domenica 11 dicembre 2022

The Lost Vision of the Chandoo Priest: commento di Alberto Sgarlato

 


The Lost Vision of the Chandoo Priest

(AMS Records, 2022) 

di Alberto Sgarlato


Francesca Zanetta, nonostante la giovanissima età, è un nome che già da una decina d’anni ormai ha saputo conquistare una notevole visibilità nel panorama del rock progressivo, sicuramente più all’estero che in Italia (come peraltro spesso avviene).

Zanetta si è affermata principalmente come chitarrista, dapprima negli Unreal City e poi in Quel che disse il Tuono, ma chi la segue sulle piattaforme social sa che è anche una appassionata collezionista di “string-machines”. Per chi non lo sapesse, con questa denominazione si identificano alcuni tra i primi sintetizzatori polifonici di metà anni ‘70, progettati per riprodurre un sontuoso, avvolgente, vibrante suono di archi (e, nei modelli più sofisticati, talvolta anche di organo e ottoni), con lo scopo di rimpiazzare la delicata, macchinosa e rischiosa tecnologia a bobine e testine del Mellotron.

Questa premessa solo per far capire che era logico che prima o poi l’artista milanese accarezzasse il desiderio di una pubblicazione in veste di polistrumentista. Ed è così, quindi, che prende forma il progetto denominato The Lost Vision of the Chandoo Priest.

A farsi carico di tutto, dunque, sono Francesca Zanetta (chitarre, basso, Moog Voyager e almeno tre delle summenzionate string-machines, a marchio Eminent, Elka e Logan) e un’altra firma a noi nota, Niccolò Davide Galliani.

Il componente di Cellar Noise e Quel che disse il tuono si divide tra batteria, basso, chitarra, piano elettrico, organo, Mellotron, sintetizzatore Elka Soloist 505 e flauto.

La pubblicazione dell’opera ha visto il contributo di un nome storico come quello dell’ex cantante degli Alphataurus Claudio Falcone in fase di registrazione e missaggio.

Zanetta e Galliani descrivono questo nuovo progetto come più psichedelico che progressivo, ed infatti a suggerire questa direzione contribuiscono i colori e i caratteri della copertina.

Intanto ci troviamo di fronte a un’opera tutta strumentale, aspetto non così comune nel rock progressivo moderno, e questo contribuisce ad accrescerne il fascino misterioso. Ma chi, di fronte a queste premesse, si sta già immaginando un disco figlio degli Ozric Tentacles, o dei primi Gong, resterà spiazzato: le atmosfere, eleganti ed avvolgenti, sono molto più distese e rarefatte. C’è quasi qualche tocco di jazz-rock dal gusto vagamente canterburyano, a tratti vicino anche ai Camel, come nella prima parte della suite in due movimenti separati tra loro “Chasing time in opposite direction” (che inizia con un metronomo, proprio come “MetroGnome” dei Camel); i suadenti “paesaggi” suggeriti dalla opener “Floating down the valley” fanno venire in mente come primo esempio di ispirazione Mike Oldfield, ma nelle sezioni centrali, affidate ad arpeggi chitarristici e a botta e risposta tra organo e flauto, i Genesis del periodo Trespass o addirittura l’Anthony Phillips solista; inutile dire che non mancano momenti molto floydiani (se con questa etichetta intendiamo la band ancora sotto l’influenza di Syd Barrett), come “Entering the void of madness” o “London Underground” (quest’ultima “profuma” di Astronomy Domine in modo sfacciato!), mentre nei momenti più “proto-hard rock” del disco, come “The white toad Majesty”, non possono non venire in mente le atmosfere di The Knife dei già menzionati Genesis.

Addirittura, nella seconda parte della suite “Changing time…” (totalmente svincolata dalla prima) troviamo qui e là suggestioni da perfetta colonna sonora di B-Movie all’italiana, tra sintetizzatori “ululanti” pienamente horror e chitarre da Spaghetti-western.

Bello il finale maestoso affidato a “Dunans Castle”, un crescendo Hammond/chitarra/Mellotron quasi figlio di Watchers of the skies.

Concludendo: un ottimo album che non si limita certo a essere mero esperimento di “divertissement” filologico o, peggio ancora, di morbosa ricerca nostalgica, ma che sa coinvolgere ed entusiasmare l’ascoltatore con parecchie frecce al proprio arco, sia dal punto di vista dei temi melodici strumentali, sia dell’arrangiamento.


Tracklist (cliccare sul titolo per ascoltare) 

1. Floating Down The Valley - 04:45

2. Chasing Time In Oppositre Direction (pt. I) - 03:47

3. Enterind The Void - 04:47

4. The White Toad Majesty - 04:48

5. Droplets - 04:05

6. Chasing Time In Opposite Direction (pt. II) - 03:59

7. Getting Nowhere - 03:35

8. London Underground - 03:22

9. Farewell, Dog - 04:11

10. Dunans Castle - 03:54



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