giovedì 23 luglio 2020

JOHN GREAVES – “PASSAGE DU NORD OUEST”, di Andrea Pintelli



JOHN GREAVES – “PASSAGE DU NORD OUEST”
Di Andrea Pintelli

In quest’infausto anno dominato dalla paura e dal coraggio, c’è chi non si è mai fermato. È il caso della Dark Companion Records, i cui lavori prodotti sono da sempre sinonimo di altissima qualità. Il 10 luglio, infatti, è stato pubblicato “Passage Du Nord Ouest” di John Greaves, concerto registrato a Parigi il 22 novembre 1993 e riportato ad antico splendore dall’ottimo lavoro di Alberto Callegari, dell’Elfo Studios di Tavernago (PC).
Max Marchini, deus ex-machina dell’etichetta, aggiunge così un nuovo importante tassello al proprio catalogo di gioielli musicali, qui per la collana Ephemerals, che a ben vedere ha ben pochi rivali a livello europeo.

Credo, e spero, che mr. John Greaves non abbia bisogno di presentazioni (in ogni caso ne avevo tracciato un piccolo profilo riassuntivo all’interno della mia recensione del suo “Life Size” del 2018, per chi volesse rinfrescarsi la memoria), per cui andiamo dritti ad immergerci nelle atmosfere parigine, stando comodamente seduti con cuffie e hi-fi ben sintonizzati su questo “Passage Du Nord Ouest”.
Il nostro, come sempre al basso e voce ma anche al piano, è qui coadiuvato da una band formata da Paul Rogers al contrabbasso, François Ovide alla chitarra acustica, David Cunningham alla chitarra elettrica, kalimba e effetti sonori, Sophia Domancich al piano, e Peter Kimberley alla seconda voce.

“One Summer”, posta in apertura, delinea il crescendo dall’intento free, un buon biglietto da visita in divenire che non fa altro che incuriosire, attuato poi con “The Price We Pay” in una soluzione di continuità sonora, resa ancor più introspettiva dalla voce inconfondibile di John. Si prosegue con “The Mirage”, ipnotica e sognante, trascinata da un grande contrabbasso, poche parole declamate per poi passare a “The Magical Building”, ricamata e sottolineata da un fiero pianoforte, che apre alla forma canzone per poi tornare all’immaginifico; una perla di bellezza e cupa luccicanza, brividi in continuità. “Almost Perfect Lovers”, difficile, complicata, ma eterea e ricca di intrecci, fa intendere come ci si trovi di fronte a un genio musicale coadiuvato da un gruppo di talentuosi comprimari, che acquisiscono via via la centralità del suono. Il pianoforte sembra (farci) volare. “Solitary” è una marcia RIO di sopraffina meraviglia, con accenti chitarristici sempre corretti e incisivi. “Dedans (Rose c’est la vie)” condensa in poco più di tre minuti il messaggio che la vera Musica può e dovrebbe sempre avere nei confronti degli ascoltatori: portare altrove, spingere oltre, far sognare ad occhi aperti. Dolcissima, mai stucchevole, giocata in un equilibrio reso perfetto dalla magia vocale di Greaves. “Deck Of The Moon”, ritmo e gioco, sorridente e positiva, ci dice che i dettagli sono per pochi; un melting pot sonoro coinvolgente e innovativo. Si passa a “For Bearings / Silence” dove piano e voci trovano il punto d’incontro nei toni minori del (quasi) sussurro, in un vortice di contrappunti. “Kew Rhone” alza l’asticella della circolarità del suono, scandendo i ritmi imposti dai musicisti, qui impegnati in un complicato esercizio di qualità sempre maggiore, in cui i riferimenti al jazz la fanno da padrone. “The World Tonight”, chitarra perfetta nel dosare accenti e armonia e forza, è qui la protagonista, insieme alle voci dei nostri. Squarci di luce. “Lullaby” (no, non quella dei Cure…) è una straniante ninna-nanna (traduzione del titolo, ovviamente) che non vorremmo sentirci cantare, ma che, tuttavia, riempie la stanza, tant’è densa. “Swelling Valley”, soffusa e nebbiosa, nel tipico stile di Greaves, traccia la linea di un universo sonoro mai domo, ma pronto a donare soluzioni mai banali. Qualcuno c’è che non si è mai lasciato stereotipare, fortunatamente. “How Beautiful You Are”: quanta meraviglia ci può essere in una sola canzone? Ascoltatela in solitudine e avrete la facile risposta. Genialità e sensibilità ai massimi livelli. Ma la versione cantata e suonata insieme ad Annie Barbazza (proprio su “Life Size”) non ha eguali (thanks Annie). “Karen”, paragonabile a un quadro del miglior Surrealismo, ha nella propria libertà sonora e interpretativa i suoi picchi. Certo l’artista John lavora sulla sua interiorità, rendendo visibile e reale ciò che noi non abbiamo fin qui conosciuto. “The Green Fuse”, in chiusura di concerto, è corale e unisce per la sua fantasiosa musicalità, dove sembra che un’alba non possa mai finire. Poetica, dominante, rara.

Dedicato da John Greaves alla memoria di François Ovide e Michel Pintenet.
Gran concerto, signore e signori. Gran disco, da avere.
Abbracci diffusi.




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