domenica 27 ottobre 2019

Batteristi italiani: Sergio Ponti



Ci sono due “giovani” batteristi in Italia che mi piaccino molto come stile e groove… uno è Manuel Smaniotto, attualmente batterista della Aldo Tagliapietra Band e vanta altre migliaia di collaborazioni, session… (ne parliamo la prossima volata…).
L’altro e Sergio Ponti, molto attivo nel nord-ovest italiano e nei paesi dell’est Europa. Amico e collaboratore di Barriemore Barlow,Clive Bunker, Marco Minneman, da anni batterista dei Beggar’s Farm, “specializzati” in tributi.
Con l’occasione pubblico un’intervista a Sergio Ponti, per darvi modo di conoscerlo meglio…

Di tutto un Pop…

Wazza

 Intervista: Sergio Ponti
 26/10/2017


Quella di oggi è un’intervista diversa del solito e, lasciatemelo dire, molto interessante. Mister Folk ha scambiato due parole con Sergio Ponti, apprezzato batterista italiano che ha diviso il palco con mostri sacri dell’hard rock e del progressive, ma che riguarda da vicino il nostro mondo poiché ha inciso e suonato in tour con i fantastici romeni Dordeduh. Si è parlato quindi delle sue esperienze e dei gusti musicali, dei Metallica di … And Justice For All e di come avvicinarsi allo studio della batteria con alcuni utilissimi consigli (è insegnante!). Il tutto impreziosito da gustosi aneddoti. Beh, non resta che leggere!

La prima cosa che ti chiedo è come ti sei avvicinato alla musica e alla batteria in particolare.

Ciao Fabrizio, è un piacere essere qui a chiacchierare con te. Ho due sorelle molto più grandi di me che hanno sempre ascoltato musica. Si sono sposate quando ero molto piccolo e hanno lasciato alcuni dischi a casa dei miei. Più per capire come funzionasse il piatto, ho iniziato a mettere su dei vinili a caso, da Jesus Christ Superstar agli Eagles, passando per il grandissimo Cosmo’s Factory dei Creedence Clearwater Revival e mi sono ritrovato a comprarmi un paio di bacchette durante gli anni delle scuole medie e a distruggere la sedia di camera mia suonando dietro a quegli LP e alla cassetta di Greatest Hits dei Queen e a Made in Japan dei Deep Purple. Non che fossi capace di star dietro a quest’ultimo, ma ci provavo! Non osavo chiedere ai miei di prendermi una batteria e ricordo che chiesi a mia sorella Laura di domandare loro da parte mia… inspiegabilmente, mio padre mi prese una Century. Un set entry level su cui finii per suonare tutto il giorno, tutti i giorni.

Qual è stato il momento in cui hai detto “da grande voglio fare il batterista?”. E quando hai capito realmente che eri sulla strada giusta?

Un giorno su Videomusic passarono il video di One dei Metallica. Non avevo mai sentito parlare di batterie a doppia cassa (non c’era certamente Youtube e neanche Internet se è per questo!), e vedere Lars suonare la parte centrale all’unisono con le chitarre, con quella grinta e quella potenza, fece scattare qualcosa. Provavo e riprovavo a suonarci dietro, ma non ero in grado di farlo. Allora decisi che era il caso di studiare davvero. Leggevo Percussioni e sulla quarta di copertina trovai la pubblicità della scuola di batteria di Furio Chirico (batterista importantissimo per la scena italiana, N.d.r.). Telefonai e mi rispose lui in persona, gentilissimo. Fu proprio lui, dopo circa un anno di corso, a spronarmi a continuare, dicendomi: “guarda che se studi e continui ad impegnarti, potresti fare questo come lavoro”. Furio è stato una guida importante, musicalmente e umanamente.

Questo è un sito che tratta folk/pagan/viking metal, quindi ci saranno un po’ di domande sul tuo lavoro con i Dordeduh. Per farla breve, nel 2009 Negru si è tenuto il nome Negură Bunget mentre Sol Faur e Hupogrammus (quest’ultimo nella band fin dal principio, 1995) hanno fondato i Dordeduh. Da quell’anno hai iniziato ad aiutarli con i live: come e perché sei stato contattato?

Tra il 2006 e il 2008 sono stato il batterista degli Ephel Duath. Nella primavera del 2007 facemmo tre settimane di tour nel Regno Unito, con i Negură che suonavano prima di noi. A dire il vero non legammo tanto in quel periodo. Ogni band viaggiava separatamente con il proprio mezzo e ci vedevamo solo ai concerti. Nell’autunno del 2009 mi arrivò una mail da Edmond (Hupogrammus) che mi chiedeva se ero intenzionato a registrare del materiale con loro e accettai, curioso di lanciarmi in una nuova avventura.

Con i Dordeduh hai registrato l’EP Valea Omolui: ci racconti come si sono svolti i lavori e se hai preso parte dalla fase di composizione, oppure era già stato scritto tutto quanto e tu hai “semplicemente” suonato?

Fu una settimana interessante, mi pare nell’ottobre del 2009. Loro avevano pronti i riff e la maggior parte delle strutture. Credo per entrambe le parti si trattò di un’esperienza molto interessante: io mi trovavo sicuramente fuori dalla mia comfort-zone di batterista rock, e ricordo che per loro fu una ventata d’aria fresca sentire delle idee ritmiche che non rientravano nei canoni tradizionali del metal. Il groove di Zuh ad esempio, è basato su un rudimento, il triple paradiddle, che ti aspetteresti più di sentire da Steve Gadd (batterosta di James Brown, Eric Clapton, Peter Gabriel, Pino Daniele e Chick Corea tra gli altri, ndMF) che da un metal drummer. Ognuno mise del suo e sicuramente venne fuori un EP interessante.

live con i Dordeduh all’Hellfest 2014

Dopo l’EP è stato realizzato il full-length Dar De Duh, ma tu hai soltanto registrato alcune percussioni mentre la batteria è stata affidata a Ovidiu Mihăiță anche se hai continuato a suonare live con loro. Mi pare una situazione sicuramente strana e quasi complicata! Difficoltà di distanze e impegni personali?

Abitando io in Italia ed essendo loro in Romania non è mai stato facilissimo, ma credo comunque di aver fatto avanti indietro, negli anni, almeno cento volte. All’inizio sembrava che dovesse esserci Ovi (che in Romania è un attore di fama nazionale!) alla batteria, insieme a me e ad un batterista tedesco, Jorg. Non ho mai capito bene se la cosa avrebbe potuto funzionare o meno, anche perché da lì a poco le condizioni di salute della mia anziana mamma si aggravarono parecchio, e dovetti rinunciare a quello che fu il concerto di debutto a Bucharest. Per un po’ suonai solo con l’altro progetto comune, Sunset In The 12th House e mi limitai, come hai scritto, a registrare le percussioni di Dar De Duh in una giornata di studio. Fu molto bello suonare le loro percussioni tradizionali e ricordo che mi diedero carta bianca, guidandomi solo in alcuni punti. Poi dal 2013 al 2015 suonai la batteria dal vivo con i Dordeduh, in tre tourneè europee e molti concerti singoli e festival in giro per l’Europa, tra cui anche Hellfest, Wacken e Rockstadt Extreme.

Come e perché è finita la collaborazione con i Dordeduh?

Nell’estate del 2015 Edmond annunciò pubblicamente il suo ritiro unilaterale e a tempo indeterminato dal mondo della musica e per me non ebbe più senso stare seduto ad aspettare che succedesse qualcosa. A questo devi aggiungere che negli ultimi periodi c’erano problemi tempistico/organizzativi generali ed io mi sono ritrovato più volte ad andare in Romania, rinunciando a concerti molto ben pagati qui in Italia (faccio il batterista di professione) per non concludere nulla là. Unisci questo al fatto che io ho una pazienza pressoché infinita per tutto, tranne che per il perdere tempo. Quello è un punto dolente, mi arrabbio subito e in maniera invereconda, quindi è stato meglio per tutti chiudere lì la collaborazione. Non rimpiango nulla di tutta l’esperienza comunque. Ho imparato un sacco di cose, suonato tanto e visto un sacco di bei posti. Ho tantissimi bei ricordi e considero la scena musicale Romena la più bella in cui abbia mai suonato… e poi li ho anche conosciuto mia moglie!

Finora abbiamo parlato di pagan black metal, ma tu sei un grande appassionato di prog rock. Ti sei mai sentito “fuori posto” mentre eri in tour con i Dordeduh? Cosa ti piaceva della loro musica e visto che ci siamo ti chiedo anche quali sono i gruppi della scena che più ti piacciono o incuriosiscono?

No, sono sempre stato accolto bene da tutti e ben voluto… almeno credo! Io ero quello con i capelli corti, gli occhiali e la maglietta bianca dei Gentle Giant nel backstage in mezzo ad una folla vestita di nero. Almeno mi trovavano subito quando c’era bisogno! Sicuramente non mi è mai piaciuto suonare il blast beat, ma è una questione di ascolti, a casa ho oltre 6000 dischi e credo ci sia il blast su tre di questi. Ho visto dei batteristi pazzeschi suonarlo e stavo lì a guardarli tutto il concerto. In Romania c’è colui che credo essere il miglior batterista estremo al mondo: si chiama Septimiu Harsan e attualmente, tra i tanti progetti, è il batterista di Disavowed e soprattutto dei Pestilence. È un musicista eccezionale che suona come Derek Roddy (Hate Eternal, Nile, Malevolent Creation ecc., ndMF) e Gavin Harrison (Porcupine Tree, Steven Wilson, Claudio Baglioni, Franco Battiato, Iggy Pop ecc., ndMF) messi insieme. Siamo amici e ci sentiamo spesso. Sono contento che stia ricevendo l’attenzione che merita. È una persona molto interessante con un sacco di cose da dire. Dovreste intervistarlo! Raphael Saini (Iced Earth, Cripple Bastards, Master, Corpsefucking Art ecc., ndMF)in Italia è un batterista estremo che seguo e apprezzo molto. Davide Piovesan, il batterista originale degli Ephel Duath è bravissimo anch’egli: originalissimo. Per quanto riguarda la musica dei Dordeduh, mi piaceva l’uso di accordi, ritmiche e armonie non propriamente tipiche del metal, l’uso delle dinamiche e anche di momenti totalmente silenziosi all’interno del set. Una bella varietà! In realtà non conosco quasi nessun altro gruppo della scena alla quale eravamo accumunati… anzi chiedo a te di segnalarmene qualcuno, te ne sarei grato!

Hai altre esperienze nel mondo dell’heavy metal?

Oltre agli Ephel Duath, tra il 2004 ed il 2006 sono stato il batterista degli Illogicist.


In tuo post su Facebook definisci …And Justice For All dei Metallica come un capolavoro del progressive metal. Una frase del genere potrebbe far storcere il naso a molte persone, ci puoi spiegare perché per te il quarto lavoro dei Metallica è progressive metal?

Devi sapere che io ho una sorta d’idolatria per questo disco, sentirlo mi ha fatto venire davvero voglia di studiare la batteria. Mi ricordo tutto le parti di Lars e i testi a memoria. Testi che non parlano di mostri sotto il letto e cose simili, ma di giustizia, libertà di parola e dura condanna della guerra. Sicuramente leggerli da adolescente ha lasciato un segno. Progressive perché nel 1987/88, quando il disco è stato concepito e registrato non c’erano in giro delle band heavy (a parte i Watchtower, forse) che ardivano a fare dischi con un suono così chirurgico e preciso e allo stesso tempo potente. Le strutture non sono mai scontate, c’è sempre un giro con qualche battuta in più o in meno rispetto a quello precedente, oppure cambia il tempo. O la velocità. È vero che ci sono un sacco di takes combinate fra loro, però il disco suona omogeneo, con il sound di una band che è (era?) veramente in grado di suonare INSIEME. Te lo dimostro dicendo che in One ogni ritornello è un pelo più veloce della strofa che lo precede e poi il tempo torna a sedersi per la strofa successiva. Però subito non te ne accorgi, senti solo che il tiro del pezzo sale e cresce d’intensità. Non senti quella sensazione fastidiosa di qualcosa che accelera e rallenta e perde di groove. Questo perché la band si ascolta, si segue e i musicisti suonano tutti con la stessa intenzione. So di certo, perché ho i miei informatori e faccio le mie ricerche, che tutto il disco è registrato a click, programmando tutti i cambi di tempo e velocità passo a passo con una drum machine. Credo che Lars abbia fatto impazzire tutti durante la registrazione tra questo e il volere quel sound di batteria, però ha avuto ragione.

Ho visto una foto con la tua batteria a pochi centimetri da quella di Ian Paice dei Deep Purple: ci racconti qualcosa di quell’incontro e ti senti fortunato a poter dividere il palco con personaggi del genere? O ti ci stai abituando?

No, non ti abitui mai e sì, sono molto fortunato. Dal 2004 suono nei Beggar’s Farm, band fondata dal polistrumentista Franco Taulino. Negli anni grazie a Franco siamo diventati una band di riferimento per alcune leggende del progressive rock, che si fidano di noi e ci assumono come band per concerti da solisti in Italia, oppure si affiancano a noi come special guest. Ho realizzato il sogno di suonare con tantissimi componenti dei Jehtro Tull, Banco Del Mutuo Soccorso, PFM e tantissimi altri grazie a questa formazione. L’esperienza con Paice è una di queste. Il batterista lo conosciamo. Parlano per lui 50 anni di carriera, milioni di dischi venduti e la stima di tutti i batteristi del mondo. Però Ian è una persona rilassata, quasi timida per quel che ho potuto vedere. Abbiamo suonato alcuni brani a due batterie e non abbiamo avuto modo di parlarci nel pomeriggio. Prima della nostra performance insieme, mentre ci presentavano, sono corso dietro la sua batteria e li è venuto fuori il mio lato da insegnante. Letteralmente: “mi hanno detto che tra gli altri pezzi dobbiamo suonare anche Smoke On The Water insieme, ma secondo me la gente la vuol sentire fatta solo da te”. Lui: “nah, come on, let’s have fun!”. Al che gli ho risposto: “allora, facciamo così, altrimenti ci pestiamo i piedi e viene fuori una schifezza. In Smoke suoni tu il groove e io solo le mani e non la cassa. Gli altri pezzi dei Jethro Tull li conosci bene?”. Vedendolo titubante e avendo trenta secondi per organizzarci gli ho detto: “allora guarda me, ti do tutti i segnali io. E non suonare la cassa in Locomotive Breath!”. Lui ha risposto: “wonderful, we’re all set!”. E ce la siamo cavata alla grande. Poi ci siamo seduti a cena assieme, ci siamo complimentati a vicenda e con lui e mia moglie abbiamo parlato della sua famiglia, della Scozia e di birre.

Clive Bunker, Ian Paice e Sergio Ponti

Quali sono i gruppi e i batteristi più influenti per il tuo stile?

Troppi e me ne dimenticherò qualcuno. Ho grandissima ammirazione per i batteristi virtuosi che sono in grado di suonare con chiunque e qualsiasi stile. Io non ne sono capace! Mi piacciono tutti i batteristi dei miei gruppi preferiti, proprio perchè sono insostituibili nel suond della band e hanno fatto la storia del periodo in cui vi hanno militato. Il mio batterista preferito è Barriemore Barlow, che ha suonato nei Jethro Tull tra il 1971 e il 1980. Le sue idee e il suo stile sono inimitabili e non ho mai sentito nessuno suonare così, prima e dopo di lui. Ho passato centinaia di ore a cercare di imparare le sue parti e a meravigliarmi di come avesse fatto a pensarle. Lo conosco personalmente e sono stato ospite a casa sua. Lui non vuole sentir parlare di batteria, quindi abbiamo fatto lunghe chiacchierate sulla vita in generale e per me va bene così. Mi basta sapere che mi stima e che mi considera un collega e un amico. Di tutte le cose che ho fatto in musica, condividere batteria e palco con lui è stata la cosa più bella. Tutti gli altri batteristi dei Tull sono formidabili. Clive Bunker e Doane Perry sono sempre stati gentili con me ogni volta che abbiamo suonato insieme. Il compianto Mark Craney è stato un gigante del mio strumento, mai abbastanza considerato. Una forza della natura! Tutti i batteristi di Zappa, in particolar modo Terry Bozzio e Chad Wackerman per la follia organizzata del loro playing. Roger Taylor dei Queen: timing impeccabile, voce con estensione infinita, autore di brani senza tempo. Diciamo che anche suonare con una band composta da altre tre individualità così uniche è una cosa che un po’ gli invidio. John Bonham dei Led Zeppelin: non serve aggiungere altro. Ian Paice, ovviamente. Lars Ulrich, senz’altro. Mike Portnoy, come tutta la mia generazione. Nick Menza, un batterista metal con un grande groove, si sente che veniva dal rock e dal blues. Pat Torpey dei Mr.Big. Sempre in grado di infilare una chicca batteristica di grande rilievo in brani di pop/hard rock. Pierluigi Calderoni del Banco del Mutuo Soccorso, per il suo stile preciso e le ritmiche serrate e incalzanti ma allo stesso tempo leggere. È anche una brava persona, lo conosco. Edoardo Bellotti, un batterista con una grande cultura che potrebbe suonare bene tutto e suona jazz in maniera consapevole ed elegante, con poche note al posto giusto. Oggi mi piacciono tantissimo Keli, il batterista degli Agent Fresco. Bravissimo, originale e imprevedibile, e Blake Richardson dei Between The Buried And Me.

Mi sembra di capire che i Jethro Tull siano il tuo gruppo del cuore, ma ti sei sposato indossando una maglia dei Queen mentre tua moglie ne aveva una degli Yes. Si tratta di tradimento?

Ma sai proprio tutto! Grande! Quando ho saputo che Martin Barre e Clive Bunker dei Jethro sarebbero stati al nostro matrimonio, conoscendoli ho pensato che mi avrebbero preso in giro tutto il giorno perché indossavo una loro t-shirt il giorno del mio matrimonio, allora ho optato per i Queen, che adoro al pari dei Tull. Mia moglie è una grande fan degli Yes. Ho capito solo il giorno dopo che non era solo per la band, ma anche per il “sì”. Sono solo il batterista alla fine, un po’ lento di comprendonio.

Da batterista di alto livello ti chiedo se puoi dare qualche semplice consiglio a chi si vuole avvicinare al tuo strumento.

Premetto che non mi considero un batterista di alto livello, ma ti ringrazio davvero per la tua stima. Studio tutte le mattine per migliorarmi e non fare brutte figure quando suono! La mia idea è di prendere lezioni e cercare di imparare quanto più possibile e ascoltare molta musica diversa, ma poi specializzarci in ciò che ci piace davvero. Se abbiamo provato per due anni ad ascoltare ogni forma di jazz ma quando ci sediamo alla batteria suoniamo dietro a Reign In Blood, direi che la nostra direzione musicale è piuttosto chiara, ma il fatto di aver studiato altri generi ci aiuterà a suonare meglio in generale e con maggiore consapevolezza. Direi che individuare una scuola con un insegnante che ci piace, o studiare privatamente con un bravo maestro è molto molto utile. Io vorrei averlo fatto prima nella mia evoluzione. Non serve avere una batteria costosa, bisogna studiare. Allora poi una batteria da 500/700 euro con delle buone pelli accordate e dei piatti decenti suonerà come una che costa dieci volte tanto. Quando presto la mia vecchia Tamburo da 460 euro a Clive Bunker lui la suona ed esce il suono che aveva nel 1970 all’Isola di Wight davanti a 650.000 persone (si riferisce al grandioso concerto con The Doors, The Who, Jimi Hendrix, Jethro Tull, Free, Emerson, Lake & Palmer e altri nomi fondamentali per il rock, potete recuperare il video “Message To Love: The Isle Of Wight festival”, ndMF). Io mi siedo dietro e tento di rubare il mestiere. Quello del suono è un aspetto affascinante e spesso trascurato dal batterista inesperto.


Quanto è importante (e difficile) trovare il drum kit ideale? Qual è oggi il tuo drum kit standard?

È importante, ed è difficile. Costa un sacco di soldi buttati per colpa dell’inesperienza e dell’insicurezza. Uso una batteria Vibe in alluminio, costruita da Paolo Zuffi a Imola. È uno strumento eccezionale. Ian Paice, Mark Richardson degli Skunk Anansie, i miei compagni di band e altri sono tutti rimasti sbalorditi dal suo suono. Ha molto volume e proiezione e magari se devo suonare in un teatro o in un club, uso una batteria in legno con diametri più contenuti, ma il mio set ideale ha una cassa da 24”, tom da 13” (a volte aggiungo un 10” sulla destra) e timpani da 16” e 18”. Le classiche misure da rock. Piatti Paiste 2002. Ho questo sound nelle orecchie perché tutti i miei batteristi preferiti li usano, quindi mi è sembrata una scelta ovvia. Bacchette Promark 5B e pelli Evans. Il mio set ideale è portare in giro o in studio meno roba possibile per poter affrontare in modo giusto la musica che devo suonare, così da non avere tentazioni di suonare più del necessario… e smontare velocemente dopo il concerto! E non dimenticare il tappeto, altrimenti si muove tutto!

Cosa stai facendo in questo periodo?

Insegno presso tre ottime strutture. Fondazione Fossano Musica di Fossano, una scuola che ha ottimi programmi di musica d’insieme; Musicanto a Piossasco (Torino) e la Pepper Music a Moncalieri. Ho un sacco di bravi allievi e cerco di fargli ascoltare i dischi al pari di studiare i rudimenti. Tra le molte band, segnalo The Critical Failure, una nuova formazione con disco in uscita. Immagina un sound vicino a certe cose di Devin Townsend e un concept che vede con occhio sinistro e quasi ironico la vita di alcuni famosi serial killers. Presto news in merito!

Sergio, grazie di cuore per la tua disponibilità e gentilezza. È sempre un grande piacere poter parlare con un musicista di spessore come lo sei tu.

Grazie a te per il tempo dedicatomi e ai lettori che avranno la pazienza di leggere quest’intervista fino a qui.

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