, discografici.
Poi ho avuto un’idea: perché non fare dei piccoli screeening, delle visioni private riservate ai musicisti di cui avevamo scelto i pezzi per la soundtrack? Abbiamo cominciato con gli Steppenwolf e The Band.
Sono venuti in questa minuscola stanza di proiezione presso gli studi della Columbia. John Kay, il leader degli Steppenwolf, stava seduto (serissimo) con questo paio di Wayfarer neri che non si toglieva mai, nemmeno a film iniziato… con quegli occhiali sembrava Roy Orbison che, anche lui, non se li levava ma perché i suoi erano occhiali da vista… mi sono messo alle sue spalle per cercare di sbirciare se quelle lenti fossero graduate.
Alla fine, Kay si gira verso di me e mi dice: “Peter, il film è in bianco e nero o a colori?”.
Non sapevo che fosse daltonico …
“E’ a colori, John …”
“Peter, fallo vedere ai russi in bianco e nero: li manderai fuori di testa …”
“Volete altro materiale?”, mi ha chiesto il manager degli Steppenwolf, entusiasta del film e del modo in cui le canzoni della sua band erano state inserite.
Devo dire che un po’ tutti gli artisti hanno avuto reazioni positive simili, rendendoci orgogliosi del lavoro svolto.
Jimi Hendrix, ad esempio, mi ha chiamato da Londra e mi ha detto: “Ti voglio ringraziare per aver scelto un mio brano per il tuo film”. Dopo la sua morte, Al Hendrix (il padre di Jimi) mi ha mandato una lettera per farmi sapere quanto a Jimi aveva fatto piacere essere parte del progetto “Easy Rider”.


Billy, il personaggio interpretato da Dennis Hopper, ricorda moltissimo (nel look) David Crosby: giacca a frange, capelli lunghi, baffoni… Crosby è stato una fonte di ispirazione importante?

David Crosby e Graham Nash sono miei grandi amici. Sono stati, entrambi, fonti di ispirazione importanti per la mia vita e non solo per “Easy Rider”: sono dei veri signori oltre ad essere artisti stratosferici.
Detto ciò, il look di Billy non ha niente a che fare con quello di Crosby. Sono stato io che ho suggerito a Hopper di farsi crescere i baffi. “Anche se sei castano chiaro, devi provare ad assomigliare il più possibile al Che Guevara”, gli dicevo.
La nostra idea, infatti, era quella di rappresentare due “rivoluzionari” e il Che, per noi, era la quintessenza della “rivoluzione”.
Inoltre, “Easy Rider” cercava di dimostrare che bisogna andare oltre le apparenze. Quella degli anni ‘60 era un’America estremamente bigotta: se avevi i capelli lunghi e i baffi o eri vestito in modo eccentrico venivi considerato un hippy, un sovversivo, un gay, un comunista … e rischiavi la vita. Come dimostra il finale del film.
Purtroppo, anche se in modi diversi, nel paese c’è ancora troppa intolleranza. E abbiamo ancora molto da fare per proseguire nell’evoluzione del nostro senso civico.

È vero che a Bob Dylan non era piaciuto il finale tragico del film?

Innanzitutto, Dylan non ci ha lasciato il permesso di usare la sua canzone “It’s Alright Ma (I’m Only Bleeding)”: diceva che non gli piaceva la sua parte di armonica, che non andava bene quella cosa e quell’altra… insomma, non è stato per niente collaborativo…
Gli ho voluto parlare da amico perché, per me, quella canzone era molto importante. Gli ho spiegato che c’è una strofa, nel pezzo, che per me assume un significato particolare. È quella che recita:

Suicide remarks are torn/ From the fool's gold mouthpiece/ The hollow horn plays wasted words/ Proves to warn/ That he not busy being bornIs busy dying
“le recriminazioni di un suicida sono strazianti / dal bocchino dorato dello strumento a fiato dello stolto / escono parole senza senso / che dimostrano soltanto che lui sta avvisando tutti che / non è impegnato a nascere, ma è impegnato a morire”

“Forse non lo sai Bobby”, gli ho detto, “mia madre si è suicidata quando avevo 10 anni… si è tagliata la gola, da un orecchio all’altro… capisci perché ho bisogno di quel pezzo? Rende ancora più realistico il racconto del film…”. Addirittura, gli ho ricordato che Hopper (nella scena del cimitero di New Orleans) mi aveva costretto a parlare di mia madre …
Bobby è rimasto di stucco: non era preparato a sentirmi parlare in quel modo, a ricordare in modo così crudo un avvenimento tragico che aveva devastato la mia vita.
“Ok Fonda, mi hai convinto”, mi dice Dylan, “fammi però aggiungere una cosa: non mi piace il finale del film, me lo lasci completare?”
Cavolo, in quel momento ero io quello che non era pronto a una proposta del genere …
“Cos’hai in mente, Bobby?”
“C’è la strada che l’uomo costruisce”, dice lui, “e c’è quella che costruisce Dio. Ecco quel che succede …”.
Poi, prende un foglio di carta e inizia a scrivere l’inizio di The Ballad Of Easy Rider.
Dylan appunta una frase su quel foglio:
The river flows / It flows to the sea / Wherever that river flows that’s where I want to be/
“Il fiume scorre, scorre verso il mare, da qualunque parte quel fiume intende scorrere è là che vorrei essere”
Mi ha regalato una canzone magnifica, piena di poesia per il finale di un film che è stato un pugno in pieno petto.
Ho chiamato Roger McGuinn e lui ha aggiunto la frase:
All that wanted was to be free / And that’s what it turned out to be
“Tutto ciò che volevano era essere liberi / ed è proprio quello che sono riusciti ad avere”
Una notte, al bar, io e McGuinn abbiamo fatto quadrare il pezzo la cui musica accompagna i titoli di coda lasciando un commento sonoro romantico a un film che ha entusiasmato il pubblico, lo ha divertito, lo ha fatto sognare e poi lo ha colpito nelle parti basse con un finale tanto scioccante quanto inatteso: una musica poetica, quasi spirituale, che ancora oggi credo sia stato il modo migliore di chiudere quell’opera.


Easy Rider vede il debutto cinematografico di tua figlia Bridget, giusto?

Sì… (ride) e anche di mio figlio Justin… Sono i bimbi che fanno parte della “comune” nel New Mexico ispirata alle due più celebri dell’epoca, la New Buffalo Comune e la Hog Farm di Wavy Gravy. Quella delle “comuni” è stata un’esperienza importante: voleva dire mettere a disposizione degli altri il proprio lavoro, le proprie cose, persino i propri affetti. Chi faceva parte di una “comune” di quel tipo, isolata e immersa in uno stile di vita rurale, veniva dalla città: non aveva idea di cosa volesse dire far crescere piante e ortaggi, accudire gli animali, realizzare utensili e mobili, aggiustare tutto ciò che serviva per la vita di tutti i giorni. E questo ha, spesso, comportato disagi e problemi. Così come alcune concezioni errate di quel modo di vivere hanno portato al veloce disfacimento di quegli esperimenti sociali alcuni dei quali però (come le due “comuni” già citate così come i Merry Pranksters di Ken Keasy o i Diggers di Emmet Grogan e Peter Coyote a San Francisco) sono stati davvero rilevanti perché hanno dimostrato la possibilità di mettere in pratica uno schema di vita davvero alternativo, oserei dire rivoluzionario, che ribaltava il concetto di proprietà e lo schema di valori tipico della società capitalistica americana e occidentale.

Cos’è successo veramente in una villa al Benedict Canyon di Los Angeles, nel 1965, tra te e i Beatles?

(risata) È stato incredibile …
Eravamo tutti fatti di Lsd ma George Harrison e John Lennon stavano piuttosto male. Senza dire nulla agli altri, avevano ingerito altra droga prima del trip allucinogeno e questo è un errore che molti fanno e che è spesso alla base di “brutti viaggi”.
George, in particolare, aveva la sensazione che le cose intorno a lui gli stessero cadendo addosso … era terrorizzato.
David Crosby è venuto da me e mi ha chiesto di parlare con George.
“È convinto di morire”, mi dice.
Così, sono andato da Harrison e gli ho chiesto come si sentiva.
Gli ho anche spiegato che, da piccolo mentre giocavo con una pistola di mio padre accidentalmente è partito un colpo e io sono crollato a terra ferito.
“So cosa significa essere morto (I know what is like to be dead)”, gli ho detto, “Non preoccuparti. Il tuo cervello sta lottando per riportarti allo stato percettivo di prima. Devi stare calmo, devi avere pazienza e vedrai che le cose si sistemeranno”.
“Tranquillo George”, ho continuato, “tra poco starai meglio”.
Poi, gli ho ripetuto: “So di cosa sto parlando. So cosa significa essere morto (I know what is like to be dead)”.
Mentre ho pronunciato questa frase, John Lennon (che era seduto lì vicino e che ha sempre odiato le persone più intelligenti di lui) si è avvicinato e mi ha chiesto: “Cosa vuoi dire, fratello?”.
Quella frase (I know what is like to be dead) lo aveva colpito.
Quando ho ascoltato il pezzo dei Beatles “She Said, She Said” e ho ritrovato quella frase sono rimasto scioccato …
Prova a pensarci: io Peter Fonda, figlio di Henry e fratello di Jane, padre di uno dei film più importanti della storia, ho pure ispirato una canzone dei Beatles …
Cosa posso volere di più dalla vita?"

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