mercoledì 28 agosto 2024

Mike Oldfield: usciva il 28 agosto 1974 “Hergest Ridge”, suo secondo album


Usciva il 28 agosto 1974Hergest Ridge”, secondo album di Mike Oldfield.
La legenda narra che l’inaspettato successo commerciale e di critica del suo album di debutto, “Tubular Bells”, colpì Oldfield che decise di non andare in tour ed evitò la stampa. 
Questa improvvisa notorietà lo mise in crisi, e si ritirò al confine tra Inghilterra e Galles, dove registrò l’album.
Hergest Ridge è il nome della collina che si vedeva da casa sua.

Di tutto un Pop…
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Mike e un piccolo aeroplano a controllo remoto-Hergest Ridge, Herefordshire, UK, 1974

L'album che sto per recensire non è tra i più famosi di Oldfield, successore di "Tubular Bells" e dal quale eredita la pressione del successo ottenuto e la voglia e necessità di comporre un lavoro dilatato e rarefatto più vicino ad atmosfere ambient e new age. Ed è proprio in questo album che vengono temperate e filtrate dalla sua creatività l'impulsività e i guizzi di genio emersi in "Tubular Bells". Il risultato di questa equazione dà vita al migliore disco di Oldfield. Ispirato dal paesaggio dell'Herefordshire l'album si presenta suddiviso in due suite strumentali.


La prima introdotta da fiati che inizia a tessere la delicata trama su cui si sviluppa l'intero album, in un crescendo di strumenti su cui spicca la chitarra dal suono suadente e malinconico che a tratti segue, a tratti profana la struttura geometrica dell'intero album. Spettri melodici che si compenetrano senza soluzione di continuità un po' come i paesaggi autunnali del Galles fatti di tenui luci, del brillante controluce delle foglie e le ombre fresche del crepuscolo.


La seconda parte si apre con una delicata chitarra acustica e si dischiude lentamente in un universo sognante fatto di melodie quasi pastorali dal sapore Folk per poi incupirsi come si fosse sorpesi in piena campagna da un violento apocalittico temporale. Ed ecco venti o più chitarre suonate in serie che tessono una melodia sghemba, segmentata e claustofobica che
gira su sé stessa finché quando meno te lo aspetti dal nulla riappare la luce tiepida dalle tinte oniriche che conclude l'album in un crescendo di abbracci orchestrali e acustiche minimali. Il disco più ombroso ed incompreso dell'Oldfield più ispirato e creativo.


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