Gleemen - “Dove vanno
le stelle quando viene giorno?”
di Alberto Sgarlato
Questo è proprio uno di quei casi in cui vale
la pena fare un po’ di storia. Sì, perché negli anni ‘60 non era come oggi, che
un artista mette un brano nuovo su una qualsiasi piattaforma di streaming e in
tempo reale, in quel preciso istante, può ascoltarlo tutto il Mondo. 50 o 60
anni fa le comunicazioni viaggiavano in modo ben diverso e molto più lento,
visto che il Web non esisteva.
Eppure, eppure… Eppure, l’Italia è sempre
stata all’avanguardia nel fare sue e interpretare con il proprio gusto e il
proprio stile le tendenze musicali di altre nazioni.
E in questo scenario tricolore, una menzione
speciale la merita la Liguria. Sarà perché è sempre stata terra di marinai, di
mercanti, di esploratori e di navigatori, sta di fatto che fin dagli anni ‘60,
e poi nei ‘70, negli ‘80 si sono moltiplicate innumerevoli band (non staremo a
ripetere per l’ennesima volta i nomi, noti a tutti), particolarmente attente
agli scenari d’Oltremanica o d’Oltreoceano. Dal beat alla psichedelia, dalle
varie forme di musica nera, come il blues, il soul e l’r’n’b, dall’hard rock al
prog, fino al jazz-rock e negli anni ‘80 anche al metal, non c’è stato genere
musicale straniero che non sia stato esplorato con tempestività da una band
ligure.
In questo vero e proprio esercito di
pionieri, una menzione d’onore la meritano i genovesi Gleemen: furono infatti fondati addirittura
attorno (secondo la maggior parte delle fonti) al 1965 da “Bambi” Fossati,
chitarrista inizialmente figlio del beat e del blues ma letteralmente
folgorato, pochi anni dopo, dal sound del mancino di Seattle, tanto da
diventare uno dei primi, se non il primo chitarrista della nostra nazione a
conquistarsi l’appellativo di “Hendrix italiano”.
Fossati esplorerà nel corso della sua vita
tanti territori musicali, dall’hard-blues alla psichedelia, al prog, con i suoi
progetti Garybaldi, Bambibanda & Melodie, Acustico Mediterraneo, fino a
nuove incarnazioni a nome Bambi Fossati & Garybaldi.
Ormai sono purtroppo quasi dieci anni che
Bambi non è più tra noi. Ci ha lasciati nel 2014. Ma il nome Gleemen è ancora
vivo e attivo: in questo nuovo album, intitolato “Dove vanno le stelle quando viene giorno?” il timone,
infatti, è ben saldo nelle mani di un musicista presente fin dalle prime
formazioni di Gleemen e Garybaldi: il batterista e cantante Maurizio
Cassinelli.
Al basso e ai cori troviamo Alessandro
Paolini, mentre un vero e proprio esercito di chitarristi si avvicenda
nelle varie tracce per non far rimpiangere l’amato “Bambi”: la formazione è
infatti completata dal chitarrista e compositore Mauro Culotta, già nei
Gens, che come autore ha scritto per Mia Martini, Ivano Fossati, Ornella Vanoni
e numerosi altri; da Marco Zoccheddu, chitarrista già facente parte di
una delle prime formazioni dei Gleemen, ma che ha suonato anche in alcuni tra i
principali gruppi del prog italiano, come Osage Tribe, Duello Madre e La Nuova
Idea; e poi ancora da Giampaolo Casu, dall’ospite Santiago Fracassi
e talvolta in veste di chitarrista anche lo stesso già citato Paolini. Il parco
tastiere è suddiviso tra i sintetizzatori e gli effetti elettronici
dell’indispensabile e poliedrico Paolini e l’organo Hammond di Zoccheddu;
infine menzioniamo le “ospitate” di Matteo Robolini alla batteria e al
darabooka in un paio di tracce.
Quasi a chiudere un cerchio con tutto quanto
detto finora, “Dove vanno le stelle quando viene giorno?” è un album del
catalogo Black Widow Records, etichetta apprezzata da oltre 30 anni a
livello internazionale per il suo encomiabile lavoro di tutela del rock
progressivo di ieri e di oggi (e non solo del prog ma di tanti altri generi,
dalla psichedelia all’hard rock e dintorni).
Perché si chiude un cerchio? Perché abbiamo
parlato dell’importanza della Liguria nella scena musicale italiana e la Black
Widow è nata e cresciuta proprio in quella via del Campo, nel centro storico di
Genova, cantata da De Andrè.
Ma veniamo ora al disco: la quasi totalità
dei brani è firmata Cassinelli/Paolini, tranne “Le tue dita al buio”,
che vede il contributo di Fracassi, “La mia chitarra”, firmata insieme a
Pier Niccolò “Bambi” Fossati quando era ancora tra noi e due brani che non è
eccessivo definire “leggendari” del repertorio beatlesiano: “Tomorrow never knows” (Lennon/McCartney) e “Within you, without you” (Harrison).
Proprio alle due tracce dei Beatles è affidato il compito di aprire il disco e
di chiuderne il lato A della versione in vinile.
“Tomorrow never knows” è molto fedele
all’originale, seppur appena lievemente indurita nei suoni e poco dilatata, dai
3 minuti della versione dei quattro di Liverpool a 4 minuti, grazie a qualche
inserto chitarristico. Così più o meno si può dire anche del brano di Harrison.
Certo, tutto l’album è intriso di una
profonda malinconia per la perdita di “Bambi”. E questo traspare in diversi
brani, come “Le tue dita al buio”, prima soft ballad che si incontra tra
le varie tracce, che ben trasmette quel senso di vuoto e di amarezza, sia col
testo sia con la musica.
I sanguigni riff di gusto tipicamente
fossatiano sono invece immediatamente riconoscibili in “La mia chitarra”,
brano decisamente energico che trasuda tutta la potenza del compianto “Hendrix
italiano”.
Il disco scorre rivelando una straordinaria
varietà stilistica, pur nella sua perfetta coerenza: dal groove quasi
funk-psichedelico di “What I want to say”, altro brano con un testo a
dir poco doloroso come un pugno, agli arpeggi acustici progressive-folk di “Sulla collina” (una delle vette in un album complessivamente eccelso),
all’incedere roccioso di “Intolerance”, uno degli episodi più hard e più
dark, in netto contrasto con la ballad precedente, un quasi-strumentale (il
testo dice una sola parola) che oscilla tra hard-rock e jazz-rock; alla
delicata, rarefatta e surreale “Diario di un dromedario”, che alterna
momenti più ipnotici a riff più distorti, alla conclusiva “Dove vanno le stelle?”, il brano più vicino al progressive rock di stampo canonico in
virtù di un massiccio uso dell’elettronica.
Il vinile termina qui. La versione in CD ospita ancora due tracce: “Facili illusioni”, brano dal riff che cattura fin dalle prime note, e “Ragazze di giorno, ragazze di sera”, ballad psichedelica di gusto beatlesiano ma anche fresca come le melodie del beat italiano.
Concludendo: per i giovani che non
conoscevano l’arte di Pier Niccolò “Bambi” Fossati, la sua grinta, il suo
estro, sarà l’occasione per riscoprirne la storia grazie all’encomiabile lavoro
di un gruppo di grandi musicisti che ne omaggia la memoria. Per chi ha amato
quelle band dalle quali questi musicisti provengono… sarà il momento di versare
ben più di una lacrimuccia di commozione.
Un album intenso, riuscito; regala tanta
malinconia pensando a chi non c’è più ma anche tanta gioia ascoltando chi resta
e continua a scrivere ottima musica.
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