M.E.N. - “Spillover”
(2024)
Ma.Ra.Cash. Records
di Alberto Sgarlato
I M.E.N.
sono, più che una vera e propria band, una sorta di “collettivo”, dal momento
che i tre componenti che ne fanno parte non sono assegnati a ruoli rigidi ma si
alternano tutti alla voce e a molteplici strumenti.
Questo loro album, intitolato “Spillover”, è una critica alla società
attuale, travolta da una serie di situazioni (dal consumismo ai social network)
che l’uomo non è evidentemente pronto a gestire.
Mettiamo un attimo da parte la musica e
facciamo un excursus di valore storico, scientifico e sociale: il termine
“Spillover” è stato adottato in primis nel mondo dell’epidemiologia e indica
quello che in italiano viene chiamato “il salto di specie”. Non è proprio così
facile da spiegare, ma facciamo un esempio immediatamente comprensibile a
tutti: il Coronavirus si dice che sia stato passato dal pipistrello all’uomo:
in quel momento è avvenuto un “salto di specie” che ha scombussolato (e non di
poco) le nostre abitudini e la nostra quotidianità.
Lo “Spillover” dei M.E.N. è più “metaforico”
e parla di abitudini e quotidianità continuamente scosse da mutamenti sociali,
tecnologici, politici ai quali non siamo preparati.
Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo
Vincenzo "Enzo" Lardo
a.k.a. 240bpm
Nicola "Nick" Cruciani
a.k.a. Flavour
Per rendere al meglio questa sensazione di
alienazione e di caos, i tre musicisti sono ricorsi a tecniche di registrazione
molto complesse, che valorizzassero ogni sfumatura, ogni ampiezza ambientale,
ogni suono che attraversa lo spettro. E, in effetti, ascoltando l’album
rigorosamente in formato WAV, senza compressioni e senza perdite di dati,
passando attraverso una scheda audio semiprofessionale e delle cuffie che
ripropongono un ascolto neutro, senza eccessive frequenze basse (come è
tristemente di moda oggi), tutti accorgimenti che il sottoscritto ha avuto, si
rimane colpiti dalla qualità dell’incisione e della produzione.
Difficile, ovviamente, etichettare, il mondo
sonoro dei M.E.N.: l’elettronica è elemento-cardine, ma è filtrata attraverso
una forte sensibilità dei musicisti, che con interventi chitarristici che
potremmo definire “gilmouriani” e lunghi tappeti tastieristici di stampo
romantico, portano le coordinate verso un rock di gusto più classico.
Alla fine, elettronica, down-tempo, trip-hop,
tanta neopsichedelia (ricordate i Porcupine Tree di “Up the downstair”, per
esempio?) e certo new-prog sinfonico, convivono in questo prodotto sicuramente
elegante e ben confezionato.
L’opening affidata a “World wide weird”,
con un sottile gioco di parole, descrive le insidie del web e le trasmette
sotto forma di un grande e coinvolgente “circo sonoro” all’ascoltatore; “Everything”
è un riuscito connubio tra alternative-rock e interpretazione vocale tra
recitato, enfasi teatrale e rap, seppur con armonie vocali debitrici della più
classica psichedelia; “Human eclipse” è una delle tracce più cupe
e più giocate su atmosfere rarefatte dell’intero lotto; atmosfere che sembrano
quasi capovolgersi totalmente nel dream-pop lo-fi di “Present days”; “Mouths”
riporta all’effettistica della opening e all’alt-rock della successiva “Everything”,
ma con un ancor maggiore afflato orchestrale; in mezzo a tanta pienezza di
suono, risulta spiazzante una ballad come “Keeping safe”, dal
sapore quasi barrettiano, una ninna nanna stralunata, un po’ dolce e un po’
angosciante; tutto ovviamente cambia di colpo con “Broken kite”, che
invece è uno dei brani più hard dell’intero lotto, con una forte presenza
chitarristica in primo piano. “Mother earth” è una sorta di “raga
del XXI secolo”, ipnotico e psichedelico, con un sitar che detta le regole
dell’intera traccia; altra ballad surreale, stralunata, alienante è “Past
days”, retta da chitarra acustica e Mellotron ma impreziosita da
campionamenti disseminati qui e là.
Il discorso si fa un po’ più complesso con la
“Interchange station”, quella che la band chiama la “stazione di
interscambio”, attraverso la quale, come in uno svincolo ferroviario,
l’ascoltatore deve scegliere quali saranno gli umani destini attraverso una
decisione variabile tra tre potenziali tracce conclusive, intitolate “Hell”,
“Purgatory” ed “Heaven”. Il primo di questi tre
brani, in ordine come li abbiamo menzionati, è più “serrato” come ritmiche, il
secondo è più sinfonico e dominato da grandi evoluzioni chitarristiche,
l’ultimo sembra quasi rappresentare un po’ una somma dello stile della band.
M.E.N.
Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo
Vincenzo "Enzo" Lardo
a.k.a. 240bpm
Nicola "Nick" Cruciani
a.k.a. Flavour
Marco Grieco: vocals, piano,
keyboards, bass, drums, electric and acoustic guitars, sitar, orchestral
arrangements, vocoder, choirs, sounscapes;
Vincenzo Lardo: vocals, electric and
acoustic guitars, keyboards, programming, choirs;
Nicola Cruciani: vocals, electric guitars, lap steel guitars, loops, choirs.
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