lunedì 26 agosto 2024

NichelOdeon e borda – “Quigyat”, commento di Alberto Sgarlato

 


NichelOdeon e borda – “Quigyat” (2024) 

di Alberto Sgarlato


Chi segue regolarmente le pagine di MAT2020, che sovente hanno ospitato l’opera artistica di Claudio Milano, avranno ormai capito quanto sia difficile parlare di questo musicista: una mente in perenne e inarrestabile fermento creativo, un compositore in costante ricerca di nuovi linguaggi, che disegna geometrie sonore, palestra per un vastissimo spettro di stili musicali differenti accostati in modo sempre imprevedibile e inaspettato.

Fatta questa premessa, provate a immaginare che cosa succede nell’istante in cui NichelOdeon (uno dei principali progetti a firma Claudio Milano) trova un artista come il manipolatore elettronico borda (pseudonimo di Teo Ravelli), con il quale condivide evidenti affinità elettive. Non può che nascerne una deflagrazione incontrollabile, una sorta di Big Bang dal quale schizzano via come nuovi pianeti innumerevoli nuove forme d’espressione.

Il frutto di tutto ciò reca il titolo di “Quigyat” e confluisce in un qualcosa di ben più ampio e complesso, identificato dalla sigla ANFORE.

L’Anfora, il più antico concetto di “contenitore”, forma ancestrale dalle curve sinuose, capiente e decorata, nella quale conservare prodotti facendo quindi confluire in essa praticità e arte. Ma in questo caso ANFORE è l’acronimo di A New Form Of Recital European.

Ed è così che, dentro le “Anfore di Quigyat”, si ricompongono alcuni tasselli di quel big bang impazzito a cui si faceva accenno poche righe sopra: teatro contemporaneo, musica concreta, ambient, jazz, persino mimo e pittura astratta, rendendo così labili, se non addirittura inesistenti, i confini tra forme d’arte molto diverse tra loro.

Pertanto, le cinque lunghe tracce che compongono “Quigyat” non possono che essere solo parziale rappresentazione di un “Tutto” molto più complesso.

Partiamo con la title-track, che reca come sottotitolo “Little symphony for frozen soldiers”. Questa dicitura aggiuntiva rende perfettamente le atmosfere della traccia: gelide, alienanti. Lunghi sibili stridenti e metallici sembrano concretizzare gli orrori della guerra. Su di essi volteggiano le linee dissonanti di un pianoforte (che, a tratti, paiono ricomporsi verso melodie più tonali, a tratti “impazziscono” nuovamente) e i versi declamati con intenso coinvolgimento, mentre fanno capolino temi di chitarra che potrebbero quasi evocare un Paolo Tofani d’annata.

Alla statua dei Martiri di Gorla (Requiem in defence of children’s rights)” inizia scandita dai loop ritmici. Su di essi, pochi tocchi di pianoforte che crescono su un supporto ritmico pronto a farsi via via anch’esso più strutturato. Nel cantato, Milano dà dimostrazione della sua mostruosa estensione vocale, in un danzare tra l’acuto e il grave con agilità, con un pieno controllo dell’intonazione su note spesso lunghissime.

Lòs Pàjaros perdidos” è una struggente, commovente rivisitazione di Piazzolla. Voce e pianoforte assoluti e indiscussi protagonisti di una esecuzione di immensa intensità. Ovviamente nulla, nell’universo sonoro di NichelOdeon e borda, può essere lineare. Per cui dal secondo minuto in poi l’interpretazione si destruttura, si disgrega, per poi tornare nei ranghi, ma acquisendo ancora maggiore intensità grazie a questo momento di follia.

Atmosfere in qualche modo ancora legate al tango le troviamo in “Malamore e la luna”: la potenza evocativa del testo crea perfetta sinergia con un arrangiamento tra world music, cantautorato e prog-rock.

Dopo un viaggio tra emozioni e sensazioni così diverse tra loro, ciò che rimane all’ascoltatore è, appunto, una lunga traccia conclusiva intitolata proprio “Ciò che rimane”. Tutto quanto di cui sopra qui confluisce in modo torrenziale: il rumorismo, la sperimentazione elettronica, il jazz-rock, la teatralità, la costante alternanza tra quiete e irruenza, il prog-rock.

Un lavoro eccellente, concepito per essere messo a disposizione di chi ha voglia di aprire la mente verso nuovi orizzonti e nel quale la musica, scritta a livelli altissimi, è tanto, ma non è tutto, in quanto pensata (come già detto) in sinergia con molteplici altri linguaggi artistici.





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