martedì 21 maggio 2024

Cristiano Varisco: “Aline”, commento di Alberto Sgarlato

 


Cristiano Varisco: “Aline”

 (2013, ristampa 2024) 

di Alberto Sgarlato

 

Compie dieci anni “Aline”, l’album di debutto dell’artista brasiliano Cristiano Varisco. E la casa discografica OOB Records celebra questa importante ricorrenza ristampando l’opera.

Chi conosce a fondo due celebri album tra quelli ritenuti più importanti nella nutrita discografia di Todd Rundgren, cioè “Todd” e “A Wizard, a true star”, troverà nell’approccio alla musica di Varisco delle “affinità elettive”.

Un concetto per nulla facile da spiegare, perché i due artisti non si assomigliano affatto. Ma la similitudine nell’approccio sta sia nel fatto di non essere, ambedue, ascrivibili a un genere preciso, ma di spaziare tra stili e correnti, sia nel concepire un disco quasi come un “blocco di appunti”: nel magma rundgreniano la ballad romantica, l’elettronica, il soul, il blues, il funk si stemperavano tra loro in un qualcosa che finiva quasi con il diventare un brano unico, che percorreva tutto il disco.

Varisco sceglie invece la soluzione dello sfumato (molto di moda negli anni ‘70 e ‘80, ma che non ci saremmo aspettati nel 2013) per “troncare” delle composizioni che, di fatto, non hanno un inizio e una fine ma, esattamente, “arrivano” e, allo stesso modo, sfumando, scivolando via, “se ne vanno”.

E, sempre come nell’opera (e nella filosofia) rundgreniana, anche nel caso di Varisco si tratta, più che di composizioni realmente strutturate, di “sketch” di varia lunghezza che danno comunque sempre l’idea della creatività e della versatilità espressiva del chitarrista brasiliano.

La malinconia acustica e intimista di “Solitude”, le geometrie math-rock di “Tempo”, il blues di “Pedal da Cidade”, il funk veramente carico di groove di “Saìda da Emergencia”, la psichedelia di “Lago dos Azaferes”, uno dei brani più cangianti, tra momenti rarefatti, crescendo progressiveggianti e solismi floydiani, il prog-folk di “Tarde quente de inverno”, la kosmitsche musik di “Canto do urutau”, con i suoi oscillatori sibilanti, il country-rock di “Do cosmos au Mexico”, che profuma persino di certe ballad AOR anni ‘80, ma con inaspettata accelerazione finale, sono soltanto alcuni esempi. E poi ancora “Lagrima”, perfetta come colonna sonora, il ritorno a momenti più rarefatti ed eterei con “Ayahuasca”, le suggestioni world-music di “Venus”, momenti di latin-rock debitori di Santana in “Mares & Dunas”, gli inaspettati riff hard di “Rosa Cromatica”, brano nel quale anche il basso ricopre un ruolo di primissimo piano, in un turbinio latin-metal-funk-prog. E ci si avvicina alla fine con la sognante e spiazzante “Espiral Lunar”, la brevissima title-track nella quale, del tutto inaspettatamente, è invece il piano a dare il via alle danze, tra interscambi di chitarra e violino, fino alla conclusiva “The Ultrajeto”, ancora ricca di groove tra funk e fusion.

L’album è quasi totalmente strumentale, pochissimi interventi corali senza testo, o brevi vocalizzi, o stralci di recitati sono ridotti ai minimi termini e fanno capolino qui e là nella musica.

Un disco ricco di atmosfere affascinanti, suonato benissimo, concepito in modo eclettico, che potrà sorprendervi, spiazzarvi, disorientarvi ma che di certo non vi lascerà indifferenti.




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