sabato 16 marzo 2024

Antonio Clemente: “Casavacanze”: commento di Alberto Sgarlato

 


Antonio Clemente: “Casavacanze” 

di Alberto Sgarlato

 

“Antonio Clemente è un pittore. (...) Quando posa il pennello e imbraccia la chitarra dipinge sensazioni, emozioni, ricordi”, scrivevo nel 2012 recensendo “Infinito”, opera di debutto del cantautore Antonio Clemente.

“(…) Un album per il quale non è eccessivo l’aggettivo “memorabile”. Una delle perle più preziose nel ricco panorama dell’attuale cantautorato italiano”, erano invece le parole che usavo, qui su MAT2020, per concludere la mia recensione del suo terzo album “Canzoni nel cassetto”, del 2016.

Insomma: questa premessa è già sufficiente per far capire quanto io stimi e apprezzi questo artista, che seguo con attenzione dai suoi esordi.

Sarebbe interessante iniziare con una esegesi dei titoli: se “Infinito” (primo album), “Davvero” (secondo album) e “I confini del giorno” (quarto album) esprimevano, in modi diversi, un concetto di assoluta vastità legata allo spazio, alla verità, al tempo, questo nuovo “Casavacanze”, capovolge nettamente la situazione e sembra presentarci un artista maturo, saggio, che in qualche modo ha fatto pace con se stesso e ha saputo racchiudere quella vastità di cui sopra nelle stanze della propria quotidianità.

“Sembra”, appunto. Perché in realtà Clemente è artista inquieto, privo di pace interiore. Lui stesso, nel presentare questo suo quinto album, dice che: “Rappresenta quel ‘senso di inadeguatezza’ che spesso mi ha fatto sentire accolto ‘come a casa’ in luoghi a me estranei e turista o, peggio, straniero in luoghi che invece da sempre sono ‘casa mia’”.

Un’opera curata in ogni dettaglio, a cominciare dallo schieramento di ben 16 strumentisti ospiti tra chitarre, tastiere, archi, fiati, strumenti etnici e percussioni.

Una introduzione di meno di 50 secondi offre la sensazione di entrare “fisicamente” nella “Casavacanze”. E si capisce subito, dal breve testo, di quanto questa “Casavacanze” sia in realtà un luogo dell’anima, fatto di malinconia, ricordi, suggestioni, colori e profumi.

“Ode al sole” ti culla come una danza attorno al fuoco sulla riva del mare, con il suo incedere sensuale. “La mia casa”, secondo singolo del disco, con il suo delizioso arrangiamento per pianoforte ed archi, è uno degli episodi più struggenti dell’opera e ci pone al cospetto di quello stile che ormai è diventato la cifra autoriale, immediatamente riconoscibile, di Clemente.

“Come il vento” profuma di Spaghetti-western, ovviamente declinato sempre secondo l’inconfondibile stile-Clemente. “Corro e me ne infischio di un sistema subdolo”, sono versi che rivelano l’indole ribelle di questo cantautore da sempre libero e indipendente, capace di mescolare, come lui stesso canta, “l’umiltà e l’orgoglio”.

C’è invece qualcosa di “gucciniano” nel sax suadente di “Parlami di te”, brano tra i più romantici del disco, tra Nino Buonocore e Fabio Concato (volendo proprio trovare delle coordinate di massima, in quanto Clemente, come già detto, ha una sua cifra unica).

Paolo Conte, invece, è il paragone che potremmo cercare nel pianoforte “saltellante” di “Aprile”. La primavera rende la gente “più sincera”, l’inverno sembra sempre troppo lungo; ma anche quando le giornate si illuminano e si allungano, con la voglia di uscire e di aspettare l’estate, c’è sempre in fondo in fondo quella vena profondamente malinconica che attraversa tutte le canzoni di questo artista.

“Ciau Mà”, struggente ricordo di una madre che non c’è più, ma ritrovata nelle strade, nel mare, nei luoghi e nei paesaggi della sua Sicilia, è uno degli episodi più commoventi dell’intero album, persino quando, dopo una delicata introduzione affidata a pianoforte e fisarmonica, fanno il loro ingresso le percussioni. La cadenza si fa più ritmata ma, anche in questo caso, l’amarezza di fondo è tangibile.

Il tema dell’avvicendarsi delle stagioni, della vita che cambia intorno a noi, è ricorrente nelle canzoni di Clemente. E “Notte di giugno”, da questo punto di vista è emblematica. Ricordiamo che Clemente, oltre che cantautore, è pittore e poeta. Ed è proprio in canzoni come questa che il Clemente pittore descrive al meglio i paesaggi estivi ed incontra il Clemente poeta, quello che invece racconta i “paesaggi dell’anima”. Come nella precedente “Aprile”, la vita rifiorisce, la passione arde, ma è sempre una diffusa amarezza di fondo a farla da padrona.

“Estasi” gioca con le parole, con le allitterazioni tra estasi ed estate, tema ricorrente in questa “Casavacanze”, album un po’ concept e un po’ no. Sublime, anche stavolta, l’uso di un sax che infonde ulteriore sensualità a un brano che di fascino ne trasuda tanto. Ma la passione che fa ardere quei corpi in riva al mare sembra sempre un qualcosa di difficile da afferrare, un “amore crudo” (come recita il testo) per un autore che, preda delle sue inquietudini, non si sazia mai.

“Pdm” è zingaresca, spumeggiante, sfacciata. Una dedica senza mezzi termini e senza sottili metafore a qualcuno che non solo ha palesemente tradito Clemente, ma deve avergli fatto molto male. E in questo brano l’autore urla la sua vendetta senza tenersi nulla sullo stomaco!

Ma in una splendida “Casavacanze” tra la campagna e il mare, che cosa si può osservare dalla finestra? Ce lo racconta proprio il brano “La finestra”, una storia d’amore vissuta osservando una donna misteriosa tra cortili, finestre e paesaggi siculi fatti di fichi e gelsi. Il tutto, ça va sans dire, in un’atmosfera che trasuda sensualità. E, a quanto pare, sensualità e malinconia sono proprio i binari paralleli che, accompagnandoci tra le varie canzoni, ci guidano in queste vicende di estati inquiete.

“Summertime” cita solo per brevi tratti, per pochi secondi, una strofa qui, una melodia là, quella che forse è la “canzone estiva” per eccellenza, di Gershwin (ma non manca una ammiccante citazione, anche qui effimera, alla “Summer on a solitary beach” di Battiato). Traccia elegante, raffinata, patinata, che con il suo “mood” jazzistico mostra una volta di più quante frecce ha Clemente al suo arco, ma che contribuisce a portare avanti il tema portante della “Casavacanze”, fatto di sogni, ricordi, amore e malinconia.

“Lu terremotu”, anch’essa in siciliano, come la già citata “Ciau Mà”, è stata il singolo di lancio di questo album. Ed è un brano profondamente diverso dal resto del disco. Qui l’estate sparisce, la voglia di amore sulla spiaggia è dimenticata, qui ci spostiamo nel gelo dell’inverno, di quel gennaio 1968 che vedeva la valle del Belice in ginocchio per il sisma.

“Via della Pace” è un valzer, come si conviene è in tempo di ¾, ma è soprattutto, come recita il testo, un grandissimo girotondo pacifista. E tutti noi sappiamo quanto c’è bisogno, in questo cupo periodo storico, di canzoni come questa.

“Abbracciami (e sogna)” è una rock ballad impreziosita da un suggestivo lavoro di archi dal sapore quasi beatlesiano, ennesima testimonianza del talento di un autore eclettico e mai uguale a sé stesso.

Clemente si congeda con “Resto un po’ qui”, traccia che rappresenta un po’ la summa di questo “viaggio” fatto di sole, mare, cielo, nuotate ma anche quel senso di struggimento, malinconia che ci ha accompagnati fin dall’inizio. E alla fine, con il trucchetto della “ghost track”, un pianoforte che sembra suonare remoto, pieno di eco, a tratti forse finanche un po’ scordato, si allontana da noi.

Antonio Clemente ha fatto nuovamente centro, consegnando alla storia un altro disco intenso, commovente, maturo e profondo.




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