mercoledì 24 gennaio 2024

Semiramis – “La fine non esiste” - Commento di Alberto Sgarlato

 


Semiramis – “La fine non esiste” (2024) 

di Alberto Sgarlato


Musicalmente parlando, il 2023 si è concluso con due apprezzati ritorni per gli amanti del rock progressivo italiano: un nuovo album per Gianni Leone con il suo Balletto di Bronzo e una pubblicazione da parte di una firma storica della scena genovese come i Gleemen.

E, a giudicare dalle premesse, il 2024 non sarà da meno: tornano infatti con il loro nuovo e attesissimo album i Semiramis.

Facciamo un passo indietro: era il 1973, infatti, quando i Semiramis scuotevano il panorama musicale con un eccellente debutto, l’album dal titolo “Dedicato a Frazz”. Il personaggio di Frazz, protagonista del concept-album, nasce come acronimo dei cognomi dei musicisti: Paolo Faenza (batteria e percussioni intonate), Marcello Reddavide (basso e campane), Giampiero Artegiani (chitarre acustiche e sintetizzatore) e i due fratelli Zarrillo, Maurizio (tastiere) e Michele (chitarra solista e voce solista).

Quel capolavoro resterà “figlio unico”, ma verrà spesso ristampato da varie etichette, in Italia e all’estero, per le forti richieste da parte degli appassionati. Nel frattempo, la band si scioglierà e i musicisti prenderanno strade diverse. In particolare, Michele Zarrillo raggiungerà la celebrità con un pop italiano melodico sempre raffinato e di qualità. Artegiani sceglierà soprattutto di diventare autore e produttore per altri artisti (tra i quali lo stesso Zarrillo) e raggiungerà il suo picco di notorietà con “Perdere l’amore”, portata al successo a Sanremo da Massimo Ranieri. Tuttavia, non disdegnerà sporadiche apparizioni soliste (come la gentile e delicata “Acqua alta in piazza San Marco”, a Sanremo 1984).

Torniamo ai giorni nostri… Ed ecco che succede qualcosa che fa battere il cuore ai fans: su slancio di Paolo Faenza, infatti, nel 2014 i Semiramis riprendono l’attività live con ben tre componenti su cinque della formazione originale: oltre all’appena menzionato batterista, infatti, torneranno con lui sul palco il tastierista Maurizio Zarrillo e il chitarrista acustico Giampiero Artegiani, che farà anche da “narratore” spiegando al microfono le vicende del personaggio di Frazz e dipanando la trama del concept. I riscontri di pubblico sono eccellenti, ma la band non sa quale destino avverso la sta per colpire: a stretto giro, infatti, ci lasceranno prima Maurizio Zarrillo (deceduto nell’estate del 2017) e poco dopo anche Artegiani (a febbraio 2019).

Encomiabile, da questo punto di vista, la forza di volontà di Paolo Faenza, che non si è perso d’animo un istante ma, anche per onorare la memoria degli amici di una vita, si è rimboccato le maniche nel portare avanti il progetto. Ed ecco dunque i Semiramis del 2024, con lo storico percussionista affiancato oggi da Ivo Mileto (basso), Emanuele Barco (chitarre elettriche), Marco Palma (chitarre acustiche), Giovanni Barco (voce) e Daniele Sorrenti (tastiere e flauto). Il titolo del nuovo album è emblematico nel riassumere questo nuovo corso: “La fine non esiste”.

Ascoltandolo si può constatare che dei “vecchi” Semiramis la band ha mutuato la capacità di scrivere mettendo sempre la melodia in primo piano, in modo affascinante ed elegante; nei “nuovi” Semiramis constatiamo, invece, un sound non fedele in modo calligrafico allo stile dell’epoca ma globalmente più al passo coi tempi e, a tratti, più incline a sonorità hard.

La band mette subito le cose in chiaro in tal senso con il poderoso riff di Hammond che apre “In quel secondo regno”, traccia che dopo una partenza quasi al profumo di Uriah Heep offre una svolta inaspettata nella quale gli intrecci di chitarra acustica, organo dai suoni asciutti e percussivi e chitarra elettrica richiamano alla mente i Gentle Giant. Un sofisticato “saliscendi” di momenti più barocchi e classicheggianti e altri più duri. E le “string-machines” nella sezione centrale, più impalpabile, del brano, fanno battere il cuore riportando alla memoria il sapiente uso dell’Eminent che era proprio marchio di fabbrica del compianto Maurizio Zarrillo.

Cacciatore di ansie” è ancora più elaborata, tra momenti che richiamano gli Yes, eleganti divagazioni piano/chitarra puramente jazz-rock, eseguite con gusto ed eleganza, sezioni pianistiche classicheggianti e sublimi tocchi di percussioni intonate, fino al toccante crescendo finale che, di nuovo, ricorda il sound dell’amato album “…Frazz”.

Donna dalle ali d’acciaio” (un omaggio alla grande trasvolatrice atlantica Amelia Earhart) parte come un delicato “acquerello” acustico per poi crescere in una toccante rock-ballad, ancora una volta giocata tra momenti più cantautorali e altri quasi metal-prog (sentendo gli “stop” sui piatti sotto il riff di chitarra è impossibile non pensare addirittura a “Ytse jam” dei Dream Theather!)

Non chiedere a un Dio” si apre con il suono delle campane ed è di nuovo una delle tracce più “debitrici” verso l’eredità di quei Semiramis del 1973, con i suoi intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, i suoi tappeti di Eminent e le sue accelerazioni che portano a momenti in crescendo letteralmente mozzafiato. A questo punto è doveroso spendere parole di stima per le sentite e coinvolgenti interpretazioni vocali di Giovanni Barco, sempre eccellente in questa traccia come, del resto, in tutte le altre.

Dopo il ricordo di Amelia Earhart, un altro brano dalla contestualizzazione storica: è “Tenda rossa”, dedicato alla missione polare di Umberto Nobile nel 1928. E ancora una volta troviamo sanguigni e poderosi momenti giocati tra chitarra ed Hammond ad altri più barocchi affidati ai volteggi del clavicembalo ma anche del Minimoog. Un tripudio di tastiere e di chitarre elettriche e acustiche sempre solidamente sorrette dai numeri di alta scuola di una sezione ritmica ineccepibile nel porre al momento giusto ogni suo accento, ogni suo stacco, ogni suo cambio di tempo. Toccante, ovviamente, anche il testo, nella sua drammaticità.

E la band si congeda con “Sua maestà il cuore”, brano meno “impattante” e più “concettuale” dei precedenti, grazie ad un costrutto estremamente sofisticato e curato in ogni minimo dettaglio. Ancora una volta la sezione pianistica centrale è a livelli sublimi e ci porta a un commovente crescendo finale affidato a una toccante parte vocale, uno struggente assolo di chitarra e una inaspettata coda tra Gentle Giant e, persino, Area.

Se avete amato “Dedicato a Frazz” del 1973 non resterete affatto delusi da questo nuovo capitolo nella storia della band. Se siete dei fans “giovani”, attraverso questo lavoro vi salirà sicuramente la curiosità di riscoprire quanto la band realizzò 50 anni fa.




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