«So di avere, giustamente,
tanti nemici, a causa del mio carattere scorbutico e degli atteggiamenti spesso
intransigenti. A causa di questi stessi difetti però ho anche qualche amico, e
mi basta”.
(Giuseppe
Berto - scrittore)
Ci sarai sempre . Buon viaggio Capitano
Wazza
Dal
Blog - Il Corsaro
E’ inutile
provare a racchiudere in poche righe ciò che Francesco Di Giacomo ha
rappresentato per la storia della musica e per molti di noi. Lui stesso avrebbe
probabilmente chiesto di non sprecare un discorso di commiato per chi non è
più, perché se una voce e una canzone hanno lasciato un segno, queste
appartengono soltanto alla vita. E la voce di Di Giacomo è stata e continuerà
ad essere per tanti, forse troppi, quella di un poeta che si è fatto
prepotentemente largo fin dentro la testa, senza cessare più di sorprenderlo, come
una malattia. Perché il Banco del mutuo soccorso non è stato soltanto un evento
rivoluzionario per il pop italiano e una pietra miliare per il rock sinfonico a
livello internazionale, ma ancor di più il culmine insuperato di una poetica
che ha saputo coniugare l’altezza
di una ricchissima creatività musicale alla profondità vertiginosa delle parole
cantate.
Ognuno di
quegli album pubblicati tra l’inizio
e la fine degli anni ‘70, periodo in cui si concentra la massima espressione
artistica del Banco, rompe in chi ascolta ogni barriera tra la musica e la
filosofia, tra la potenza del prog-rock e un esistenzialismo spinto alle sue
estreme conseguenze, sempre in bilico tra la gioia della volontà e il dolore
della ragione. Il manifesto poetico di questo primo periodo del Banco è
contenuto tutto nei primi versi ispirati all’Orlando furioso della
traccia In Volo che apre il primo LP omonimo Banco del
mutuo soccorso del
’72,
con cui la band romana scalerà rapidamente le vette del successo in Italia e
all’estero: Lascia
lente le briglie del tuo ippogrifo, o Astolfo, / e sfrena il tuo volo dove più
ferve l'opera dell'uomo. / Però non ingannarmi con false immagini / ma lascia
che io veda la verità / e possa poi toccare il giusto. Una visione
profondamente materialista della realtà unita a uninsopprimibile
tensione morale: così Di Giacomo traduceva in canzoni la sua fiera identità ultra
comunista, come diceva di se stesso. Questo il senso di un rock che pretendeva
di essere una tagliente arma culturale senza mai perdere un potente lirismo
epico. Tutte le questioni più drammatiche e pressanti trovavano così la propria
trasfigurazione su un piano poetico universale, senza mai confinarsi a cronaca
dell’attualità
o ideologia di partito: è il caso, ad esempio, di R.I.P., in cui i
disastri della guerra vengono raccontati attraverso un incalzante groove rock
che improvvisamente si sospende in lento corale conclusivo, o de Il
giardino del mago, suite visionaria e immaginifica in cui a parlare è
proprio un uomo a metà strada tra la vita e la morte.
A distanza
di pochi mesi dal primo album il tastierista e compositore Vittorio Nocenzi,
fondatore e mente compositiva del Banco, partorisce Darwin!, primo
concept album italiano in assoluto, che consacrerà la band a punto di
riferimento nella scena rock internazionale. Un album pedagogico, con cui Di
Giacomo e Nocenzi chiedono di provare
a pensare un pòdiverso,
abbandonando l’oscurantismo
e le facili illusioni di tutte le religioni per accettare la sfida di unesistenza
drammatica, in cui la volontà umana possa scoprire la propria dignità anche di
fronte all’ineluttabile
ruota gigante del tempo che scandisce il macabro walzer conclusivo di Ed
io domando tempo al tempo e lui mi risponde: Non ne ho!.
Nel nulla
di ogni verità trascendente l’uomo
può trovare il solo senso della storia nella creazione della sua libertà come
potenza rivoluzionaria contro ogni oppressione: questo l’insegnamento
che consegnano Io sono nato libero (1973), titolo che è allo
stesso tempo l’affermazione
stentorea del condannato a morte che invita le donne piangenti a non sprecare per lui una messa
da requiem(nel
primo brano Canto nomade per un prigioniero politico), e Come
in unultima
cena (1976), concept album in cui la metafora
evangelica viene ricondotta al percorso esistenziale di una volontà che solo
attraverso la comprensione del male può superare se stessa nella vita
vecchia /eppure così nuova / non nella specie / ma nella dimensione.
Questo stesso disco sarà prodotto (e tradotto in inglese) dalla casa
discografica, la Manticore(fondata da Emerson, Lake e Palmer), con
cui il Banco aveva debuttato presso il pubblico internazionale nel ‘75 con la
prima raccolta di brani riadattati in inglese. Stessa casa che produrrà il
primo lavoro solo strumentale della band, la colonna sonora del film di Luigi
Faccini tratto dal romanzo di Vittorini Il garofano rosso, in cui
Di Giacomo resta dietro le quinte per curarne una vera e propria introduzione e
guida all’ascolto
a partire da un lavoro di documentazione storica. Un gioiello, spesso
ingiustamente trascurato dalla critica, tra cui spiccano composizioni monumentali
come Suggestioni di un ritorno in campagna. La stagione più
creativamente fortunata del Banco si chiude forse nella coscienza stessa della
band - con Capolinea, un live storico che ripercorre con audaci
arrangiamenti per fiati da big band, sviluppando le sonorità folk dell’album
uscito lo stesso anno, Canto di primavera (79), in
cui i virtuosismi del rock più progressive lasciano spazio a unatmosfera
pastorale e mediterranea, solare e allo stesso tempo cupa, in un intreccio di allegra
malinconiache
segna probabilmente il punto di arrivo della loro poetica.
Ma il
testamento vero e proprio con cui si chiude la prima fase della carriera del
Banco, quella su cui ci siamo soffermati qui ritenendola - a nostro avviso - la
massima espressione artistica della band romana, è senz’altro la
suite sinfonica
di
terra(78),
per cui Francesco Di Giacomo compone i versi che faranno da titolo dei diversi
brani, concentrando come non mai il senso del suo messaggio. Ed è con questi
versi che concludiamo questo breve ricordo di un gigante della musica
contemporanea, la cui voce non smetterà di segnare chi ha avuto il privilegio
di ascoltarlo, chi avrà la fortuna di imbattersi sempre e di nuovo nelle sue
canzoni.
Nel
cielo e nelle altre cose mute
Terramadre
Non senza dolore
Io vivo
Né più di un albero, non meno di una stella
Nei suoni e nei silenzi
di terra
Terramadre
Non senza dolore
Io vivo
Né più di un albero, non meno di una stella
Nei suoni e nei silenzi
di terra
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