Solo – “Summer fading (Late love song)” (2023)
di
Alberto Sgarlato
Giuseppe Galato,
che nei suoi progetti si firma Solo, è un
artista che, avendo capito come si stanno trasformando le logiche del mercato
musicale, ha scelto di affrancarsi dal concetto di album e di rilasciare
periodicamente delle pubblicazioni di singole tracce solo in formato di
streaming digitale.
La sua più recente creazione,
divulgata alla fine di settembre, si intitola “Summer
fading” e reca come sottotitolo “Late
love song”. Insomma: una canzone dedicata a un’estate che
finisce… O a un amore sbocciato troppo tardi? O per contro troppo presto,
quando si è troppo giovani? I ricordi volano immediati a quando eravamo
ragazzini, conoscevamo in spiaggia quella che ci sembrava la nostra persona
ideale ma le vacanze ormai erano terminate e lo spettro del ritorno a scuola
aleggiava su di noi. E chissà se l’avremmo rivista mai più? (La persona, non la
scuola, ovviamente; la scuola purtroppo era lì ad aspettarci!)
In realtà il testo di “Summer fading”
è ben più complesso rispetto a questa minimizzazione. La storia del
protagonista inizia a dodici anni di età, vive un suo epilogo un paio d’anni
dopo, continua fino ad arrivare alla sua piena consapevolezza di “over 30”. Le
vicende amorose nella trama ci sono, ma sono quasi un pretesto per raccontare
come cambiamo noi nel tempo e negli anni, ma anche come spesso restiamo
coerenti con noi stessi e con le nostre passioni, non solo amorose e
sentimentali (tornare a innamorarsi di una stessa persona) ma anche quotidiane
come i videogiochi, i fumetti… E perché no? Anche la musica. Ecco, appunto:
veniamo alla musica.
Si parte con una chitarra che
riporta in auge certo “jangle-pop” anni ‘80/’90, sorretta da una partitura di
violoncello che sembra scorgersi appena in un remoto sottofondo. La voce è
sognante, carica di riverberi per renderla ancora più “fiabesca”, ma è dalla
seconda strofa, con l’entrata di basso e batteria, con la chitarra che diventa
ad accordi pieni e dalla voce, che da sognante si asciuga dei riverberi e si fa
più struggente nella sua interpretazione, che il brano prende corpo. Il tutto
fino a una inaspettata coda psichedelica, dove i temi di chitarra diventano un
riff e i sintetizzatori emettono sibili cosmici, fino a ritornare al tema cantato
del ritornello. Gran finale con la maestosità di un Mellotron in gran spolvero
per il crescendo conclusivo.
Gli ultimi scampoli di new-wave degli Smiths, la freschezza delle melodie di Mercury Rev, Stereolab e Belle & Sebastien, lo space rock nato con i Can e approdato al Madchester degli Stone Roses, il folk malinconico che parte da Nick Drake e arriva a Sufjan Stevens, il tutto racchiuso in un gioiello di sei minuti di indiscussa bellezza.
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