lunedì 26 aprile 2021

MATERIALEYES: "Three of a kind", di Valentino Butti


 
                                     MATERIALEYES: Three of a kind

Autoprodotto    2021   GBR

Di Valentino Butti

 

Con colpevole ritardo (“Three of a kind” è, infatti, il terzo lavoro dei Materialeyes) ho scoperto questo trio inglese (non certo un power-trio…) composto da Dave Westmoreland (voce, tastiere, flauto, chitarra acustica), Will Lowery (voce e chitarre) e Martin Howes (voce, chitarre, tastiere, basso, batteria), a cui si aggiunge, come ospite in un paio di pezzi, il cantante Anthony Naughton.

Subito un avvertimento: se amate il prog “astruso”, ultra-articolato, ricco di “effetti speciali”, beh, fermatevi qui nella lettura.

I tre inglesi fanno, splendidamente, tutt’altro: un sound delicato, ma mai sdolcinato, in bilico tra malinconia e “solarità” (anche all’interno dello stesso brano), melodicamente ineccepibile e (salvo la prima traccia, “Adrenaline high”, che fa storia a sé) apparentemente “confinato” dentro cliché ben definiti. Infatti, l’apparente facilità o, peggio ancora, ripetitività delle situazioni melodiche, rivelano, ad ogni ascolto successivo, finezze esecutive che non lasciano indifferenti. L’eterodossa (per come si svilupperà l’album…) “Adrenaline high” ha il compito che aprire “Three of a kind”: un brano in pieno spirito Yes e Gentle Giant, con l’impianto vocale corale che si sviluppa lungo tutta la composizione e un bel lavoro di chitarre e tastiere a chiudere il cerchio.

Iniziano poi una serie di cinque brani (tra i sette ed i dodici minuti) che potremmo definire, per semplificare, delle ballad sinfoniche, dal grandissimo gusto e raffinatezza che solo ad un ascolto superficiale sembra non arrivino mai al dunque. Invece, senza rinunciare a chicche strumentali, a “solos” coinvolgenti e di classe, a ricami arpeggiati con le chitarre acustiche o a “svisate” di organo, la band crea affreschi sonori duraturi, eleganti, melodie ricercate ed accurate. Certo i Materialeys hanno i loro numi tutelari come i Moody Blues, la Barclay James Harvest più bucolica, le tinte color pastello dei Caravan in qualche occasione, ma riescono a rielaborare con grazia tutto il crogiuolo di influenze per confezionare un prodotto davvero impeccabile. “Jerusalem armageddon”, mostra l’altra anima del gruppo, quella con più punch. Il tutto ha origine, ovviamente, dalla “Jerusalem”, prefazione del “Milton” di William Blake, poi riarrangiata dagli EL&P negli anni Settanta.

A questo brano, i Materialeyes hanno integrato una loro composizione non ancora completata, “Armageddon” appunto. Il risultato è uno strumentale epico sinfonico di oltre sette minuti, perfetta chiusura di “Three of a kind”.

Un album decisamente piacevole, con qualche piccola ombra che però non intacca minimamente il valore complessivo che si mantiene, lungo tutti i 65 minuti di sviluppo, più che buono.

Attendiamo nuovi sviluppi, credendo che la strada imboccata sia, per il gruppo, quella giusta.





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