domenica 22 gennaio 2017

Tenebrae-“My Next Dawn”, di Gianni Sapia


Recensione già apparsa sul numero di dicembre di MAT2020 (WWW.MAT2020.COM)

Tenebrae-“My Next Dawn”
di Gianni Sapia

Più spesso. Ci vuole poco tempo, che può diventare molto. Ma in fondo è solo tempo, niente di importante, se non lo si riempie. Poco o molto che sia. Più spesso comunque, dovrei farlo più spesso. Non è ancora abbastanza, devo riempire il mio tempo con più musica, perché è da lì che deriva il vero godimento, dalla musica. E si parte da lì, solo musica, senza parole, introdotta da un ticchettio che non mi fa perdere di vista il tempo. Un inizio roboante, un motore che si scalda e prende i giri. La macchina si mette in moto, gli ingranaggi girano, ben oliati e i pistoni prendono a pompare. Dreamt Apocalypse è solo l’intro musicale, ma già riempie l’aria di polvere d’apocalisse, profumi epici, contorni eroici e leggendari, ma anche mistero e soprassalto. La strada è tracciata, non resta che seguirla. E si comincia a correre. Black Drape è senza tregua, corre a perdifiato salvo frenare in liturgiche aree di parcheggio, creando una varietà ritmica davvero esaltante. 
Come l’intro aveva chiaramente fatto intendere, siamo tra doom metal, progressive metal, black metal e via dicendo, ma a parte le etichette, siamo in mezzo a musica spessa. Musica che non si ferma mai e il suono di tastiere evocative mi accompagna in Careless e su binari di infinite montagne russe sonore prosegue il viaggio. È un’armonia acustica dove i solisti sono al servizio del gruppo. Nessuno ruba la scena a nessuno, ma tutti incantano le orecchie di chi ascolta. I musicisti bravi fanno così. Gran pezzo, dove si nota anche quella base melodica, che, in mezzo a tanta “violenza”, rende inconfondibile il timbro del gruppo. Melodia che risulta più evidente in Grey, dove l’introduzione classica addolcisce la potenza che verrà, esaltata dai cambi di timbro vocale, che da cavernoso e ringhioso sa diventare pulito e potente, fino ad essere dolce e malinconico. “All the animals died and the beasts remained” è una frase del testo di The Fallen Ones è può forse essere rappresentativa di tutta la poetica del disco. Immagini apocalittiche e distruttive, parole che formano frasi fatte di macerie di umanità, dove quello che resta, il poco che resta di quell’essere umano fatto di viscere e sentimento, rappresenta ciò che poteva essere ma non è mai stato. Film di ispirazione The Road, appunto. E mentre scrivo The Fallen Ones continua ad incendiare l’intorno con la sua ritmica potente, la chitarra che amalgama, la tastiera che orna, la voce che ammalia e meraviglia. Metà album, si scavalla, ma la tensione sale e la potenza espressa resta alta con The Greatest Failure, altro pezzo che conferma non solo l’architettura potente e tenebrosa del gruppo, che si evidenzia palese, ma anche la capacità di questi artisti di gettare delle basi melodiche, che aiutano a mantenere un equilibrio musicale davvero particolare, un marchio tutto loro. Come in tutto l’album anche il testo fa parte di questa amalgama particolare, di questa luminosa alchimia. Testo e musica sembrano essere inscindibili, una sola anima. Anche per Behind, settimo brano dell’album, voglio citare una frase che mi piace un bel po’: “Under the sign of the mighty I / We have broken all ties” e poi ancora la musica intorno al testo o viceversa e i musicisti abili druidi a mescolarne sapientemente gli ingredienti. L’album non perde vigore mai e anche nell’apparente tranquillità di Lilian (Changing Shades) aleggia comunque un’inquietudine e una certa malinconia, che danno la giusta collocazione all’interno dell’album anche di questo pezzo. L’album, sì certo, perché ovviamente è di un album che sto parlando, anche se non l’ho ancora detto. Ci sarà tempo (ancora il tempo…), ora la storia prosegue con un pezzo significativo non solo perché è forse quello emotivamente più intenso, quello musicalmente più ricco, quello che più ti rimescola le viscere per i suoi cambi di direzione, per la sua pienezza, ma anche per il titolo, capirete perché. Lei è My Next Dawn e da penultimo pezzo dell’album continua a mantenere tutte le promesse finora fatte. Ci siamo, ultimo giro di giostra, As The Waves (Always Recede). La storia finisce in mare, anzi, col mare e la sua ambiguità, il suo saper dare e togliere speranze, col suo incanto, sottolineato da una musica accorta e accorata. Finito. L’opera di teatro canzone in chiave progressive metal My Next Dawn dei Tenebrae è finita. La storia e i testi, per la prima volta in inglese, sono sempre di Antonella Bruzzone a cui vanno grandi applausi. Chitarrista di gran tocco e fondatore del gruppo Marco Arizzi. Altro elemento storico del gruppo il bassista che cuce Fabrizio Garofalo. Tastierista e pittore di contorni Fulvio Parisi e batterista che non lascia scampo Massimiliano Zerega. E Paolo Ferrarese, la voce, anzi, le voci. Fa più scale di un quadro di Escher! Hanno collaborato Laura Marsano per le chitarre acustiche e Sara Aneto curatrice del book. I Tenebrae, signore e signori, ci hanno regalato un’opera che va ascoltata, letta, guardata, annusata, assaggiata, un’opera che il tempo non cancellerà. Il tempo, ancora lui…


Tracklist:
1 Dreamt Apocalypse
2 Black Drape
3 Careless
4 Grey
5 The Fallen Ones
6 The Greatest Failure
7 Behind
8 Lilian (changing shades)
9 My Next Dawn
10 As The Waves (always recede)

Tenebrae:
Chitarre: Marco Arizzi
Basso: Fabrizio Garofalo
Voci: Paolo Ferrarese
Tastiere: Fulvio Parisi
Batteria: Massimiliano Zerega
Storia e testi di:
Antonella Bruzzone

Collaborazioni:
Laura Marsano (ospite su alcune chitarre classiche)
Sara Aneto (tutta la grafica del book e sito)
Registrato, missato e masterizzato all’Hilary Studio da
Rossano Villa

Pagine Ufficiali:
http://www.tenebrae.it
https://www.facebook.com/tenebraeitalia

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