sabato 22 dicembre 2018

ANTILABE'- "Domus Venetkens"


ANTILABE'  "Domus Venetkens"       
(LIZARD )

"Domus Venetkens" è il terzo album per i trevigiani ANTILABE', stavolta in forma di suite in dieci parti, a raccontare un lungo viaggio, storia di migrazioni venete che arrivano da lontano prima di stabilirsi nell'attuale nord-est italiano. Un viaggio dal respiro mediterraneo dipinto da incantevoli tessiture prog-etno-jazz in cui non mancano brillanti citazioni classiche tratteggiate da un pianoforte Steinway del 1800. 
Tra eleganti e trasversali sonorità jazz-rock dai rimandi seventies e raffinati tratti sinfonici, "Domus Venetkens" è probabilmente il lavoro più entusiasmente in casa Antilabe' nel loro percorso venticinquennale. 

Graziano Pizzati - pianoforte a cosa Steinway, tastiere
Adolfo Silvestri - basso acustico, elettrico e fretless, bouzouki
Carla Sossai - voce
Luca Crepet - batteria, percussioni, vibrafono
Luca Tozzato - batteria, percussioni
Marino Vettoretti - chitarre, synth guitar, flauto dolce
Ospiti:
Piergiorgio Caverzan - clarinetto basso, sax soprano
Sara Masiero - arpa celtica
Elvira Cadorin: voce


Il tessuto musicale dell’opera si sviluppa secondo i canoni della suite, una serie di composizioni legate fra di loro da brevi transizioni che, prive di soluzioni, ne fanno un continuum unico. Seguendo concettualmente il racconto, ogni parte è contraddistinta da suoni e parole che definiscono la dimensione spazio-temporale specifica, filtrata comunque dall’originalità dello stile proprio degli Antilabé.

Discografia:
- Dedalo 1998
- Diacronie 2011
- Domus Venetkens 2018

Presentazione

Il gruppo musicale Antilabé   si propone come espressione di ampie e diversificate forme artistiche, promuovendo in particolar modo il rispetto per le diversità culturali, a qualunque territorio e a qualsiasi tempo esse appartengano.
Questo tipo di approccio, libero da schemi precostituiti, ha permesso all’ensemble di ampliare negli anni sempre più i propri orizzonti, valorizzando vari aspetti creativi. Grazie ad un humus così fertile, si sono create le condizioni ideali per il progetto “Domus  Venetkens”.

Il progetto si estrinseca fondamentalmente in due opere, direttamente correlate fra di loro, ma al contempo indipendenti e con la possibilità di avere vita autonoma e diversi tempi di realizzazione:
1.      Da una parte la stesura di un romanzo fantasy a sfondo storico;
2.      Dall’altra una suite musicale che, utilizzando la sintesi del linguaggio sonoro, si sviluppa sui temi del romanzo stesso.
Fonte di ispirazione per entrambe le opere è un reperto archeologico, una situla venetica rinvenuta in località Posmon, nei  pressi di Montebelluna (TV).

Premessa

Domus Venetkens, due parole che, pur appartenendo a lingue diverse, si fondono in modalità onomatopeica e ci riportano indietro nel tempo, alla ricerca dell’antica Casa dei Veneti.  Anche se gli studi più recenti individuano l’appartenenza della popolazione venetica ad una delle tante tribù presenti nell’antica Frigia, il fascino del mito prende le mosse da un passo dell’Iliade (II. II, 851-852) in cui Omero ricorda, tra gli alleati dei Troiani, un gruppo di Paflagoni, guidati da Pilemene:

Paphlagonôn d’hégeito Pylaimenéos lásion kêr ex Enetôn,
hóthen hemionôn génos agroteráon

Guidava i Paflagoni Pilemene, cuore maschio, dalla regione degli Eneti,
dov’è la razza delle mule selvagge

Un destino ancora attuale, fuggire dalla guerra alla volta di una terra promessa non ben definita, allocata in un altrove che al tempo stesso è tutto e niente. L’allontanamento dalla patria perduta si concretizza così in un alternarsi fra i poli emozionali dell’esilio e della scoperta, inseguendo un equilibrio che sembra trovare soddisfazione solamente nel ritorno alle origini, in un viaggio fantastico che ripercorre a ritroso le tappe di chi, secoli prima, aveva scelto coraggiosamente di andare incontro all’ignoto.


Il prologo del racconto individua un primo ritrovamento della situla di Posmon diversi secoli prima, esattamente il 27 settembre 1559. Scoperto per caso, a seguito di alcuni lavori di edificazione, il reperto viene segretamente portato a Venezia e sottoposto all’analisi di un esperto dell’epoca. Questi, esaminandolo, ne scopre i segreti più reconditi, consigliando a chi l’aveva scoperto di frantumarlo in più pezzi e di risotterrarlo nello stesso luogo del rinvenimento. Qualche secolo dopo, quando si credeva persa ogni traccia del reperto, ecco riapparire un simbolo che riconduce alla situla: accanto a personaggi più o meno noti e sullo sfondo di una Serenissima oramai in fase di declino, i protagonisti della nostra storia si ritrovano coinvolti in qualcosa di inaspettato. Dalla Venezia del Settecento, grazie ad alcuni artifici, vengono ribaltati in un fantastico viaggio nel tempo che, attraverso varie peripezie, li porterà a conoscere la loro vera identità.

La suite

Il tessuto musicale dell’opera si sviluppa secondo i canoni della suite, una serie di composizioni legate fra di loro da brevi transizioni che, prive di soluzioni, ne fanno un continuum unico. Seguendo concettualmente il racconto, ogni parte è contraddistinta da suoni e parole che definiscono la dimensione spazio-temporale specifica, filtrata comunque dall’originalità dello stile proprio degli Antilabé. 
L’ouverture, grazie anche all’utilizzo onomatopeico della lingua venetica, è caratterizzata da un contesto immaginifico, i cui contorni appena accennati costituiscono il preludio di quella che nel prosieguo della suite sarà sempre più una fisionomia delineata.
Risonanze vagamente vivaldiane, inusualmente supportate da ritmiche originali in tempo dispari di 7/4, si fondono ad un testo liberamente ispirato alle canzonette veneziane da battello (tipiche del settecento ed in gran parte frutto della creatività dei gondolieri), introducendo il clima festoso del carnevale.
Poi è la volta di un brano dalle sonorità medio-orientali, la Bosnia ottomana evidenzia comunque la sua vocazione multiculturale con un testo in lingua illirico-ragusea.
Il ritorno sul suolo italico è contraddistinto da suoni tipicamente mediterranei che si sposano ritmicamente con il griko, l’antico idioma salentino che ancora oggi è custodito da alcune enclaves del  territorio.
Più avanti sono le note del bouzouki a evidenziare momenti contrastanti: la vocalità lirica del greco antico si affievolisce gradualmente per far posto a ritmi incalzanti di percussioni e a veloci fraseggi strumentali, fino a sfumare nei prodromi del brano finale.
L’epilogo è rappresentato dalla rielaborazione di melodie turco-persiane che, unitamente  all’evocazione di antiche iscrizioni venetiche, danno vita ad un mix originale, un’atmosfera che varia progressivamente senza perdere mai la caratteristica di base, in un crescendo sempre più definito che finalizza ogni suono alla conclusione del viaggio.    



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