RICCARDO
SCIVALES
“STORIE
DI VECCHI PIANISTI JAZZ
…E DI
COME FUNZIONAVA LA LORO MUSICA”
Di Andrea Pintelli
Oggi parliamo
di Jazz, musica orgogliosamente figlia del popolo, come il Folk e il Blues, d’altronde,
e popolata da autentici geni (parola troppo spesso usata e abusata a sproposito,
ma che qui assume importanza vera). Ricordando che, in maniera evidente, è una
delle basi del nostro amato Progressive, quindi doppiamente da rispettare,
voglio prendere in esame un notevole libro (per contenuti e argomenti trattati)
dal titolo “Storie di vecchi pianisti Jazz… e di come funzionava la loro
musica”, pubblicato dalla Merlin Music lo scorso maggio e scritto da Riccardo
Scivales.
Pianista, compositore e musicologo, guida le sue band Quanah Parker e Mi Ritmo; già docente di Storia del Jazz e della Musica
Latino-americana presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è autore di
numerosi libri e metodi pianistici pubblicati in USA, Italia e UK da Ekay
Music, Neil A. Kjos Music Company e Soliloquy Music. Autore di centinaia di
programmi sul jazz per RAI-RadioTre, ha collaborato stabilmente con articoli,
saggi, composizioni, arrangiamenti e trascrizioni a prestigiose riviste come
“The Piano Stylist & Jazz Workshop”, “Keyboard Classics”, “Piano Today”,
“Sheet Music Magazine”, “Ring Shout”, “Jazz”, “Blu Jazz”, “Musica Oggi” e
“Musica Jazz”.
Il libro è incentrato su mirabolanti racconti che Scivales fa dei leggendari pianisti che hanno forgiato questo genere musicale e che, più di ogni altri, hanno creato dal nulla linguaggi musicali nuovi e tecniche mai sentite prima d’allora, tuttora utilizzate in più ambiti. Prendendo spunto dalla quarta di copertina che narra:
“Gli straordinari
musicisti di cui si parla in questo libro sono Jelly Roll Morton, Fess Manetta,
Eubie Blake, Luckey Roberts, James P. Johnson, Willie “The Lion” Smith, Duke
Ellington, Thomas “Fats” Waller, George Gershwin, Cliff Jackson, Donald “The
Jersey Rocket” Lambert, Herman “Ivory” Chittison, Art Tatum, Teddy Wilson, Bob
Zurke, Nat “King” Cole, John Dickson “Peck” Kelley, Johnny Guarnieri,
Thelonious Monk e Dick Wellstood. Pianisti
e compositori leggendari, eroi d’altri tempi che hanno segnato un’epoca e
forgiato le basi del jazz e della musica odierna, e sono ormai leggenda. Ricca
di aneddoti, questa raccolta di scritti narra la loro affascinante vicenda
umana e artistica, e analizza da vicino la loro musica anche grazie a 132
esempi musicali, trascritti dai loro lavori più importanti e rappresentativi.
Oltre a una panoramica sull’evoluzione dello “Spanish tinge” e del Latin Jazz
dai suoi albori ai favolosi mambos di Mario Bauzá, troviamo qui anche uno
studio approfondito (con applicazioni pratiche) sui più tipici moduli
poliritmici usati nell’improvvisazione pianistica afrocubana e Latin Jazz,
desunti dall’opera di due suoi famosi maestri quali Charlie ed Eddie Palmieri.
Infine, un utile saggio-guida sulle modalità e gli intenti di una delle
pratiche fondamentali per ogni studente e studioso di jazz, cioè la
trascrizione nota-per-nota di brani e assoli tratti dalle incisioni originali
dei maestri di riferimento” … possiamo
tranquillamente affermare che non c’è una riga che annoi in questo trattato.
Già, perché come avrete intuito non si tratta di un semplice assemblaggio di
storie, ma è molto di più: è uno studio sul jazz stilato e programmato in modo
che possa essere inteso da tutti, o almeno dai fruitori di musica come siamo
anche noi di MAT2020. Quindi, dal titolo, come funzionava la Musica dei padri
inventori del Jazz? La risposta, o meglio le risposte sono scritte (anche) in
questo volume.
Avendolo ovviamente letto e con passione, non riporto
volutamente alcun contenuto dei 24 racconti di queste leggende dei tasti
bianchi e neri, perché vi toglierei parte della bellezza, assicurandovi che
molti di essi potrebbero far sentire piccoli piccoli alcuni fra i musicisti
d’oggigiorno, bagnati dalla celebrità e dal clamore talvolta immotivato,
siccome inventori di nulla. Qui, invece, si parla di Musicisti con la “M”
maiuscola che, nel periodo che va dal ragtime al bebop, hanno creato lo swing,
migliorato il mood, inventato trascinanti melodie, improvvisato scavando nelle
proprie anime, evitato l’omologazione come fosse peste, in una sana gara fra
giganti a chi era più bravo.
I loro soprannomi sono altisonanti esempi di quanto
fossero affascinanti fin da essi: “Jack The Bear”, “The Harmony King”, “The
Hawk”, “Snowball”, “Abba Labba”, “The Brute”, “The Lion”, “The Tiger”, “The
Leopard”, “Seminole”, “The Jersey Rocket”, “The Beetle”, “The Terror”,
“Menace”, “Ivory”, “Duke”, “King”, “Count”, “Fatha”, e
altri ancora.
Non si può e non si deve prescindere dal conoscerli a
fondo se si vuole capire cosa stiamo ascoltando adesso; già, perché molte
tecniche, parecchie eccitanti gioie sonore attuali arrivano da loro.
Per andare a fondo nell’argomentazione, Riccardo
Scivales ha qui riportato 142 esempi musicali che ha trascritto dalle
incisioni originali. Non una robetta da poco! Questi erano e sono i maestri del
genere, coloro che in un turbinio di colori e caleidoscopiche intuizioni hanno
inventato l’importanza. Un must.
L’autore suggerisce un brano: “Al
minuto 4:12 Willie "The Lion" Smith, uno dei personaggi del mio libro
(tra l'altro, maestro di Duke Ellington) fornisce un esempio di come si
suonasse “in dispari” già negli anni Venti... evidentemente era nato Prog anche
lui!”
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