Giuseppe Scaravilli ricorda una sua importante avventura
musicale, quella che lo ha visto esibirsi in America con i Malibran. Ma più che
la musica, in questo caso, conta l’esperienza di vita.
Malibran in USA
Siamo partiti
dall’aereoporto di Catania ai primi di ottobre 2000: lì trovo Carmen Consoli,
che va a suonare a Bari; ci conosciamo da anni, e la riprendo con la
telecamera, facendole una finta intervista scherzosa. Lei, come sempre, mi chiama
“Scaravilli”… poi la lascio a farsi un po’ di foto con un nugolo di ragazzine…
C’è anche un mio ex
compagno di banco del Liceo che parte per il viaggio di nozze! Tra andata e
ritorno, per suonare negli States, dobbiamo prendere 6 voli (Catania-Roma-Newark-Raleigh,
e poi Raleigh-Newark-Milano-Catania), ma è bello attraversare l’Atlantico per
andare a suonare la propria musica, pagati! Jerry porta con sé moglie e figlia
di 7 mesi (così, in effetti, non abbiamo un aspetto molto Rock…). Lui e Angelo
sono gli unici a partire con i propri strumenti personali, mentre io e gli
altri utilizzeremo quelli che troveremo in America. Per arrivarci voliamo per 9
ore sull’Oceano.
Il palco è collocato
in un prato verde, con una tettoia tipo “Chiesa”; la location si chiama
“Storybook Farm”, ed è a Chapel Hill. La gente, proveniente da vari Stati,
ascolta i gruppi che si alternano, e che arrivano da varie parti del Mondo
(anche dall’India e dalla Svezia…); oppure passeggiano sull’erba, o comprano
qualche CD negli stand sparsi qua e là… alcuni ci conoscono e ci chiedono un
autografo. Noi ci sdraiamo sul prato, chiacchierando con Leonardo Pavcovich,
che due anni dopo porterà la PFM in Giappone (comparirà anche sul loro DVD, e
verrà ringraziato al microfono da Franz Di Cioccio).
C’è un bel sole, ma
per il giorno dopo, quando toccherà a noi, è previsto un peggioramento: gli
organizzatori chiedono a tutte le band se preferiscono suonare in un luogo
chiuso, ma tutti rispondono di no. Il giorno dopo, in effetti, il clima è
completamente cambiato… dall’estate all’inverno in 24 ore! Freddo, giubbotti,
cappucci in testa e cioccolate calde…
Noi dovremmo suonare
alla fine, come gruppo “clou”, ma saliamo sul palco come penultimi. In ogni
caso si svolge tutto di giorno, prima che faccia buio. Proprio questa edizione
del festival non viene registrata dal mixer, ma ci regaleranno comunque dei cd
del nostro show che sembrano dischi ufficiali, anche se non di qualità audio
altrettanto buona. Senza la nostra strumentazione non abbiamo un gran suono, e
fa talmente freddo che il basso si scorda spesso, mentre io, dopo qualche
pezzo, mi vedo costretto ad indossare il giubbotto che avevo con me…
Mentre suoniamo,
tramite l’amico Alfredo (partito con noi) vendiamo tutti i CD che ci eravamo
portati dietro. Io, naturalmente, devo anche parlare in inglese al microfono,
improvvisando sul momento, presentando i brani, il gruppo, e ringraziando per
gli applausi. Il giorno dopo andiamo a New York, questa volta in veste di
semplici turisti: saliamo in cima all’Empire State Building, entriamo nelle
Twin Towers e vediamo più a distanza la Statua della Libertà, il Madison Square
Garden ed il Radio City Music Hall. Per pura coincidenza incontriamo i Mary
Newsletter, l’unico gruppo italiano presente al festival oltre noi. E anche Alessio
ed Alfredo al Central Park (ci eravamo divisi).
Un tassista
sudamericano (anche lui musicista) ci porta in giro, e riesco a comunicare con
lui utilizzando un mix tra inglese e… il messicano dei fumetti di Tex Willer!
Il tipo si dimostra una grande persona: dopo che ci ha lasciati all’aeroporto, mentre
il nostro volo per il rientro a casa sta per partire, Jerry si accorge di aver
dimenticato la sua chitarra sul taxi (!). Ma il tassista, invece di tenerselo, appena
si accorge di avere ancora con sé lo strumento, fa il giro dell’aeroporto e
riesce a raggiungere Jerry, che correva di qua e di là, cercando disperatamente di contattarlo (ci
aveva lasciato il suo numero di telefono). Alla fine l’abbraccio fra i due è
quasi commovente!
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