martedì 18 febbraio 2025

Limite Acque Sicure – “Un’altra mano di carte”, commento di Alberto Sgarlato

 


Limite Acque Sicure – “Un’altra mano di carte” (2024) 

di Alberto Sgarlato


Limite Acque Sicure. Una band che già nel nome contiene un messaggio chiaro, fatto di voglia di osare, di uscire dalla cosiddetta “comfort zone”, di rischiare verso nuove soluzioni al di fuori dei canoni consueti. E se già il loro album d’esordio, datato 2022, sceglieva come titolo il nome stesso della band, a simboleggiare come questa ricerca e questo tumulto interiore potesse diventare un concept-album sul tema del viaggio e del coraggio, il secondo album di fine 2024, “Un’altra mano di carte”, lascia a sua volta intendere una prosecuzione di quei temi.

Il sestetto ferrarese, che comprende la cantante e polistrumentista Ambra Bianchi (flauto e arpa), il cantante solista Andrea Chendi, il tastierista Antonello Giovannelli, il bassista Francesco Gigante, il chitarrista Luca Trabanelli e il batterista Paolo Bolognesi, consegna dunque alle stampe sei tracce nelle quali il tema della voglia di rimettersi in gioco di fronte alle sfide della vita fa da filo conduttore.

Oniriche e sibilanti sonorità elettroniche annunciano “Joker”, prima traccia del disco, immediatamente scandita da un roccioso riff dal sapore quasi blacksabbathiano; qui la chitarra è principe, sia nei temi, sia nelle divagazioni soliste, sempre ben supportata da un gran lavoro di tastiere (soprattutto Hammond e Moog) e da una presente sezione ritmica. L’entrata del cantato costruita su una melodia volontariamente frammentaria richiama alla mente i Gentle Giant.

Una vera e propria mini-suite, della durata di circa 9 minuti, nella quale dal terzo minuto in poi le atmosfere cambiano ancora drasticamente, tra il lirico e il teatrale, fino a un ritorno a sonorità più rock per il lungo crescendo finale.

Il racconto di Juan della sua terra” è invece introdotta da atmosfere pastorali, affidate al flauto e al Mellotron, che ben presto crescono e sbocciano in un arioso prog melodico di tipico gusto italiano classico, tra gli arpeggi delle chitarre acustiche e i ricami del Moog. C’è quasi qualcosa di remotamente battistiano nelle parti più cantautorali della traccia. Il brano prosegue in un sapiente alternarsi di momenti più intimi, tra piano e string-machines (le tastiere per archi), ed altri più duri affidati alla chitarra e a un “sanguigno” lavoro di una sempre precisa e accurata sezione ritmica.

Natale 1914” … Il I grande conflitto mondiale si sta purtroppo consumando, metaforicamente rappresentato qui da un marziale uso del rullante e del flauto. L’intensità tragica del cantato non può non evocare il grande Francesco Di Giacomo del Banco. Siamo tutti “fratelli inermi” anche se la follia di chi ci governa ci trasforma nostro malgrado in “fratelli in armi”, come recitano le accorate liriche del brano.

Profumo di Banco anche negli eleganti dialoghi costruiti tra il pianoforte e la chitarra acustica nelle parti più intimiste, tra i sintetizzatori e la chitarra elettrica nei momenti più rabbiosi.

“… Non il Bergerac” è introdotta da una magistrale partitura per pianoforte, capace di lasciare l’ascoltatore a bocca aperta, mentre l’alternarsi di parti più veloci e altre più struggenti si dipana sulla falsariga dello stile già ottimamente collaudato nel brano precedente.

Sonorità mediterranee, tra vocalizzi femminili, percussioni, fisarmoniche e chitarre arpeggiate, aprono le danze in “Chita. Se è vero che in tutto il Pianeta, ormai da decenni, la sigla RPI indica il Rock Progressivo Italiano come genere a sé stante, capace di fondere il rock e il jazz con le suggestioni dei nostri luoghi e della nostra storia, allora questo brano è destinato ad affermarsi come uno dei suoi più nobili manifesti. E anche stavolta ci troviamo di fronte a una vera mini-suite di oltre 9 minuti, densa di colpi di scena nella sua struttura.

La band si congeda con “Storie perdute”. E lo fa nel migliore dei modi, a cominciare dal poderoso muro di suono generato da un Hammond distorto dal sapore emersoniano ben sorretto dai cori del Mellotron. Sonorità aspramente vintage squisitamente poste al servizio di un sound che invece risulta attuale nella freschezza del cantato, delle ritmiche, dei riff chitarristici.

Abbiamo ormai ribadito a più riprese che la durata media delle singole tracce oscilla tra gli 8 e i 9 minuti e, ovviamente, anche questo gran finale, non fa eccezione. Il testo cita personaggi (il Joker) ed evoca tra le righe riferimenti agli altri brani, degna chiusura di un cerchio come in ogni concept che si rispetti.

A questo punto, dopo una prova così convincente, non ci resta che restare con grande piacere in attesa “della prossima mano di carte”.



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