Streghe, carne e rinascita: il
ritorno viscerale de La Janara
Di Luca Paoli
Ci sono dischi che ti aggrediscono, e dischi che ti seducono.
Le Donne Magiche fa entrambe
le cose. Ti prende per mano con dolcezza arcana, poi ti scaraventa nel cuore di
un bosco antico, tra riti pagani e passioni terrene, tra ossessioni e carne
viva.
La Janara torna con un album che non è solo un'evoluzione rispetto a Tenebra,
ma un vero e proprio nuovo capitolo espressivo. Se il disco precedente era
dominato dall’ombra – il dolore, l’oppressione, la stregoneria come rivalsa –
qui il tema è la rinascita. Sempre streghe, sempre donne, ma questa volta
vitali, sensuali, rigeneranti. Madri, amanti, Circi irpine.
Il disco è pubblicato da Black Widow Records, storica
etichetta genovese che da sempre sostiene con coraggio e coerenza le voci più
libere, creative e fuori dagli schemi della scena rock e metal italiana. Una
realtà che merita rispetto e attenzione, perché continua a credere nella musica
che ha qualcosa da dire, e che non ha paura di farlo.
A dare corpo e anima a Le Donne Magiche è una
formazione ormai solida e affiatata. La voce di Raffaella Càngero si
conferma magnetica, capace di passare dalla carezza al graffio, sempre più
personale e incisiva nell’interpretazione. Le musiche e i testi portano la
firma di Nicola Vitale, chitarrista e mente creativa del gruppo, qui
anche alla voce nel brano conclusivo Domens. Completano l’ensemble Rocco
Cantelmo al basso, Giovanni Costabile alle tastiere e Antonio
Laurano alla batteria: un organismo compatto, vivo, che suona in piena
sintonia.
Il disco si arricchisce anche della presenza di due ospiti
speciali: Simone Pennucci, alle chitarre elettriche e ai synth in La
Notte è Buia, e Ricky Dal Pane (Witchwood), alle percussioni e
ai cori in Mò che Viene Agosto, entrambi perfettamente integrati
nello spirito visionario del lavoro.
La band irpina fonde con sorprendente coerenza l’energia
dell’heavy metal, la teatralità del folk mediterraneo e la profondità del
cantautorato. Ma è il suono d’insieme, ora più maturo e coeso, a fare davvero
la differenza. Non più un progetto che ruota intorno alla sola voce femminile,
ma una vera band che respira e pulsa all’unisono. E si sente.
Brani come Serpe, Piangeranno i Demoni e Inverno
(quest’ultimo, il più lungo mai scritto dalla band) mostrano una scrittura
articolata, che passa con disinvoltura da atmosfere sabbathiane a passaggi dal
respiro quasi prog, con un’attenzione ai dettagli che rivela la lunga
gestazione del progetto. L’influenza del doom rimane, ma si apre a nuove
sfumature, come in Bruceremo, che è insieme preghiera e condanna, fiamma
e cenere.
Non mancano momenti di puro folklore reinterpretato in chiave
oscura: Le Castagne Non Cadono Più e Mò che Viene Agosto portano
con sé l’eco di un sud ancestrale, dove il dialetto irrompe con naturalezza,
senza forzature né folclorismi. L’uso della lingua popolare non è effetto
scenico, ma gesto politico e culturale. La janara, ancora una volta, è
il tramite tra mondi.
In tutto questo, Le Donne Magiche riesce anche a
toccare corde emotive profonde: la dedica finale in Domens a Domenico
Carrara, con lo stesso Vitale alla voce, chiude il disco con un tono
intimamente personale, che apre spiragli futuri sulla direzione artistica del
gruppo.
In questo periodo in Italia stanno nascendo sempre più gruppi
con una voce femminile al centro e un suono intenso e profondo. La Janara
si distingue come una delle realtà più autentiche e personali. Non seguono le
mode, ma restano fedeli alla loro visione. E questo si percepisce in ogni
brano.
Le Donne Magiche è un disco che non si limita a suonare bene: vive. E ti
costringe a farci i conti. Anche quando fa male. Anche quando accende qualcosa
che credevi sopito.
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