martedì 11 aprile 2023

“CRAMPS RECORDS 1972 – 2022”: concerto celebrativo commentato da Mario Eugenio Cominotti

 


Cramps Records 1972 -2022

Teatro Lirico Giorgio Gaber

Milano 6 aprile 2023

“Reportage” di Mario Eugenio Cominotti per MAT2020

 

Fredda serata di inizio primavera a Milano, dopo un inverno più caldo del normale, ormai quasi senza pioggia e senza nebbie, ora per lo più un ricordo ma qui un tempo più che abituali, se non biglietto da visita per la mia vecchia e cara città in continua trasformazione … dopo cinquant’anni mi ritrovo ancora qui, in Via Larga, davanti al Teatro Lirico, e subito si innesca una catena di ricordi: le gag di Mick Box al concerto degli Uriah Heep, la figura spettrale di Vincent Crane all’Hammond con gli Atomic Rooster, la chitarra elettrica suonata senza plettro dal biondo e barbuto chitarrista con Alexis Corner insieme a Boz Burrell al basso, Mel Collins al sax e Ian Wallace alla batteria (ero andato lì proprio per loro) dopo l’ennesima diaspora dei King Crimson, il concerto perduto (per me, quella volta gli spiccioli sudati al negozio di fotocopie da studente lavoratore, sempre lì in Via Larga di fronte al Lirico, non mi erano proprio bastati) degli YES, quelli di Yes Album, i miei preferiti … la Milano di Buscemi dischi e del Rubino d’Essay, ma anche la Via Larga del sabato pomeriggio spesso avvolta dal fumo dei lacrimogeni, mentre di corsa tiravamo giù la saracinesca e correvo a mettere in salvo il mio “Benellino”, sempre parcheggiato proprio davanti al negozio …

Cramps Records, e la catena di ricordi mi esplode letteralmente nella testa, a partire dal nome evocativo del mitologico sciamano e deus ex machina Gianni Sassi, senza dimenticare anche il grandissimo Sergio Albergoni (Agenzia e Studio grafico Al.Sa. Base di partenza di tutto con Gianni Sassi !), l’altro elemento essenziale del Frankestein bifronte e rinato con il sodalizio creativo della Cramps – tra storia e leggenda, proprio a loro si devono oltre alle copertine alcuni dei testi più visionari degli Area (“l’estetica del lavoro è lo spettacolo della merce umana”ZYG !) e del primo Franco Battiato (il mio preferito) di Pollution come “Il Silenzio del Rumore” ... Cramps: tanti nomi, a partire proprio dagli Area International Popular Group, Eugenio Finardi, Alberto Camerini, Re Nudo e i Festival al Parco Lambro (come in un sogno lontano quanto vissuto anch’io allora avevo suonato su quel mitico palco in ben due edizioni della piccola grande Woodstock milanese con il “Rock Jazz urbano” dei primi Mary Pompa grazie all’indipendente “l’Orchestra”).

Musa (come allora, nella Milano degli anni ‘70, non “da bere” quanto forse da divorare ) e “brava presentatrice” della serata è Giovanna Maria Coletti, in arte e ben più conosciuta come Jo Squillo, cantautrice e quindi conduttrice televisiva, storico Punk Rock tutto femminile con le Kandeggina Gang, nate a Milano nel 1979 all'interno del centro sociale Santa Marta (… e anche qui i miei ricordi volano lontano, fino a quel cortile nella casa occupata in Santa Marta per il Concerto ancora con i nostri amati Mary Pompa nel 1978 per Radio Popolare … ), che avvolta in un corto e  luccicante abito argentato saluta il pubblico (… “pubblico di m…” per dirla alla Freak Antoni degli Skiantos, in realtà una foltissima platea di attempati quanto un po' imbolsiti ma sempre nel profondo ragazzi “alternativi” come allora, forse ormai un po' sazi e sovrappeso ma ancora accesi dall’entusiasmo e dalla voglia di essere controcorrente, costruire e accogliere il “nuovo”) e introduce con simpatia e non senza nostalgia l’evento sul grande Palco del Teatro Lirico, anch’esso rinato e intitolato all’indimenticabile “Signor G”, Giorgio Gaber.

Inizia il set degli Area Open Project, che si presentano sul palco in quintetto con un bel brano originale dal loro recente lavoro dello scorso anno, che ci propone subito la calda ed espressiva vocalità della Cantante Claudia Tellini nel non facile compito di reinterpretare sul palco con grande personalità e tecnica le parti vocali rimaste scolpite nella storia dalla voce unica di Demetrio Stratos. Segue una bella rivisitazione di uno dei miei brani preferiti, “Cometa Rossa”, dal secondo album “Caution Radiation Area”, che con il primo è quello che più amo degli Area.

E’ ancora un grandissimo piacere ascoltare il fluente e dirompente fraseggio di Patrizio Fariselli sempre di gran classe e forza ritmica ed espressiva, sia al pianoforte che al piano elettrico che ai sintetizzatori (suoni sempre rinnovati e calibrati con grande gusto), così come riascoltare i paesaggi sonori e i temi incisivi, limpidi e sempre attuali dei brani degli Area, soprattutto quelli dei primi lavori, riproposti questa sera col nuovo quintetto e valorizzati dal pregio degli interventi dei fiati di Stefano  Fariselli (grande estro quanto precisione chirurgica in ogni intervento oltre che dallo splendido timbro e fraseggio soprattutto al sax Soprano, al clarinetto basso ed al flauto traverso), dai vocalizzi jazzy di Claudia Tellini e dalla ritmica sostenuta da Marco Micheli al basso e Walter Paoli alla batteria.

Si passa così al piatto forte della serata con la celebrazione del 50° Anniversario del magnifico primo album degli AreaArbeit macht frei”, pubblicato nel 1973 con la Cramps, che verrà riproposto integralmente dal vivo con l’Area Open Project in quintetto in due set: il primo, subito, con “Consapevolezza” (sempre bellissima e attuale), “Arbeit macht frei” e “240 Km da Smirne”, il secondo, alla fine della serata, introdotto dall’omaggio a Franco Battiato con una intensa rivisitazione di “Povera patria”, con nell’ordine a seguire la dadaista “L’abbattimento dello Zeppelin”, la splendidamente straniante “Le labbra del Tempo” e la classica “Luglio, agosto, settembre (nero).

Jo Squillo introduce il set degli Skiantos, avanguardisti (tra punk, dada e futurismo) del rock demenziale e della “generazione della K”, ricordando il leader e frontman Freak Antoni, che ci ha lasciato nel 2014. Dalla sala qualcuno urla “Fai schifo!” prontamente ricambiato da Dandy Bestia che cita Freak Antoni con un “Avete Tutti delle bellissime facce tranne alcuni che poi indicherò…”. Tra un aneddoto e l’altro gli Skiantos infiammano e travolgono Teatro e pubblico (“di M…”) urlando e skitarrando a raffika “Eptadone”, “Diventa Demente (La Kultura Poi Ti Kura)”, “Io ti amo da matti (Sesso & Karnazza)” e “Largo all'avanguardia” dal primo album MONO tono (Cramps 1978), per concludere con il singolo dello stesso anno “Karabigniere Blues”.

Jo Squillo ricorda come il Teatro Lirico nel lontano 1977 ospitò con la sua “Empty Words” il grande John Cage, compositore, pianista e teorico fondamentale per le avanguardie e la musica “colta” del ‘900, invitato qui tra gli altri anche proprio da Gianni Sassi (anch’egli come John Cage nel movimento “Fluxus”, ancora protagonista di una Mostra imperdibile al Museo del ‘900 all’Arengario di Milano fino al prossimo 15 aprile) che con la Cramps aveva pubblicato all’epoca due suoi lavori.

Jo introduce quindi l’entrata in scena di Eugenio Finardi, che ricorda così Gianni Sassi: “Artista situazionista che creava situazioni, a volte anche di scontro, incontri estremamente stimolanti, la grande capacità di Sassi era quella di creare sogni nella mente di coloro con cui interloquiva … ma in realtà, la Sua grande attualità, la Cramps: noi siamo ancora parte della Sua Opera situazionista, di questa Illuminazione per creare una Casa discografica con principi completamente diversi … e l’ha sognata proprio come un masso, un asteroide che precipitava nello stagno della musica leggera italiana, e noi questa sera siamo ancora qua a celebrare quell’Opera d’Arte, a portarla avanti…”. Eugenio Finardi prosegue agganciando il discorso a quel lontano 1977 al Teatro Lirico come ricordato prima da Jo, “La situazione più incredibile che Gianni sassi ha potuto creare … il 2 dicembre del 1977 lui ha inventato un Concerto di John Cage in questo Teatro, promuovendolo tanto bene da riempirlo fino all’inverosimile di pubblico venuto per vedere questo Artista contemporaneo di rottura senza avere la benché minima idea di cosa avrebbe fatto…”.

Empty Words”, è la terza parte di uno scritto di Henry David Thoreau spogliato e destrutturato da John Cage fino a rarefarlo in una distesa di suoni e silenzi (“ciò che chiediamo è silenzio … non ho niente da dire e lo sto dicendo ... Nothing to say …”). Al testo declamato in italiano con splendida sobrietà dallo stesso Eugenio Finardi in solitudine di fronte alla platea del teatro Lirico tanto affollata quanto in assoluto silenzio, segue la ripresa, questa volta in inglese … “nothing to say” … con lo  scintillante contrappunto al pianoforte del Maestro Carlo Boccadoro (compositore, direttore d’Orchestra e molto altro … e ancora con lui bellissimi ricordi … anni fa al Teatro Dal Verme di Milano, con Carlo Boccadoro a dirigere magistralmente un brano di Frank Zappa per Orchestra “speculare” con doppia sezione di percussioni all’estremità di ognuno dei due lati) fino alla fine della performance … o del rituale … o della pura magia.

Nuovo cambio di palco con l’ingresso del polistrumentista, arrangiatore e direttore d’orchestra, Solista e tuttora con la PFM, Lucio “Violino” Fabbri, che con tre freschissimi “tributi” rivitalizza il pubblico ormai completamente ipnotizzato dall’incantesimo situazionista appena creatosi in sala. I Tributi di Lucio “Violino” Fabbri & Friends sono dedicati a tre importanti Artisti del circuito innescato da Gianni Sassi con la Cramps e con le collaborazioni realizzate tra tanti artisti. Al “Pane Quotidiano” di Alberto Camerini seguono “Maestro della voce”, scritta con la PFM e dedicata al grande Demetrio Stratos (Ora ai piedi delle tre torri di cristallo di Citylife che svettano nel cielo della nuova Skyline milanese, tra gli alberi del parco urbano, c’è una strada intitolata a Lui … Via Demetrio Stratos, maestro della voce) e la conclusiva classicissima “Musica Ribelle”, “Inno” a un’epopea giovanile composto da Eugenio Finardi e a lui dedicata tra l’entusiamo del Pubblico.

Ancora l’argentea Jo Squillo sul palco per presentare Andrea Tich e il suo set solista, dedicato al suo primo album pubblicato nel 1978 con la Cramps. A detta dello stesso Tich “Disco controverso, bizzarro … un po' strampalato”, quanto da lui amato tanto, ancora oggi. Tich Attacca subito con la sonorità avvolgente ed affascinante della chitarra acustica a 12 corde (… un po' come l’Hammond o il Rhodes … timbriche che mi stregano al primo tocco …) per un soave “medley” di brani dal primo disco, tra echi di tanto ottimo e raffinato folk rock inglese, 12 corde sulla quale si inserisce subito con leggerezza una voce godibilissima degna di un antico bardo che con delicata ironia ci trasporta in un mondo parallelo, tra psichedelia acustica e ilarità surreale, muovendosi con grazia paradossale in uno stranissimo, disinibito, provocatorio e inquietante “Paese delle meraviglie” ancora più alternativo ... Pubblico entusiasta e gran bella sorpresa per me che lo conoscevo solo di nome, subito chiaro come Gianni Sassi avesse all’epoca deciso di arruolarlo prontamente nella Cramps!

Andrea Tich prosegue divertendo il pubblico e rivelandosi anche un provetto affabulatore, raccontando la storia di allora, con la nascita del a dir poco scandaloso titolo del LP, peraltro praticamente imposto “d’ufficio” dallo stesso Gianni Sassi, per il quale “chiamare un album con lo stesso nome dell’Artista avrebbe portato sfiga”. Scelse così come titolo quello già attribuito alla canzone finale: “Masturbati” … (!) titolo indubbiamente facile da ricordare ma che, nonostante le buone recensioni da parte della critica, non facilitò certo la promozione e la diffusione dell’album, oggetto di censure per anni a tutti i livelli e che chiunque si vergognava a richiedere al commesso di qualsiasi negozio specializzato. Si passa così al brano in questione, peraltro musicalmente gradevolissimo, che chiude la performance di Tich, con il pubblico che come richiesto “dà una mano” cantando il riff finale in coro insieme ad Andrea Tich, che saluta tra gli applausi scroscianti del pubblico.

Torna sul palco Carlo Boccadoro, per eseguire al pianoforte un sussurrato e meraviglioso brano di John Cage del 1948, “Dream”, possibile antesignano della musica d’ambiente che sarebbe seguita ben più tardi, quanto per me in buona, anzi ottima parte, debitore o quantomeno erede della visionarietà di Erik Satie con le sue ammalianti “Gymnopedie”, ancora con tutta la sala in religioso silenzio dall’inizio alla fine per ascoltare il pianoforte “sfiorato” dalle dita di Carlo Boccadoro.

Ancora John Cage, protagonista – se non mattatore – di questa serata dedicata a Gianni Sassi ed al 50° Anniversario della Cramps, con “0′ 00″ (4′ 33″ No. 2)” del 1962 e prosieguo ideale della mitica (forse l’unico brano per il quale John Cage è conosciuto dai più) 4:33 (per i pochi che non lo sapessero il brano dove John Cage si sedeva al pianoforte senza toccare un tasto per la durata di 4 minuti e 33 secondi) composta ben dieci anni prima. Prima di iniziare l’esecuzione del brano (o meglio la performance) Patrizio Fariselli legge al pubblico la “Partitura” di “0′ 00″ (4′ 33″ No. 2) “: “In una situazione fornita di massima amplificazione (nessun feedback), eseguire un'azione disciplinata (In a situation provided with maximum amplification (no feedback), perform a disciplined action)”. Dopo di che Patrizio viene raggiunto sul palco dal fratello Stefano Fariselli, si siedono entrambi uno di fronte all’altro ad un piccolo tavolo; come tutto il Teatro in perfetto silenzio – e con la massima amplificazione, come prescritto da John Cage in partitura – estraggono un mazzo di carte e iniziano una partita a due, Briscola? Scopa? … Tresette? … poco importa (difficile poi capirlo a quella distanza) ma quello che conta oltre alla gestualità è il fruscio del mazzo di carte mischiato, lo sbattere delle carte distribuite o delle prese, il tutto nel totale silenzio e fino alla fine della performance, terminata la quale tutti i componenti degli Area Open Project raggiungono i fratelli Fariselli per la seconda e conclusiva parte del loro Concerto.

Tra gli applausi scroscianti gli Area Open Project al completo vengono raggiunti sul palco da Jo Squillo che ringrazia Stefano Piantini per la produzione e Roberto Manfredi per la regia, oltre che per la collaborazione anche la rinata storica Rivista “Re Nudo”, appena tornata nelle librerie con il nuovo primo numero. Mentre il pubblico si alza in piedi anche Lucio “Violino” Fabbri raggiunge il palco per concludere la grande serata – oltre tre ore di festa, musica, storia e cultura - tra gli applausi, prima con un omaggio a Jimi Hendrix con la sua “The Wind Cries Mary” che sfocia presto in un altro inneggiante classico degli Area, “Gioia e Rivoluzione”.

La serata è andata oltre la mezzanotte e devo affrettarmi e correre in Duomo per “l’ultimo Metrò”, prima che la carrozza si trasformi in una zucca e debba farmela a piedi fino al capolinea.  Serata davvero da ricordare, insieme alla Cramps, a Gianni Sassi ed a Tutti quanti … GDNGHT!




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