sabato 21 gennaio 2017

Come ogni 21 del mese... Francesco Di Giacomo... di Wazza




«So di avere, giustamente, tanti nemici, a causa del mio carattere scorbutico e degli atteggiamenti spesso intransigenti. A causa di questi stessi difetti però ho anche qualche amico, e mi basta”.
  (Giuseppe Berto - scrittore)


Ci sarai sempre . Buon viaggio Capitano
Wazza

Dal Blog - Il Corsaro

E’ inutile provare a racchiudere in poche righe ciò che Francesco Di Giacomo ha rappresentato per la storia della musica e per molti di noi. Lui stesso avrebbe probabilmente chiesto di non sprecare un discorso di commiato per chi non è più, perché se una voce e una canzone hanno lasciato un segno, queste appartengono soltanto alla vita. E la voce di Di Giacomo è stata e continuerà ad essere per tanti, forse troppi, quella di un poeta che si è fatto prepotentemente largo fin dentro la testa, senza cessare più di sorprenderlo, come una malattia. Perché il Banco del mutuo soccorso non è stato soltanto un evento rivoluzionario per il pop italiano e una pietra miliare per il rock sinfonico a livello internazionale, ma ancor di più il culmine insuperato di una poetica che ha saputo coniugare laltezza di una ricchissima creatività musicale alla profondità vertiginosa delle parole cantate.
Ognuno di quegli album pubblicati tra linizio e la fine degli anni ‘70, periodo in cui si concentra la massima espressione artistica del Banco, rompe in chi ascolta ogni barriera tra la musica e la filosofia, tra la potenza del prog-rock e un esistenzialismo spinto alle sue estreme conseguenze, sempre in bilico tra la gioia della volontà e il dolore della ragione. Il manifesto poetico di questo primo periodo del Banco è contenuto tutto nei primi versi ispirati allOrlando furioso della traccia In Volo che apre il primo LP omonimo Banco del mutuo soccorso del 72, con cui la band romana scalerà rapidamente le vette del successo in Italia e allestero: Lascia lente le briglie del tuo ippogrifo, o Astolfo, / e sfrena il tuo volo dove più ferve l'opera dell'uomo. / Però non ingannarmi con false immagini / ma lascia che io veda la verità / e possa poi toccare il giusto. Una visione profondamente materialista della realtà unita a uninsopprimibile tensione morale: così Di Giacomo traduceva in canzoni la sua fiera identità ultra comunista, come diceva di se stesso. Questo il senso di un rock che pretendeva di essere una tagliente arma culturale senza mai perdere un potente lirismo epico. Tutte le questioni più drammatiche e pressanti trovavano così la propria trasfigurazione su un piano poetico universale, senza mai confinarsi a cronaca dellattualità o ideologia di partito: è il caso, ad esempio, di R.I.P., in cui i disastri della guerra vengono raccontati attraverso un incalzante groove rock che improvvisamente si sospende in lento corale conclusivo, o de Il giardino del mago, suite visionaria e immaginifica in cui a parlare è proprio un uomo a metà strada tra la vita e la morte.
A distanza di pochi mesi dal primo album il tastierista e compositore Vittorio Nocenzi, fondatore e mente compositiva del Banco, partorisce Darwin!, primo concept album italiano in assoluto, che consacrerà la band a punto di riferimento nella scena rock internazionale. Un album pedagogico, con cui Di Giacomo e Nocenzi chiedono di provare a pensare un pòdiverso, abbandonando loscurantismo e le facili illusioni di tutte le religioni per accettare la sfida di unesistenza drammatica, in cui la volontà umana possa scoprire la propria dignità anche di fronte allineluttabile ruota gigante del tempo che scandisce il macabro walzer conclusivo di Ed io domando tempo al tempo e lui mi risponde: Non ne ho!.
Nel nulla di ogni verità trascendente luomo può trovare il solo senso della storia nella creazione della sua libertà come potenza rivoluzionaria contro ogni oppressione: questo linsegnamento che consegnano Io sono nato libero (1973), titolo che è allo stesso tempo laffermazione stentorea del condannato a morte che invita le donne piangenti a non sprecare per lui una messa da requiem(nel primo brano Canto nomade per un prigioniero politico), e Come in unultima cena (1976), concept album in cui la metafora evangelica viene ricondotta al percorso esistenziale di una volontà che solo attraverso la comprensione del male può superare se stessa nella vita vecchia /eppure così nuova / non nella specie / ma nella dimensione. Questo stesso disco sarà prodotto (e tradotto in inglese) dalla casa discografica, la Manticore(fondata da Emerson, Lake e Palmer), con cui il Banco aveva debuttato presso il pubblico internazionale nel 75 con la prima raccolta di brani riadattati in inglese. Stessa casa che produrrà il primo lavoro solo strumentale della band, la colonna sonora del film di Luigi Faccini tratto dal romanzo di Vittorini Il garofano rosso, in cui Di Giacomo resta dietro le quinte per curarne una vera e propria introduzione e guida allascolto a partire da un lavoro di documentazione storica. Un gioiello, spesso ingiustamente trascurato dalla critica, tra cui spiccano composizioni monumentali come Suggestioni di un ritorno in campagna. La stagione più creativamente fortunata del Banco si chiude forse nella coscienza stessa della band - con Capolinea, un live storico che ripercorre con audaci arrangiamenti per fiati da big band, sviluppando le sonorità folk dellalbum uscito lo stesso anno, Canto di primavera (79), in cui i virtuosismi del rock più progressive lasciano spazio a unatmosfera pastorale e mediterranea, solare e allo stesso tempo cupa, in un intreccio di allegra malinconiache segna probabilmente il punto di arrivo della loro poetica.
Ma il testamento vero e proprio con cui si chiude la prima fase della carriera del Banco, quella su cui ci siamo soffermati qui ritenendola - a nostro avviso - la massima espressione artistica della band romana, è senzaltro la suite sinfonica di terra(78), per cui Francesco Di Giacomo compone i versi che faranno da titolo dei diversi brani, concentrando come non mai il senso del suo messaggio. Ed è con questi versi che concludiamo questo breve ricordo di un gigante della musica contemporanea, la cui voce non smetterà di segnare chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo, chi avrà la fortuna di imbattersi sempre e di nuovo nelle sue canzoni.


Nel cielo e nelle altre cose mute
Terramadre
Non senza dolore
Io vivo
Né più di un albero, non meno di una stella
Nei suoni e nei silenzi

di terra

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