Di Andrea Romeo
Questa è la storia di una curiosa coppia,
virtuale, che mescola antico e
moderno, realtà e fantasia, storia che si sviluppa a cavallo dei secoli e nata,
grazie ad una sorta di osmosi artistica, verso la metà degli anni ’90.
Arjen
Anthony Lucassen è un
polistrumentista (canta, suona principalmente chitarra classica, acustica ed
elettrica, flauto e sintetizzatori) e compositore nato in Olanda, ad Hilversum,
il 3 aprile, 1960; Ayreon è invece
un menestrello cieco, che ha vissuto la sua vita nell’oscurità sin dalla
nascita, e che si dice abbia vissuto nel VI° secolo, in Gran Bretagna,
addirittura alla corte di Re Artù.
Probabilmente, proprio a causa della propria cecità,
Ayreon ha sviluppato una sorta di sesto senso che gli ha permesso, un giorno,
di cogliere un messaggio, spedito da un lontano futuro, da parte di alcuni
scienziati…
Lo strano e curioso connubio tra un musicista
dei nostri giorni, ed un “musicante” esistito solamente nella fantasia, ben quindici
secoli fa, si è concretizzato nel lontano 1995 ed ha prodotto, grazie alla
vicenda accennata poco sopra, un primo album che, inizialmente, aveva come
titolo proprio: Ayreon: The Final
Experiment, e vedeva Lucassen in veste di unico compositore; quasi subito
però, la storia ha cambiato improvvisamente il suo corso, ed Ayreon è diventato
il vero e proprio nome dell’artista, o della band (vedremo poi in quali termini…),
a cui attribuire l’intera paternità del lavoro.
La fusione artistica tra i due soggetti si è
trasformata nel nuovo moniker di un progetto che, sin da subito, ha inaugurato
uno stile compositivo e narrativo che lo ha accompagnato sino ai giorni nostri,
e che si basa su alcune caratteristiche ben precise.
Lucassen nasce come chitarrista metal e milita,
durante gli anni ’80, in un paio di band olandesi, i Bodine ed i Vengeance
dopodichè, agli inizi degli anni ‘90, realizza un album a proprio nome, Pools of Sorrow, Waves of Joy, in cui
suona praticamente tutti gli strumenti, se si eccettuano il basso e le
tastiere.
Questa esperienza muta radicalmente il suo
approccio con la musica, facendogli prendere in considerazione l’idea di
proporsi da lì in poi, non tanto, o non solo, come musicista, quanto invece come
compositore, arrangiatore e produttore dei propri lavori cosicchè, già nel
primo lavoro nel quale abbozza il progetto Ayreon, pur ritagliandosi uno spazio
come musicista fa, tecnicamente, un mezzo passo indietro, affidando
l’esecuzione delle parti principali ad un nutrito stuolo di collaboratori.
Contemporaneamente, inizia ad affinare uno
stile compositivo che, a cavallo tra prog-metal e metal sinfonico, diventerà
una vera e propria forma di narrazione: i brani, che andranno a comporre i suoi
lavori, da qui in poi saranno paragonabili a capitoli, ed ogni album si
presenterà come un vero e proprio racconto musicato in cui, spesso accompagnati
da una voce narrante, i musicisti non solo si dedicheranno ad eseguire le parti
vocali e strumentali, ma diverranno veri e propri attori, assumendo il ruolo di
personaggi, ed animeranno le fantasiose vicende fuoriuscite dalla creatività di
Lucassen.
Nel primo racconto, che si può considerare una
sorta di spin-off del Ciclo Arturiano, il menestrello Ayreon riceve come detto
un messaggio dal futuro, contenente una minaccia per il genere umano, e deve
convincere Merlino della veridicità
della previsione.
L’anno successivo, la fertile immaginazione
del polistrumentista olandese partorisce Actual
Fantasy che questa volta però, non sviluppa una storia con un inizio ed una
fine: l’album, infatti, ha come concept la fantasia per cui, le storie narrate nei
singoli brani, sono basate su film di fantascienza, fantasy, ed in parte su
vicende elaborate da Arjen stesso.
Nei primi due lavori quindi, grazie ai quali
il progetto Ayreon ha iniziato a prendere forma, Lucassen ha vestito i panni
del coordinatore artistico, confermando la propensione ad affidarsi ad un numero
considerevole di musicisti ai quali indicare ruoli assai ben precisi, con una
predilezione per il suddividere, tra più artisti, le parti cantate.
Nel 1998 esce il lavoro che farà conoscere,
questo progetto, ad un pubblico ancora più vasto, grazie anche ad ospiti
“importanti” chiamati ad impersonare i personaggi della vicenda narrata: Into the Electric Castle è un doppio
album estremamente lungo (all’incirca un paio d’ore), contenente una trama
teatrale decisamente complessa, in piena tradizione sci-fi, ed all’interno del
quale, nei ruoli dei protagonisti, agiscono vere e proprie rock star: Fish (ex-Marillion), Sharon Den Adel
(Within Temptation), Anneke Van Giersbergen (The Gathering, The Gentle Storm, Vuur),
Edward Reekers (Kayak), Damian Wilson (Headspace, Threshold), Robert Westerholt (Within Temptation), Peter Daltrey
(Kaleidoscope, Fairfield Parlour), il batterista Ed Warby (Gorefest), che
diverrà per lungo tempo partner artistico di Lucassen, ed ancora Clive Nolan (Pendragon, Arena), Thijs Van Leer (Focus), Ton Scherpenzeel
(Kayak, Camel)…
Una conseguenza, decisamente inevitabile vista
la complessità di questi lavori e la quantità di artisti coinvolti è il fatto
che, riprodurre dal vivo questi album risulti un’operazione parecchio
complessa, per cui, il poter vedere on stage il progetto Ayreon, diverrà un
vero e proprio evento; il primo album live del progetto, tra l’altro, dovrà
attendere fino al 2016, per vedere la luce.
Cionondimeno, a due anni di distanza, Lucassen
inaugura il nuovo millennio con una ennesima… doppietta, Universal Migrator Part 1: The Dream Sequencer ed Universal Migrator Part 2: Flight of the
Migrator, e la pubblicazione di due album separati ha una sua precisa
logica, innanzitutto narrativa: la prima parte del concept infatti, descrive la
storia dell'ultimo colonizzatore sopravvissuto su Marte e dei suoi viaggi nel
passato intrapresi grazie ad una macchina, il Dream Sequencer mentre, nella
seconda, la storia prosegue a partire dal momento in cui decide di
avventurarsi, tramite la medesima macchina, nel periodo antecedente alla
creazione dell'universo: assisterà così al big bang, ed avrà la possibilità di
osservare vari fenomeni astronomici quali i quasar, le pulsar, le supernova, i
buchi neri ed i wormhole.
Coerentemente con questa scelta c’è anche una
logica più strettamente artistica, ovvero quella di appagare entrambe le sue
schiere di fan, una prevalentemente metal ed un’altra più prog-oriented.
La seconda parte del concept è infatti
caratterizzata da sonorità prevalentemente progressive metal, mentre la prima è
dominata da sonorità più morbide e melodiche, con forti richiami ai Pink Floyd.
Nel giro di un lustro quindi, e grazie a
questi cinque lavori, il polistrumentista olandese ha affrontato temi letterari
e scientifici, ha immaginato o interpretato mondi, ha costruito storie ma,
soprattutto, è riuscito a dare loro una forma artistica compiuta, strutturando
musica e testi in maniera congrua e coerente; il tutto, però, restando per lo
più in disparte, il che ne fa, certamente, una rockstar davvero atipica e del
tutto scevra da manie di protagonismo.
Ayreon, a questo punto, si prende una pausa di
quattro anni durante i quali Lucassen, insieme alla cantante e violinista
messicana Marcela Bovio, mette in
cantiere il progetto Stream of Passion,
e realizza un altro progetto di ensemble allargato, denominato Star One, in cui coinvolge tra gli
altri Sir Russell Allen (Symphony X), Floor Jansen (Nightwish),
Dave Brock (Hawkwind) e Jens Johansson
(Rainbow); ma il richiamo del
menestrello è fortissimo, ed allora ecco profilarsi all’orizzonte il sesto
capitolo della saga in cui, però, soprattutto a livello narrativo, cambia
davvero parecchio e questo perché, il tema del viaggio, pur essendo presente,
si sviluppa attraverso un percorso introspettivo compiuto all'interno della
mente del protagonista.
The Human
Equation, questo cammino all’interno della
mente allinea, e non poteva essere diversamente, narratori e musicisti di
primissimo piano, a partire dalle molte voci che la abitano: James LaBrie (Dream
Theater), Mikael Åkerfeldt (Opeth), Eric Clayton (Saviour
Machine), Heather Findlay (ex-Mostly Autumn), Irene Jansen, Magnus Ekwall
(The Quill), Devon Graves (Deadsoul Tribe,
Psychotic Waltz), Mike Baker (Shadow Gallery), la sodale Marcela Bovio, Devin Townsend (Strapping
Young Lad) ed il già presente Peter Daltrey (ex-Kaleidoscope).
Tra i musicisti, oltre ad alcuni già presenti
in diversi tra i lavori precedenti, spiccano questa volta Martin Orford (IQ, Jadis), Ken Hensley (Uriah Heep)
ed Oliver Wakeman, oltre all’ormai
fedele Ed Warby.
Il fatto che, strumentisti così rilevanti,
accettino di partecipare alla costruzione ed alla realizzazione di questi album,
tra l’altro tutt’altro che semplici, offre davvero un’idea chiara della stima,
e della grande considerazione che Lucassen ha acquisito in dieci anni di
carriera, presso i suoi colleghi; il plot di quest’ultimo lavoro, inoltre, è
davvero ambizioso, poiché racconta i venti
giorni di coma di un uomo, che lotta tra la vita e la morte, ritrovandosi
faccia a faccia con i suoi sentimenti, che gli invadono la mente cercando di
sopraffarlo.
Il finale, decisamente sorprendente, ricollega
l’album a due lavori precedenti: l'intera esperienza si rivela essere, in
realtà, una simulazione creata dal Dream Sequencer (introdotto in Universal
Migrator Part 1: The Dream Sequencer), qui chiamato "The Human Equation
Program", mentre Forever of the Stars, il misterioso essere che
sovrintende all'esperimento, descritto su Into the Electric Castle, ha predisposto
questo programma per ricordare le emozioni, riscontrando un evidente successo.
Completamente immedesimatosi in Ayreon, Lucassen
ha ormai assunto in maniera piena il ruolo di “cantastorie”, e lo ha fatto sia
recuperando e riadattando frammenti di storie già narrate sia soprattutto
creando, ex-novo, nuove narrazioni, frutto della propria personale ispirazione.
Ma un cantastorie, ovviamente, si deve
occupare sia dei testi che della musica ed ecco che, quasi inevitabilmente, i
ruoli di compositore, arrangiatore ed in un certo senso direttore d’orchestra,
abbiano prevalso su quello di semplice performer: Lucassen suona, ovviamente,
all’interno delle proprie composizioni, ma non occupa mai un ruolo da leader,
lasciando agli ospiti il compito di essere i veri e propri front-man.
La vera sfida è, evidentemente, quella di
trovare sempre una nuova ispirazione narrativa, supportandola con un corredo musicale
coerente ed innovativo, ed è quello che succede nel 2008, con la pubblicazione
di 01011001, album che presenta
subito alcuni interessanti dettagli: intanto un titolo, oscuro, che in realtà
altro non è che l’espressione della lettera Y secondo l’American Standard
Code for Information Interchange, e poi l’argomento, ovvero
un ritorno alla sci-fi, che recupera, come già successo in altri lavori, parti
di racconti precedenti: nel primo disco, Y,
vengono narrati gli eventi riguardanti l’omonimo pianeta, mentre il secondo
disco, Earth, è invece ambientato
sulla Terra.
La vicenda culmina nel brano conclusivo, The
Sixth Extinction, in cui i “Forever” ritrovano speranza ed emozioni
perdute, si liberano dalla schiavitù delle macchine e ricreano una nuova
civiltà con il supporto del progetto Universal Migrator.
È davvero interessante questo continuum che si
viene a creare, album dopo album, seguendo una sceneggiatura che non si
discosta poi molto da quella di saghe di fantascienza, o di fantasy, ben più
celebri; ed è sorprendente la capacità, di Ayreon/Lucassen, di riuscire a
legare vicende lontane, temporalmente, territorialmente ed a volte anche dal
punto di vista dell’argomento trattato, anche solo agganciandosi ad un
dettaglio minimo.
Ma anche la musica, intesa come trama sonora,
è sensibilmente cambiata, e questo grazie ai nuovi protagonisti coinvolti: le
voci di Steve Lee (Gotthard), Daniel Gildenlöw (Pain of
Salvation, Transatlantic), Hansi Kürsch (Blind Guardian, Demons &
Wizards), Floor Jansen, Jonas Renkse
(Katatonia), Anneke Van Giersbergen,
Jørn Lande (Masterplan, Avantasia), Magali Luyten (Nightmare), Bob Catley (Magnum), Simone Simons (Epica) e Ty Tabor (King's X) hanno fatto si che l’album risulti decisamente più
aggressivo, più metal e un pochino meno prog, sintetizzando, grazie anche alle
“incursioni” strumentali di ospiti come il bassista Tomas Bodin (The Flower
Kings), i chitarristi Lori Linstruth
e Michael Romeo (Symphony X) ed il tastierista Derek Sherinian (Dream Theater, Black Country
Communion, Sons of Apollo).
Il progetto Ayreon ha ormai assunto una
dimensione internazionale fuori dal comune, ed è di fatto un unicum nella
storia del progressive-metal, non fosse altro che per il numero, a questo punto
davvero imponente, di personaggi di primissimo piano coinvolti nel suo
sviluppo.
Il suo percorso, che ha seguito una sorta di andamento
fluttuante, passando dall’hard-rock venato di prog degli inizi, al prog-metal,
per poi assumere connotati più “sinfonici”, ed infine approdare ad un metal più
estremo, a questo punto si prende un’altra lunga pausa di ben cinque anni
interrotta, nel 2009, dall’uscita del debut album dei Guilt Machine, On This
Perfect Day, nel 2010, dalla pubblicazione del secondo lavoro in studio
degli Star One, Victims of the Modern Age e nel 2012, anno in cui è uscito il terzo
lavoro solista di Lucassen, Lost in the
New Real in cui, dopo anni di condivisioni, l’artista olandese è tornato
alle origini, ed ha fatto pressochè tutto da solo, ospitando peraltro il
leggendario attore olandese Rutger Hauer
in veste di narratore.
Nel frattempo, nuove storie da cercare, nuovi
protagonisti da creare, perché Ayreon sonnecchia, ma non dorme mai…
Con The
Theory of Everything, datato 2013, Ayreon coglie innanzitutto un importante
successo commerciale ma, non secondariamente, rivoluziona in maniera sensibile
la struttura musicale del progetto.
Intanto la narrazione, con un deciso un
ritorno al “personale”, anche se il concept è fantascientifico e decisamente
prog.
Un ragazzo prodigio, un piccolo genio, rivela
una predisposizione quasi soprannaturale per la matematica e, nel corso della
vicenda, deve confrontarsi con le persone che gli stanno attorno, alcune
benevole, altre ostili, e che cercano di manipolarlo per migliorarne le
capacità rischiando di creare un mostro; il giovane è quindi costretto a
scendere nei meandri di sé stesso, conoscersi a fondo per poter trovare, al
termine di questo percorso di autocoscienza, l’equazione con cui esprimere la
teoria del tutto.
E poi il team, che vede prima di tutto una
sostanziale riduzione della sezione vocale, ed un gruppo di strumentisti
decisamente orientato verso un progressive più classico e tradizionale: JB (Grand Magus), Sara Squadrani
(Ancient Bards), Micheal Mills (Toehider), Cristina Scabbia
(Lacuna Coil), Tommy Karevik (Kamelot, Seventh Wonder), Marco Hietala (Nightwish,
Tarot), John Wetton (Asia, U.K., ex-King Crimson, ex-Uriah
Heep, ex-Family, ex-Roxy Music…), danno voce ai
personaggi del racconto, mentre tra i musicisti coinvolti spiccano, e connotano
in maniera significativa lo sviluppo musicale dell’album, i tastieristi Rick Wakeman, Keith Emerson e Jordan
Rudess, la chitarra di Steve Hackett,
ed i fiati di Troy Donockley (Nightwish).
L’inserimento dei fiati, tra l’altro, fa sì
che il sound del progetto si arricchisca di molte sfumature decisamente nuove:
il risultato finale è certamente in linea con l’imprinting di Ayreon, ma si
avvale di un caleidoscopio di sonorità che spaziano dal prog al folk
all’elettronica, il tutto racchiuso in soli, si fa per dire, quarantadue brani…
A partire da questo lavoro, l’attività di
Lucassen subisce un’improvvisa e significativa accelerazione: nel 2016 viene pubblicato
The Theater Equation, primo album
live degli Ayreon, registrato a Rotterdam e nel quale è stato eseguito nella
sua interezza il sesto album in studio, The Human Equation; nel 2017 vede la
luce The Source, l’ultimo album in
studio, ad oggi, di fatto il prequel di tutto, l’antefatto di una intera saga,
ed i cui avvenimenti sono collocabili, grossomodo, prima di 01011001, facendo
di conseguenza riemergere i Forever e mantenendo intatta la tradizione di
collegamento tra gli album già sperimentata in precedenza.
Anche in questo caso, come sempre, una nutrita
schiera di protagonisti di eccezione: ai molti cantanti già apparsi negli album
precedenti, si aggiungono Tobias Sammet
(Edguy) e Tommy Rogers (Between the
Buried and Me), Paul Gilbert e Guthrie Govan alle chitarre e Mark Kelly (Marillion) alle tastiere, cui viene affidato il compito di
raccontare, in parole e musica, le avventure dell’astronave Starblade, e del
suo piccolo equipaggio.
Neppure il tempo di metabolizzare la
pubblicazione del nuovo album ed ecco, l’anno successivo, il secondo live, Ayreon Universe: Best of Ayreon Live,
ovvero la registrazione completa del secondo dei tre concerti sold-out, tenuti
nel mese di settembre 2017 nei Paesi Bassi, in cui sono stati coinvolti ben
sedici cantanti ed undici musicisti: un “the best of…” sia dal punto di vista
dei brani che da quello dei musicisti.
Ma non è ancora finita perché, agli inizi del
2020, e dunque poco prima del “lockdown” che ha chiuso, per qualche mese, buona
parte dell’Europa, viene dato alle stampe Electric
Castle Live and Other Tales che contiene la registrazione integrale
dell'ultimo dei tre concerti speciali, tenutisi al Poppodium di Tilburg, per
celebrare il ventennale dall'uscita del terzo album, Into the Electric Castle,
eseguito nella sua interezza insieme a gran parte degli artisti originari.
Venticinque anni di attività, dunque, lungo i
quali il menestrello Arjen Lucassen ed il suo alter-ego Ayreon hanno messo
insieme nove album in studio, tre album dal vivo e due raccolte, quasi tutti
lavori doppi che contengono una mole di storie impressionante, soprattutto
considerando che sono il risultato del lavoro di un singolo soggetto il quale,
oltre a comporla ed arrangiarla, si è incaricato di “assegnarla” ad un
altrettanto impressionante stuolo di musicisti, chiamati a raccolta dal fascino
e dalla magia che soltanto un cantastorie è in grado di trasmettere.
All’interno di ogni album, brillano la pulizia
compositiva e quella esecutiva, e si spazia sempre tra i generi: prog-metal,
prog sinfonico, hard rock, epic-metal e folk.
Gli incroci vocali e strumentali dimostrano
una perizia ed una capacità certosina di cesellare i suoni, di abbinarli e di
arrangiarli, ed i singoli brani denotano sempre l’estrema cura con la quale
sono stati disegnati e strutturati.
Difficile, anzi, pressochè impossibile
cogliere dei meri riempitivi, dei pezzi “messi là” per chiudere un disco o,
semplicemente, per “tappare un buco” creativo: Lucassen può essere anche
definito un megalomane, e probabilmente in un certo senso lo è perché, almeno
in fase di composizione, orchestrazione ed arrangiamento, non ha mai delegato
nulla a nessuno.
Ma è anche vero che ha ampiamente dimostrato
di avere una mente fertile, creativa, fantasiosa, e di saper scegliere volta
per volta i compagni di strada più adatti ai quali affidare le proprie narrazioni,
chiedendo sempre loro di dare il meglio di sé nell’interpretarle; nessuna
gelosia dunque, nessun atteggiamento da prima donna, nessun accenno a voler
ridurre o limitare la creatività e l’espressività di coloro che, nel tempo,
sono stati chiamati ad interpretare un personaggio, dandogli la voce, oppure ad
assecondarne gli umori, la personalità, le azioni, attraverso gli strumenti
musicali ai quali si è messo mano.
Inoltre, si è dimostrato essere una persona
molto attenta a ciò che avviene all’interno del proprio mondo; in un’intervista
di qualche anno fa affermava, a proposito dello streaming e della musica
cosiddetta “liquida”:
“Credo
sia fantastico che la musica in questo modo raggiunga più persone.
La cosa
triste è che gli artisti abbiano una percentuale insignificante per ogni
streaming di un loro brano, il che vuol dire che, un artista, ottiene uno
stipendio minimo se il suo brano viene ascoltato dieci milioni di volte. Credo
che si debba fare qualcosa in proposito, ma lo streaming è il futuro, e non
capisco le case discografiche che si oppongono a strumenti come Spotify.
È qualcosa
che non si può arrestare e, d’altronde, io non sono mai stato favorevole a
cercare di bloccare la tecnologia.
Detto ciò,
la mia musica ha anche un contorno fisico, un bellissimo artwork ad esempio, ed
il pubblico sa cosa troverà comprando un mio disco; quindi spero anche che le
persone non smettano di godere di tutti questi aspetti.
Per cui,
beh, direi che la mia opinione è duplice.”
Ayreon è, ancora oggi e dopo una vicenda così
lunga, un progetto del tutto “open”, tant’è che il suo mastermind ha
recentemente affermato: “Ho qualche
notizia per tutti voi. Negli ultimi tre anni ho lavorato a un progetto top
secret che, se tutto va bene, uscirà entro quest’anno. Non posso ancora dirvi
molto a riguardo ma quel che posso assicurarvi è che è piuttosto diverso da tutto
quello che avevo fatto prima”; ciò che è dato sapere, sinora, è che il
lavoro sarà, ovviamente, a nome Ayreon, si intitolerà Transitus e, tra gli ospiti, ci saranno Dee Snider, voce dei
Twisted Sister, Paul Manzi
(Arena), Tommy Karevik (Camelot), Michael Mills (Toehider), Cammie
Gilbert (Oceans of Slumber) ed Amanda Somerville (Trillium,
Avantasia), Simone Simons (Epica), Dianne van Giersbergen (Ex
Libris), Johanne James (Threeshold, Kyrbgrinder), ed
il chitarrista Joe Satriani.
L’attore Tom
Baker (il Quarto Dottore della serie tv Doctor Who) impersonerà,
invece, la voce narrante.
Le curiosità, intorno a questo lavoro, sono già
parecchie e riguardano la sua struttura musicale, la fusione, se ci sarà, tra gli
strumenti tradizionali della musica rock (chitarra, basso, batteria,
sintetizzatori, organo) e gli strumenti folk e classici (mandolini, violini,
viole, violoncelli, flauti, sitar e didgeridoo) ma, soprattutto, il concept alla
base dell’album.
Che cosa avrà immaginato, e messo su un
pentagramma, questa volta, il prolifico menestrello olandese?
Quali storie, e di quali epoche, siano esse reali
o fantastiche, avrà estratto dal cilindro?
Quello che è certo è il fatto che, la mente di
Arjen Lucassen, sia in perenne attività, ed è davvero stupefacente pensare che,
questo lavoro, lo abbia tenuto occupato lungo un triennio all’interno del quale
ha dovuto anche seguire la pubblicazione di due album dal vivo e di uno in
studio.
In molti potrebbero considerare forse esagerata
questa iperattività e, da un certo punto di vista, le ragioni non mancano di certo;
rimane il fatto che, il prodotto finale di questo intenso lavorio, mantiene
sempre un livello qualitativo elevatissimo e che, tutto sommato, poco più di
una ventina di album, in oltre venticinque anni, ed altrettante collaborazioni
con altri artisti, pur essendo indubbiamente molti, se la giocano con altri
artisti che, anche in lassi di tempo inferiori, hanno prodotto parecchio
materiale in più, pubblicando magari infinite serie di album live o di
raccolte.
Quello che è certo è che non parliamo affatto di
musica “easy listening”, di motivetti orecchiabili o da fischiettare e questo
perché, gli album degli Ayreon, vanno ascoltati e riascoltati con attenzione, possibilmente
nella loro interezza, richiedono tempo ed un certo impegno, per poterne cogliere
i dettagli e le sfumature, e per gustare al meglio la narrazione, la
caratterizzazione dei personaggi, i dettagli musicali ed esecutivi.
Non facile, soprattutto di questi tempi, ma
assolutamente necessario, se non altro per poter esprimere una valutazione che
possa avere delle basi solide e delle argomentazioni approfondite, che vadano
al di là del semplice gusto personale.
Perché, al netto della dicotomia, legittima,
“mi piace… non mi piace”, vanno riconosciute a questo musicista una
professionalità, un impegno, una integrità artistica, una creatività ed una
inventiva fuori dal comune, connesse alla capacità di creare, ex novo, mondi
fantastici, sulla scia di quanto avevano già fatto, decenni prima di lui,
gruppi entrati nella storia come i Gong,
grazie al loro visionario Planet Gong, ed i francesi Magma, con la narrazione del pianeta Kobaïa attraverso la sua
lingua autoctona.
Anche il progetto Ayreon, a questo punto, e dopo un percorso artistico di oltre venticinque anni, in punta di piedi ma con una determinazione davvero ferrea, si è creato un proprio spazio, riconoscibile e riconosciuto, all’interno della storia del rock, e più specificatamente del progressive rock.
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