di
Andrea Pintelli
Distribuzione SELF e Ma.Ra.Cash.
Label Electromantic Music Prog Italiano
Label Electromantic Music Prog Italiano
Immergersi completamente in una STRUTTURA
armonica e, allo stesso tempo, in una FORMA musicale richiede sforzo, volontà,
tempo. Una scelta ben precisa, di fatto. Con la consapevolezza di ricreare
dentro l’ascoltatore il loro mondo sonoro, i STRUTTURA & FORMA con questo
loro album, riescono nell’intento di aiutarci in questa azione, facilitandoci
il compito di dare un giudizio oggettivo al loro operato. Questo perché prima
di tutto trattasi di un disco ottimamente suonato, pensato da musicisti di
lungo corso e di gran valore, non di semplice assimilazione ma talmente ricco
di idee che comunque non si può che ammirarlo. La formazione dei STRUTTURA & FORMA, band jazz-rock nata
nel 1972, dopo uno stop di alcuni anni è ora così composta: Franco
Frassinetti (nato a
Genova, chitarrista, oltre che compositore, produttore, arrangiatore, co-fondatore di S&F,) - Giacomo
Caliolo (nato a Brindisi, genovese di adozione, chitarrista, co-fondatore
di S&F, parecchie collaborazioni, tra cui Rondò Veneziano), Marco Porritiello (nato a Como,
batterista di estrazione jazz, già collaboratore, fra gli altri, di Alberto
Fortis), Stefano Gatti (proveniente
da Frosinone, bassista, ma anche tastierista, arrangiatore e molto altro), Klaudio Sisto (nato a Milano, cantante con
lunga esperienza live in cover ed original band tra Milano e Roma). Questo la dice lunga sulle
persone con cui abbiamo a che fare. Massimo rispetto, quindi, prima di tutto.
Ad impreziosire l’album l’intervento al
mellotron di Beppe Crovella ((Elctromantic Music).
Anche se il “mestiere” di un recensore (siccome
“critico” è sempre, secondo me, un termine odioso, volendosi taluni elevare a
giudici dell’arte altrui) è quello di raccontare cosa si trova in un lavoro
fatto di note, pause, armonie, contrappunti, sogni, tempi e controtempi, ecc.
in modo oggettivo, senza lasciarsi “corrompere” dai propri gusti, in questo
caso ci si potrebbe trovare in difficoltà nei confronti di tali dettami; questo
perché “Struttura e Forma” è,
soggettivamente e soprattutto oggettivamente, un bellissimo disco.
Si parte con “Worms”: un’ondata di intrecci sonora che ci investe e ci fa capire
con schietta immediatezza che davvero non si scherza. Non esiste strumento che
sovrasta gli altri in questa composizione, siccome l’amalgama sonora è talmente
“wall of sound” che ci fa tacere ogni parola che vorremmo aggiungere. Anzi,
sono portati tutti loro a fare gioco di squadra, un gioco serio verso
l’affinità elettiva da risultare impenetrabile. Perfetto equilibrio, quindi. Musica
totale, al di là di ogni etichetta di genere. Parte “Symphony” e i nostri ci fanno atterrare sulla piattaforma di questo
palazzo di bellezza, in cui la chitarra suona soave e dove la voce fa la sua
prima comparsa. Mai una nota fuori posto, il tutto è portato sopra un livello
dove l’armonia di certi slanci si ritrova a braccetto con misteriosi guizzi
sinfonici, appunto. Si è ben oltre la forma-canzone, quindi da ascoltare e
riascoltare per coglierne appieno le sfumature. Poi, d’un tratto, click! La
track si spegne, sfumandosi verso la cover di uno dei tanti capolavori di
Emerson, Lake & Palmer, cioè quella “Lucky
Man” che nel tempo ha influenzato tantissimi musicisti. Un omaggio postumo ai
compianti geni Keith e Greg, è qui vestita di nuovi colori, nell’infausto
compito di trovarne. E i ragazzi ce la fanno, senza risultare eretici o
presuntuosi, ma piuttosto rimarcando il loro amore verso coloro che hanno
elevato il genere Progressive fin’oltre il cielo, dove Keith e Greg stanno ora
suonando fianco a fianco, in una sorta di reunion eterna. E pensare che questo
pezzo era stato arrangiato da Frassinetti insieme a Beppe Crovella nel luglio
dello scorso anno, senza sapere che Greg Lake stesse così male. Ci si soffermi
però per un attimo sull’originalissimo lavoro di basso creato per
quest’evergreen: stupendo.
E via che si riparte in termini di ritmica
con “Kepler”, song supportata da un
interessante tappeto di tastiere che ne rinforza la struttura, dove i nostri
suonano perfetti, facendoci capire che non si ha a che fare con sterili
esercizi di stile, ma con incroci di generi diversi per crearne uno solo. Il
loro. “One of Us” parte sognante, un
moderno carillon che lascia subito spazio alla voce di Sisto e ad una chitarra
più riflessiva rispetto alle tracce precedenti. Quasi un’introspezione delle
loro personalità. “Kyococoos Groove”
riparte con movimenti hard in cui il ritmo è serrato e il riff è possente,
magistralmente rinchiusi in due minuti secchi, dove sembra che le tastiere
respirino e la batteria è precisa e senza fronzoli. “Indios Dream” risulta accessibile anche a orecchi meno abituati ai
tempi dispari, di cui al concetto iniziale; i STRUTTURA & FORMA suonano senza avere nulla da invidiare a
tanti gruppi stranieri, in più c’è qui una mano tesa d’invito e d’omaggio
all’ascoltatore. “Fasting Soul”
invece prende fin da subito una piega più marcatamente fusion, la voce narra
con forza i concetti, la chitarra padrona degli spazi circostanti, non di
facile presa, ma di sicuro e piacevole e circolare ambiente. Mai sghemba, suona
forte per condurci in un lampo di fasci di luce, per poi spegnersi
all’improvviso. Se non siete mai stati ad “Amsterdam”,
ecco che i ragazzi ci accompagnano con cotanta sostanza (quindi non solo forma)
nella città della tolleranza; intercedere cupo d’iniziale sorpresa, ritmica
lenta quasi a sottolineare le parole del cantato. Notturna, permette
d’immaginare se stessi camminanti nel dedalo di stradine e ponti che la
caratterizzano, l’andatura è regolare e l’atmosfera si rilassa sulle mani di
questi bravissimi musicisti. “Acoustic
Waves” è un dolcissimo pezzo di composizione serena e gioiosa, che ci porta
in pochi minuti verso lidi sicuri e soleggiati, da mettere in repeat sul
proprio lettore cd. Canzoni così dovrebbero durare una vita, ma forse sta
proprio qui il significato della sua brevità. Felicità a sprazzi, una
meravigliosa carezza sonora. “Il Digiuno
dell’Anima”, ultimo pezzo del disco, innesta la marcia più alta, la voce si
fa italiana, mentre il gruppo spinge a mille, come in altri pezzi precedenti.
Una roccia di apparente e difficoltosa arrampicata, che sfuma come sfumano le
ultime sensazioni che si vengono regalate.
In sintesi, gran bel lavoro, di sicuro
impatto emotivo, che MAT2020 consiglia vivamente ai propri lettori. Italians do
it better?
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