venerdì 13 ottobre 2017

QUARTOVUOTO – “ILLUSIONI”, di Andrea Pintelli


QUARTOVUOTO – “ILLUSIONI” (Lizard Records)
di Andrea Pintelli

Sospiri di suoni, come stessimo nascendo. Quei pochi istanti in cui il bagliore ci investe con forza per farci intendere che si inizia a respirare autonomamente, senza l’aiuto della madre. Diventa necessario essere subito forti per affrontare anche l’innocenza. Allora quegli arpeggi eterei ci riportano “nei colori del silenzio” dove tutto è calma e distensione, dove il tutto è solo sogno, dove l’immagine è benessere ad occhi chiusi; proprio un attimo prima del mondo.
La confusione regna nei primi passi, le difficoltà vanno di pari passo con le fantasie più sfrenate, dove nozioni semplicissime si fanno montagne quasi invalicabili. Ma tutto è nuovo, tutto è allettante, tutto è sfida che si affronta quasi avessimo una “coscienza sopita”. Il lento intercedere delle prime idee è sottolineato dai primi ritmi, dalle espressioni diverse che si possono notare negli occhi altrui, dove si crede di leggere (in)volontari pensieri di stupore e incredulità, ma che noi captiamo come ILLUSIONI fatte di vibrazioni distorte e controtempi. L’irregolarità. La conquista. L’onda travolgente del contorno. Quindi di fretta, verso la vetta, subito, per poi cadere e rialzarsi per correre verso qualcos’altro, e poi ancora. Ancora. Ogni azione è momentaneamente in bilico fra il prima e il dopo, in mezzo c’è incoscienza per l’avvento dei sorrisi. Baci senza senso, a ripetizione, disinteresse per tale vuoto, da riempire con le nostre avventure quotidiane, piccole gemme ad ornamento di ogni tentativo vittorioso. Grappoli di felicità.



I passi si fanno cammino che vuole farsi marcia che pretende di essere corsa, la zona a noi dedicata è più ampia, il tempo è scandito da magie e incubi che si fanno gioie immense e dolori immensi. Tutto è pericolosamente amplificato. S’intende poco, ma per ribellione si vorrebbe sapere tutto. La complicazione di questo periodo è letta come fosse una “impasse”, ma poi è tutto in movimento e ci si impiega un battito di ciglia a perdonarsi. Gli abbracci si fanno importanti, i primi nemici li si deve imperativamente battere e superare come fossero scogli, non devono esistere impedimenti, tutto lo si vuole subito anche illecitamente, dubbi tanti da schiantare con l’astuzia, incertezza inesistente che poi torna sottoforma di macigno, scorribanda a più non posso per non lasciare spazi vuoti denominati noia intorno e dentro se stessi, atteggiamenti scabrosi al limite del guaio che altro non sono che innocenti prese di coscienza, delicatezze travestite da legami mai duraturi ma vitali all’attimo, barriere infrante comunque.
Poi, brutalmente, si cresce (troppo) in fretta. La consapevolezza di questo stato diventa (quasi) insopportabile, perché cambia tutto. Volontariamente o non, anche l’approccio alla tranquillità viene letta come diversa da quella captata poco tempo prima. Qui e ora la vita deve avere e deve dare certezze, nulla è lasciato al caso, anche un asteroide in caduta libera deve avere una sua spiegazione logica. Quella che era variazione è ora per sempre, con l’impudenza che anche gli affetti si trasformino in monumenti. Si aspettano le persone, prima ancora di cercarle, ma (prima o) poi arrivano? Gli interventi inaspettati di terze parti hanno il sapore della serietà. Le pause riflessive sono sempre da affrontare, come fossero momenti irrinunciabili. “Apofis”!



Nel lento intercedere del tempo (come del contrattempo) si formano segni nelle nostre anime che danno luogo a solchi nei nostri visi, tutto come conseguenza dei fatti vissuti, mangiati e digeriti, a volte scendendo a compromessi con la nostra acquisita maturità. Ciò che era impossibile ora si è fatto racconto, siccome già accaduto. Bellezza e orrore sono un’unica favola da scrivere per non essere mai dimenticata. Allora si parla, si stravolge per travolgere l’interlocutore, il quale spesso è disinteressato, perché la nostra posizione seduta non compensa e non comprende l’urgenza dell’andare altrui, che ci siamo dimenticati di avere avuto anche noi. Talvolta pronunciando un enigmatico “due ° io”.
L’età dell’abbondanza è ora giunta al suo termine naturale e, come ci viene imposto dalla nostalgia, ci si abbandona al ricordo, quasi ci si debba rendere conto che si sta per andare via. E’ qui che ognuno di noi, a volte con paura, talvolta con rassegnazione, pronuncia quel “tornerò” che suona come un’ennesima sfida con se stessi, nella speranza di rivedere coloro che si sta lasciando, nel tenero pensiero di poter amare le stesse persone ancora per un attimo; ogni istante è prezioso, ogni parola per lasciare traccia di sé in questa dimensione meravigliosa e dura chiamata vita. O forse Vita.
QUARTOVUOTO racconta queste e quelle ILLUSIONI che ogni giorno diamo per scontato, ma che sono il corollario necessario per ognuno di noi. Capire il significato di questo è forse deleterio, meglio agire, fare, vivere appunto.

Questa bravissima band lo fa attraverso la Musica, la nostra musica, un neo-Prog che non ha volutamente confini, ben supportato da idee d’insieme che rendono l’ascolto di questo lavoro un vero piacere. I suoni calibrati e ben concepiti, per i concetti di cui sopra, sono creati dal loro insieme, sezione ritmica, tastiere, chitarra come fossero un’unica entità, anche a livello compositivo. La resa che hanno è far pensare all’ascoltatore che il già sentito non esiste. Non cercate i riferimenti e le inutili influenze dal passato, perché qui tutto è nuovo. Da avere.



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