lunedì 10 gennaio 2022

Adelmo e i Sorapis - "Walzer d'un blues": commento di Riccardo Storti

GIOIELLI NASCOSTI

Adelmo e i Sorapis - Walzer d'un blues

(Mercury, 1993)

Di Riccardo Storti


Walzer d'un blues. Messa così, sembra un'imprecazione; eppure, in questo titolo c'è la sintesi di quell'immaginario sonoro che illuminò e accecò molti giovani emiliani tra anni Sessanta e Settanta: dal liscio di balera alle cantine beat. Dal tre quarti del valzerino di campagna al possente steady rock dei ritmi urbani.

E pensare che tutto nacque per gioco in un hotel di Cortina - il Sorapis - durante il Natale del 1989: metti insieme 6 musicisti emiliani e un buon proposito (si dirà: per "fare un biglietto d'auguri natalizi suonato e cantato"). Ci sono Umbi Maggi (ex Nomadi), la star Zucchero Fornaciari, il chitarrista dei Pooh Dodi Battaglia, il senatore beat Maurizio Vandelli (principe dell'Equipe 84), i produttori Fio Zanotti e Michele Torpedine (rispettivamente alle tastiere e alla batteria).

La cosa sfugge di mano all'improvvisata band che, già dopo un paio di prove, registra qualche brano (da tenere nel cassetto) e va sul palco per fine d'anno. Il disco arriverà nel 1993, in prossimità di Natale, per lanciare il singolo E così viene Natale.

Questo disco va ascoltato con lo stesso spirito con cui è stato inciso: il sestetto ha messo insieme lontane passioni musicali e ci ha giocato con gusto divertito. I Sorapis mi hanno fatto venire in mente una versione italiana dei Travelling Wilburys: ogni canzone è un remake di un sound che tocca tanto il beat quanto il R'n'B per passare attraverso sprazzi di psichedelia e rock blues a cavallo dei due decenni d'oro.

L'hit E così viene Natale combina strofe soul a un ritornello beatlesiano; i singoli A volte nevica a giugno e Ballantine Mood mostrano altre sensibilità: la prima ha un andamento lennoniano ma con l'intercalare di riff hendrixiani; la seconda è una ballata blues con increspature melodiche alla Battisti. Si susseguono episodi di folk psichedelico (Un giorno che piove), blues padano per fisarmonica e chitarra elettrica (la title track), lenti terzinati dai contorni evanescenti (Con questi chiari di luna) e uno stralunato funk degno di James Brown con tanto tromba davisiana e mosse canore alla Skiantos (A son fortissimo). Sì, a tal proposito non dimentichiamo che i testi sono ricchi di un'ironia goliardica molto spontanea, tipica di chi sa fare del cazzeggio un'indovinata (e calcolata) stella polare. Non mancano le citazioni: Care oche (diamoci le mani) è Gimme Some Lovin' degli Spencer Davis Group in italiano con l'intrusione di alcuni versi de Il ballo di Simone; così come la conclusiva Mai-a-letto vive sul refrain di Everybody Needs Somebody to Love (portata al successo da Solomon Burke e, in seguito, da The Blues Brothers).

Un divertissement denso di mestiere che ha visto coinvolte più personalità della musica leggera italiana (penso al paroliere Alberto Salerno); l'esito è felice: pur strizzando l'occhio alla nostalgia, Walzer d'un blues si lascia ascoltare come un momento di genuina distrazione retroattiva.  


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