ANTILABE' "Domus Venetkens"
(LIZARD )
"Domus Venetkens" è il terzo album
per i trevigiani ANTILABE', stavolta in forma
di suite in dieci parti, a raccontare un lungo viaggio, storia di
migrazioni venete che arrivano da lontano prima di stabilirsi nell'attuale
nord-est italiano. Un viaggio dal respiro mediterraneo dipinto da
incantevoli tessiture prog-etno-jazz in cui non mancano brillanti
citazioni classiche tratteggiate da un pianoforte Steinway del 1800.
Tra
eleganti e trasversali sonorità jazz-rock dai rimandi seventies e raffinati
tratti sinfonici,
"Domus Venetkens" è probabilmente il lavoro più entusiasmente in casa
Antilabe' nel loro percorso venticinquennale.
Graziano
Pizzati - pianoforte a cosa Steinway, tastiere
Adolfo
Silvestri - basso acustico, elettrico e fretless, bouzouki
Carla
Sossai - voce
Luca
Crepet - batteria, percussioni, vibrafono
Luca
Tozzato - batteria, percussioni
Marino
Vettoretti - chitarre, synth guitar, flauto dolce
Ospiti:
Piergiorgio
Caverzan - clarinetto basso, sax soprano
Sara
Masiero - arpa celtica
Elvira
Cadorin: voce
Il
tessuto musicale dell’opera si sviluppa secondo i canoni della suite, una
serie di composizioni legate fra di loro da brevi transizioni che, prive di
soluzioni, ne fanno un continuum unico. Seguendo concettualmente il racconto,
ogni parte è contraddistinta da suoni e parole che definiscono la dimensione
spazio-temporale specifica, filtrata comunque dall’originalità dello stile
proprio degli Antilabé.
Discografia:
- Dedalo
1998
-
Diacronie 2011
- Domus
Venetkens 2018
Presentazione
Il gruppo musicale Antilabé si propone come espressione di ampie e
diversificate forme artistiche, promuovendo in particolar modo il rispetto per
le diversità culturali, a qualunque territorio e a qualsiasi tempo esse
appartengano.
Questo tipo di approccio, libero
da schemi precostituiti, ha permesso all’ensemble di ampliare negli anni sempre
più i propri orizzonti, valorizzando vari aspetti creativi. Grazie ad un humus così fertile, si sono create le
condizioni ideali per il progetto “Domus
Venetkens”.
Il progetto si estrinseca
fondamentalmente in due opere, direttamente correlate fra di loro, ma al
contempo indipendenti e con la possibilità di avere vita autonoma e diversi
tempi di realizzazione:
1.
Da una parte la stesura di un
romanzo fantasy a sfondo storico;
2.
Dall’altra una suite musicale che, utilizzando la
sintesi del linguaggio sonoro, si sviluppa sui temi del romanzo stesso.
Fonte di ispirazione per entrambe
le opere è un reperto archeologico, una situla
venetica rinvenuta in località Posmon,
nei pressi di Montebelluna (TV).
Premessa
Domus Venetkens,
due parole che, pur appartenendo a lingue diverse, si fondono in modalità
onomatopeica e ci riportano indietro nel tempo, alla ricerca dell’antica Casa
dei Veneti. Anche se gli studi più recenti individuano
l’appartenenza della popolazione venetica ad una delle tante tribù presenti
nell’antica Frigia, il fascino del mito prende le mosse da un passo dell’Iliade
(II. II, 851-852) in cui Omero ricorda, tra gli alleati dei Troiani, un gruppo
di Paflagoni, guidati da Pilemene:
Paphlagonôn d’hégeito Pylaimenéos lásion kêr ex
Enetôn,
hóthen hemionôn génos agroteráon
Guidava i Paflagoni Pilemene, cuore maschio, dalla
regione degli Eneti,
dov’è la razza delle mule selvagge
Un destino
ancora attuale, fuggire dalla guerra alla volta di una terra promessa non ben
definita, allocata in un altrove che al tempo stesso è tutto e niente.
L’allontanamento dalla patria perduta si concretizza così in un alternarsi fra
i poli emozionali dell’esilio e della scoperta, inseguendo un equilibrio che
sembra trovare soddisfazione solamente nel ritorno alle origini, in un viaggio
fantastico che ripercorre a ritroso le tappe di chi, secoli prima, aveva scelto
coraggiosamente di andare incontro all’ignoto.
Il prologo del racconto individua
un primo ritrovamento della situla di Posmon diversi secoli
prima, esattamente il 27 settembre 1559. Scoperto per caso, a seguito di alcuni
lavori di edificazione, il reperto viene segretamente portato a Venezia e
sottoposto all’analisi di un esperto dell’epoca. Questi, esaminandolo, ne
scopre i segreti più reconditi, consigliando a chi l’aveva scoperto di
frantumarlo in più pezzi e di risotterrarlo nello stesso luogo del
rinvenimento. Qualche secolo dopo, quando si credeva persa ogni traccia del
reperto, ecco riapparire un simbolo che riconduce alla situla: accanto a
personaggi più o meno noti e sullo sfondo di una Serenissima oramai in
fase di declino, i protagonisti della nostra storia si ritrovano coinvolti in
qualcosa di inaspettato. Dalla Venezia del Settecento, grazie ad alcuni
artifici, vengono ribaltati in un fantastico viaggio nel tempo che, attraverso
varie peripezie, li porterà a conoscere la loro vera identità.
La suite
Il
tessuto musicale dell’opera si sviluppa secondo i canoni della suite, una serie di composizioni legate
fra di loro da brevi transizioni che, prive di soluzioni, ne fanno un continuum
unico. Seguendo concettualmente il racconto, ogni parte è contraddistinta da
suoni e parole che definiscono la dimensione spazio-temporale specifica,
filtrata comunque dall’originalità dello stile proprio degli Antilabé.
L’ouverture,
grazie anche all’utilizzo onomatopeico della lingua venetica, è caratterizzata
da un contesto immaginifico, i cui contorni appena accennati costituiscono il
preludio di quella che nel prosieguo della suite sarà sempre più una fisionomia
delineata.
Risonanze
vagamente vivaldiane, inusualmente supportate da ritmiche originali in tempo
dispari di 7/4, si fondono ad un testo liberamente ispirato alle canzonette
veneziane da battello (tipiche del settecento ed in gran parte frutto della
creatività dei gondolieri), introducendo il clima festoso del carnevale.
Poi
è la volta di un brano dalle sonorità medio-orientali, la Bosnia ottomana
evidenzia comunque la sua vocazione multiculturale con un testo in lingua
illirico-ragusea.
Il
ritorno sul suolo italico è contraddistinto da suoni tipicamente mediterranei
che si sposano ritmicamente con il griko,
l’antico idioma salentino che ancora oggi è custodito da alcune enclaves del territorio.
Più
avanti sono le note del bouzouki a evidenziare momenti contrastanti: la
vocalità lirica del greco antico si affievolisce gradualmente per far posto a
ritmi incalzanti di percussioni e a veloci fraseggi strumentali, fino a sfumare
nei prodromi del brano finale.
L’epilogo
è rappresentato dalla rielaborazione di melodie turco-persiane che, unitamente all’evocazione di antiche iscrizioni
venetiche, danno vita ad un mix originale, un’atmosfera che varia progressivamente
senza perdere mai la caratteristica di base, in un crescendo sempre più
definito che finalizza ogni suono alla conclusione del viaggio.
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