Autoprodotto 2021
GBR
Di Valentino Butti
Con colpevole ritardo (“Three of a kind” è, infatti, il terzo lavoro dei Materialeyes) ho scoperto questo trio inglese (non certo un power-trio…) composto da Dave Westmoreland (voce, tastiere, flauto, chitarra acustica), Will Lowery (voce e chitarre) e Martin Howes (voce, chitarre, tastiere, basso, batteria), a cui si aggiunge, come ospite in un paio di pezzi, il cantante Anthony Naughton.
Subito un avvertimento: se amate il
prog “astruso”, ultra-articolato, ricco di “effetti speciali”, beh, fermatevi qui
nella lettura.
I tre inglesi fanno, splendidamente,
tutt’altro: un sound delicato, ma mai sdolcinato, in bilico tra malinconia e “solarità”
(anche all’interno dello stesso brano), melodicamente ineccepibile e (salvo la
prima traccia, “Adrenaline high”, che fa storia a sé) apparentemente “confinato”
dentro cliché ben definiti. Infatti, l’apparente facilità o, peggio ancora,
ripetitività delle situazioni melodiche, rivelano, ad ogni ascolto successivo, finezze
esecutive che non lasciano indifferenti. L’eterodossa (per come si svilupperà l’album…)
“Adrenaline high” ha il compito che aprire “Three
of a kind”: un brano in pieno spirito Yes e Gentle Giant, con l’impianto
vocale corale che si sviluppa lungo tutta la composizione e un bel lavoro di
chitarre e tastiere a chiudere il cerchio.
Iniziano poi una serie di cinque
brani (tra i sette ed i dodici minuti) che potremmo definire, per semplificare,
delle ballad sinfoniche, dal grandissimo gusto e raffinatezza che solo ad un
ascolto superficiale sembra non arrivino mai al dunque. Invece, senza
rinunciare a chicche strumentali, a “solos” coinvolgenti e di classe, a ricami
arpeggiati con le chitarre acustiche o a “svisate” di organo, la band crea
affreschi sonori duraturi, eleganti, melodie ricercate ed accurate. Certo i Materialeys hanno i loro numi tutelari come i Moody
Blues, la Barclay James Harvest più bucolica, le tinte color pastello dei
Caravan in qualche occasione, ma riescono a rielaborare con grazia tutto il
crogiuolo di influenze per confezionare un prodotto davvero impeccabile. “Jerusalem
armageddon”, mostra l’altra anima del gruppo, quella con più punch. Il tutto ha
origine, ovviamente, dalla “Jerusalem”, prefazione del “Milton” di William
Blake, poi riarrangiata dagli EL&P negli anni Settanta.
A questo brano, i Materialeyes hanno
integrato una loro composizione non ancora completata, “Armageddon” appunto. Il
risultato è uno strumentale epico sinfonico di oltre sette minuti, perfetta
chiusura di “Three of a kind”.
Un album decisamente piacevole, con
qualche piccola ombra che però non intacca minimamente il valore complessivo
che si mantiene, lungo tutti i 65 minuti di sviluppo, più che buono.
Attendiamo nuovi sviluppi, credendo
che la strada imboccata sia, per il gruppo, quella giusta.
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