domenica 2 luglio 2023

The Forty Days – “Beyond the air", commento di Alberto Sgarlato


The Forty Days – “Beyond the air” (2023)

Lizard 

di Alberto Sgarlato


Un pianoforte dalle note scandite e tintinnanti come gocce di rugiada, che potrebbe essere quello degli Spock’s Beard in brani come “On the Edge” o “Hiding out”, apre la strada a un profluvio di suoni, tra il Minimoog più “grasso” e solenne che possiate immaginare e una chitarra che sembra scritta dalle pennate dello Steve Rothery più ispirato. Con queste atmosfere si apre “Monday”, brano iniziale di “Beyond the air”, nuovo e ottimo album dei toscani The Forty Days.

La voce – delicata in questa traccia, più grintosa in altre – ci riporta qui alla seconda Epoca d’Oro del rock progressivo italiano, non meno valida della prima, seppur meno nota (chi ha amato nomi come Arcansiel, Edith o Fancyfluid avrà capito), mentre dopo il terzo minuto questo brano di apertura prende una svolta inaspettata con ostinati quasi beatlesiani.

Arrivati a questo punto, però, è d’uopo fare un po’ di inquadramento storico. Infatti, con buona pace dei cultori estremisti del prog-rock, che non vanno oltre la metà degli anni ‘70, questo genere ha saputo partorire evoluzioni assolutamente originali e interessanti anche nei due decenni successivi, soprattutto tra primi ‘80 e primi ‘90. E oggi che quegli album, ormai passati alla storia e in alcuni casi autentici capolavori, si accingono a compiere dai 30 ai 40 anni, sono tantissime le band del nuovo millennio che ne riscoprono il “mood”. Lo hanno fatto in maniera dichiarata gli Haken con l’album “Affinity”, in modo altrettanto esplicito i Riverside con “ID.Entity”, mentre tra le novità più recenti scopriamo The View Inside, figliocci ideali degli It Bites che nelle loro session di studio dispensano cover di Nik Kershaw o dei Men at work, o the Movers, che già dal nome rendono omaggio ai Rush di brani come “Prime Mover” o di album come “Moving Pictures”.

E in questo filone ci sentiamo di inserire appunto The Forty Days. Dopo l’ottimo primo album “The colour of change”, del 2017, che oscillava tra una psichedelia romantica filo-floydiana e il già citato new-prog, con questo seguito la band spinge il pedale su questo secondo ingrediente.

Attenzione, però: per quanto si possano fare paragoni con quei decenni d’oro, l’album è tutt’altro che derivativo. Anzi, la scrittura suona fresca, moderna, vivace, variegata e gustosamente ispirata.

Si oscilla tra brani come “Under the trees”, che tra cavalcate di Minimoog su tempi dispari e delicati arpeggi di chitarra ricchi di effetti richiama nella globalità i Pendragon, fino a crescere però in una commovente coda chitarristica che potrebbe essere un out-take da “Clutching at straws”, a momenti più duri, come “Broken Bars”, floydiana solo all’inizio nei suoi lunghi tappeti di organo, ma che deflagra in una potente interpretazione chitarristica e, soprattutto, vocale; o “The Fog”, le cui chitarre cupe e voci filtrate fanno pensare ai Porcupine Tree del periodo “In Absentia”. Fino alla commovente title-track, struggente ballad pianistica ancora in odor di Steven Wilson.

Ma l’Italia, oltre che terra di prog, per tutti gli anni ‘70 e nei decenni successivi ha sempre rappresentato un’eccellenza nel jazz-rock e nella fusion. E The Forty Days sapranno piacevolmente stupire e deliziare l’ascoltatore con il funkeggiante strumentale “Bi!”, che ben si addentra in questi territori.

Concludendo: se come il sottoscritto, per ragioni anagrafiche, culturali e generazionali siete cresciuti in un certo periodo storico, amando certe sonorità ed atmosfere, in questo secondo album di The Forty Days troverete un vero e proprio scrigno di delizie da assaporare.

TRACCE:

1.Monday-5:33

2.Under The Trees-7:20

3.The Fog-5:15

4. Broken Bars-6:30

5. B4 The Storm-2:18

6.Bi!-3:47

7. Beyond The Air-5:14

8.In Glide-8:29


THE FORTY DAYS:

- Giancarlo Padula: vocals, keyboards

- Dario Vignale: guitars,

- Massimo Valloni: bass

- Giorgio Morreale: drums




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