Ci sono due “giovani”
batteristi in Italia che mi piaccino molto come stile e groove… uno è Manuel
Smaniotto, attualmente batterista della Aldo Tagliapietra Band e vanta
altre migliaia di collaborazioni, session… (ne parliamo la prossima volata…).
L’altro e Sergio Ponti, molto attivo nel nord-ovest italiano
e nei paesi dell’est Europa. Amico e collaboratore di Barriemore Barlow,Clive Bunker,
Marco Minneman, da anni batterista dei Beggar’s Farm, “specializzati” in
tributi.
Con l’occasione
pubblico un’intervista a Sergio Ponti, per darvi modo di conoscerlo meglio…
Di tutto un Pop…
Wazza
Quella di oggi è
un’intervista diversa del solito e, lasciatemelo dire, molto interessante.
Mister Folk ha scambiato due parole con Sergio Ponti, apprezzato batterista
italiano che ha diviso il palco con mostri sacri dell’hard rock e del
progressive, ma che riguarda da vicino il nostro mondo poiché ha inciso e
suonato in tour con i fantastici romeni Dordeduh. Si è parlato quindi delle sue
esperienze e dei gusti musicali, dei Metallica di … And Justice For All e di
come avvicinarsi allo studio della batteria con alcuni utilissimi consigli (è
insegnante!). Il tutto impreziosito da gustosi aneddoti. Beh, non resta che
leggere!
La prima cosa che
ti chiedo è come ti sei avvicinato alla musica e alla batteria in particolare.
Ciao Fabrizio, è un
piacere essere qui a chiacchierare con te. Ho due sorelle molto più grandi di
me che hanno sempre ascoltato musica. Si sono sposate quando ero molto piccolo
e hanno lasciato alcuni dischi a casa dei miei. Più per capire come funzionasse
il piatto, ho iniziato a mettere su dei vinili a caso, da Jesus Christ
Superstar agli Eagles, passando per il grandissimo Cosmo’s Factory
dei Creedence Clearwater Revival e mi sono ritrovato a comprarmi un paio di
bacchette durante gli anni delle scuole medie e a distruggere la sedia di
camera mia suonando dietro a quegli LP e alla cassetta di Greatest Hits
dei Queen e a Made in Japan dei Deep Purple. Non che fossi capace di
star dietro a quest’ultimo, ma ci provavo! Non osavo chiedere ai miei di
prendermi una batteria e ricordo che chiesi a mia sorella Laura di domandare
loro da parte mia… inspiegabilmente, mio padre mi prese una Century. Un set
entry level su cui finii per suonare tutto il giorno, tutti i giorni.
Qual è stato il
momento in cui hai detto “da grande voglio fare il batterista?”. E quando hai
capito realmente che eri sulla strada giusta?
Un giorno su
Videomusic passarono il video di One dei Metallica. Non avevo mai
sentito parlare di batterie a doppia cassa (non c’era certamente Youtube e
neanche Internet se è per questo!), e vedere Lars suonare la parte centrale
all’unisono con le chitarre, con quella grinta e quella potenza, fece scattare
qualcosa. Provavo e riprovavo a suonarci dietro, ma non ero in grado di farlo.
Allora decisi che era il caso di studiare davvero. Leggevo Percussioni e
sulla quarta di copertina trovai la pubblicità della scuola di batteria di
Furio Chirico (batterista importantissimo per la scena italiana, N.d.r.).
Telefonai e mi rispose lui in persona, gentilissimo. Fu proprio lui, dopo circa
un anno di corso, a spronarmi a continuare, dicendomi: “guarda che se studi
e continui ad impegnarti, potresti fare questo come lavoro”. Furio è stato
una guida importante, musicalmente e umanamente.
Questo è un sito
che tratta folk/pagan/viking metal, quindi ci saranno un po’ di domande sul tuo
lavoro con i Dordeduh. Per farla breve, nel 2009 Negru si è tenuto il nome
Negură Bunget mentre Sol Faur e Hupogrammus (quest’ultimo nella band fin dal
principio, 1995) hanno fondato i Dordeduh. Da quell’anno hai iniziato ad
aiutarli con i live: come e perché sei stato contattato?
Tra il 2006 e il 2008
sono stato il batterista degli Ephel Duath. Nella primavera del 2007 facemmo
tre settimane di tour nel Regno Unito, con i Negură che suonavano prima di noi.
A dire il vero non legammo tanto in quel periodo. Ogni band viaggiava
separatamente con il proprio mezzo e ci vedevamo solo ai concerti. Nell’autunno
del 2009 mi arrivò una mail da Edmond (Hupogrammus) che mi chiedeva se ero
intenzionato a registrare del materiale con loro e accettai, curioso di
lanciarmi in una nuova avventura.
Con i Dordeduh hai
registrato l’EP Valea Omolui: ci racconti come si sono svolti i lavori e se hai
preso parte dalla fase di composizione, oppure era già stato scritto tutto
quanto e tu hai “semplicemente” suonato?
Fu una settimana
interessante, mi pare nell’ottobre del 2009. Loro avevano pronti i riff e la
maggior parte delle strutture. Credo per entrambe le parti si trattò di
un’esperienza molto interessante: io mi trovavo sicuramente fuori dalla mia
comfort-zone di batterista rock, e ricordo che per loro fu una ventata d’aria
fresca sentire delle idee ritmiche che non rientravano nei canoni tradizionali
del metal. Il groove di Zuh ad esempio, è basato su un rudimento, il triple
paradiddle, che ti aspetteresti più di sentire da Steve Gadd (batterosta di
James Brown, Eric Clapton, Peter Gabriel, Pino Daniele e Chick Corea tra gli
altri, ndMF) che da un metal drummer. Ognuno mise del suo e sicuramente venne
fuori un EP interessante.
live con i Dordeduh all’Hellfest 2014
Dopo l’EP è stato
realizzato il full-length Dar De Duh, ma tu hai soltanto registrato alcune
percussioni mentre la batteria è stata affidata a Ovidiu Mihăiță anche se hai
continuato a suonare live con loro. Mi pare una situazione sicuramente strana e
quasi complicata! Difficoltà di distanze e impegni personali?
Abitando io in Italia
ed essendo loro in Romania non è mai stato facilissimo, ma credo comunque di
aver fatto avanti indietro, negli anni, almeno cento volte. All’inizio sembrava
che dovesse esserci Ovi (che in Romania è un attore di fama nazionale!) alla
batteria, insieme a me e ad un batterista tedesco, Jorg. Non ho mai capito bene
se la cosa avrebbe potuto funzionare o meno, anche perché da lì a poco le
condizioni di salute della mia anziana mamma si aggravarono parecchio, e
dovetti rinunciare a quello che fu il concerto di debutto a Bucharest. Per un
po’ suonai solo con l’altro progetto comune, Sunset In The 12th House e mi
limitai, come hai scritto, a registrare le percussioni di Dar De Duh in una
giornata di studio. Fu molto bello suonare le loro percussioni tradizionali e
ricordo che mi diedero carta bianca, guidandomi solo in alcuni punti. Poi dal
2013 al 2015 suonai la batteria dal vivo con i Dordeduh, in tre tourneè europee
e molti concerti singoli e festival in giro per l’Europa, tra cui anche
Hellfest, Wacken e Rockstadt Extreme.
Come e perché è
finita la collaborazione con i Dordeduh?
Nell’estate del 2015
Edmond annunciò pubblicamente il suo ritiro unilaterale e a tempo indeterminato
dal mondo della musica e per me non ebbe più senso stare seduto ad aspettare
che succedesse qualcosa. A questo devi aggiungere che negli ultimi periodi c’erano
problemi tempistico/organizzativi generali ed io mi sono ritrovato più volte ad
andare in Romania, rinunciando a concerti molto ben pagati qui in Italia
(faccio il batterista di professione) per non concludere nulla là. Unisci
questo al fatto che io ho una pazienza pressoché infinita per tutto, tranne che
per il perdere tempo. Quello è un punto dolente, mi arrabbio subito e in
maniera invereconda, quindi è stato meglio per tutti chiudere lì la
collaborazione. Non rimpiango nulla di tutta l’esperienza comunque. Ho imparato
un sacco di cose, suonato tanto e visto un sacco di bei posti. Ho tantissimi
bei ricordi e considero la scena musicale Romena la più bella in cui abbia mai
suonato… e poi li ho anche conosciuto mia moglie!
Finora abbiamo
parlato di pagan black metal, ma tu sei un grande appassionato di prog rock. Ti
sei mai sentito “fuori posto” mentre eri in tour con i Dordeduh? Cosa ti
piaceva della loro musica e visto che ci siamo ti chiedo anche quali sono i
gruppi della scena che più ti piacciono o incuriosiscono?
No, sono sempre stato
accolto bene da tutti e ben voluto… almeno credo! Io ero quello con i capelli
corti, gli occhiali e la maglietta bianca dei Gentle Giant nel backstage in
mezzo ad una folla vestita di nero. Almeno mi trovavano subito quando c’era
bisogno! Sicuramente non mi è mai piaciuto suonare il blast beat, ma è una
questione di ascolti, a casa ho oltre 6000 dischi e credo ci sia il blast su
tre di questi. Ho visto dei batteristi pazzeschi suonarlo e stavo lì a
guardarli tutto il concerto. In Romania c’è colui che credo essere il miglior
batterista estremo al mondo: si chiama Septimiu Harsan e attualmente, tra i
tanti progetti, è il batterista di Disavowed e soprattutto dei Pestilence. È un
musicista eccezionale che suona come Derek Roddy (Hate Eternal, Nile,
Malevolent Creation ecc., ndMF) e Gavin Harrison (Porcupine Tree, Steven
Wilson, Claudio Baglioni, Franco Battiato, Iggy Pop ecc., ndMF) messi insieme.
Siamo amici e ci sentiamo spesso. Sono contento che stia ricevendo l’attenzione
che merita. È una persona molto interessante con un sacco di cose da dire.
Dovreste intervistarlo! Raphael Saini (Iced Earth, Cripple Bastards, Master,
Corpsefucking Art ecc., ndMF)in Italia è un batterista estremo che seguo e
apprezzo molto. Davide Piovesan, il batterista originale degli Ephel Duath è
bravissimo anch’egli: originalissimo. Per quanto riguarda la musica dei
Dordeduh, mi piaceva l’uso di accordi, ritmiche e armonie non propriamente
tipiche del metal, l’uso delle dinamiche e anche di momenti totalmente
silenziosi all’interno del set. Una bella varietà! In realtà non conosco quasi
nessun altro gruppo della scena alla quale eravamo accumunati… anzi chiedo a te
di segnalarmene qualcuno, te ne sarei grato!
Hai altre
esperienze nel mondo dell’heavy metal?
Oltre agli Ephel
Duath, tra il 2004 ed il 2006 sono stato il batterista degli Illogicist.
In tuo post su
Facebook definisci …And Justice For All dei Metallica come un capolavoro del progressive
metal. Una frase del genere potrebbe far storcere il naso a molte persone, ci
puoi spiegare perché per te il quarto lavoro dei Metallica è progressive metal?
Devi sapere che io ho
una sorta d’idolatria per questo disco, sentirlo mi ha fatto venire davvero
voglia di studiare la batteria. Mi ricordo tutto le parti di Lars e i testi a
memoria. Testi che non parlano di mostri sotto il letto e cose simili, ma di
giustizia, libertà di parola e dura condanna della guerra. Sicuramente leggerli
da adolescente ha lasciato un segno. Progressive perché nel 1987/88, quando il
disco è stato concepito e registrato non c’erano in giro delle band heavy (a
parte i Watchtower, forse) che ardivano a fare dischi con un suono così
chirurgico e preciso e allo stesso tempo potente. Le strutture non sono mai
scontate, c’è sempre un giro con qualche battuta in più o in meno rispetto a
quello precedente, oppure cambia il tempo. O la velocità. È vero che ci sono un
sacco di takes combinate fra loro, però il disco suona omogeneo, con il sound
di una band che è (era?) veramente in grado di suonare INSIEME. Te lo dimostro
dicendo che in One ogni ritornello è un pelo più veloce della strofa che
lo precede e poi il tempo torna a sedersi per la strofa successiva. Però subito
non te ne accorgi, senti solo che il tiro del pezzo sale e cresce d’intensità.
Non senti quella sensazione fastidiosa di qualcosa che accelera e rallenta e
perde di groove. Questo perché la band si ascolta, si segue e i musicisti
suonano tutti con la stessa intenzione. So di certo, perché ho i miei
informatori e faccio le mie ricerche, che tutto il disco è registrato a click,
programmando tutti i cambi di tempo e velocità passo a passo con una drum
machine. Credo che Lars abbia fatto impazzire tutti durante la registrazione
tra questo e il volere quel sound di batteria, però ha avuto ragione.
Ho visto una foto
con la tua batteria a pochi centimetri da quella di Ian Paice dei Deep Purple:
ci racconti qualcosa di quell’incontro e ti senti fortunato a poter dividere il
palco con personaggi del genere? O ti ci stai abituando?
No, non ti abitui mai
e sì, sono molto fortunato. Dal 2004 suono nei Beggar’s Farm, band fondata dal
polistrumentista Franco Taulino. Negli anni grazie a Franco siamo diventati una
band di riferimento per alcune leggende del progressive rock, che si fidano di
noi e ci assumono come band per concerti da solisti in Italia, oppure si
affiancano a noi come special guest. Ho realizzato il sogno di suonare con
tantissimi componenti dei Jehtro Tull, Banco Del Mutuo Soccorso, PFM e
tantissimi altri grazie a questa formazione. L’esperienza con Paice è una di
queste. Il batterista lo conosciamo. Parlano per lui 50 anni di carriera,
milioni di dischi venduti e la stima di tutti i batteristi del mondo. Però Ian
è una persona rilassata, quasi timida per quel che ho potuto vedere. Abbiamo
suonato alcuni brani a due batterie e non abbiamo avuto modo di parlarci nel
pomeriggio. Prima della nostra performance insieme, mentre ci presentavano,
sono corso dietro la sua batteria e li è venuto fuori il mio lato da
insegnante. Letteralmente: “mi hanno detto che tra gli altri pezzi dobbiamo
suonare anche Smoke On The Water insieme, ma secondo me la gente la vuol
sentire fatta solo da te”. Lui: “nah, come on, let’s have fun!”. Al che
gli ho risposto: “allora, facciamo così, altrimenti ci pestiamo i piedi e
viene fuori una schifezza. In Smoke suoni tu il groove e io solo le mani e non
la cassa. Gli altri pezzi dei Jethro Tull li conosci bene?”. Vedendolo
titubante e avendo trenta secondi per organizzarci gli ho detto: “allora guarda
me, ti do tutti i segnali io. E non suonare la cassa in Locomotive Breath!”.
Lui ha risposto: “wonderful, we’re all set!”. E ce la siamo cavata
alla grande. Poi ci siamo seduti a cena assieme, ci siamo complimentati a
vicenda e con lui e mia moglie abbiamo parlato della sua famiglia, della Scozia
e di birre.
Clive Bunker, Ian Paice e Sergio Ponti
Quali sono i gruppi
e i batteristi più influenti per il tuo stile?
Troppi e me ne
dimenticherò qualcuno. Ho grandissima ammirazione per i batteristi virtuosi che
sono in grado di suonare con chiunque e qualsiasi stile. Io non ne sono capace!
Mi piacciono tutti i batteristi dei miei gruppi preferiti, proprio perchè sono
insostituibili nel suond della band e hanno fatto la storia del periodo in cui
vi hanno militato. Il mio batterista preferito è Barriemore Barlow, che ha
suonato nei Jethro Tull tra il 1971 e il 1980. Le sue idee e il suo stile sono
inimitabili e non ho mai sentito nessuno suonare così, prima e dopo di lui. Ho
passato centinaia di ore a cercare di imparare le sue parti e a meravigliarmi di
come avesse fatto a pensarle. Lo conosco personalmente e sono stato ospite a
casa sua. Lui non vuole sentir parlare di batteria, quindi abbiamo fatto lunghe
chiacchierate sulla vita in generale e per me va bene così. Mi basta sapere che
mi stima e che mi considera un collega e un amico. Di tutte le cose che ho
fatto in musica, condividere batteria e palco con lui è stata la cosa più
bella. Tutti gli altri batteristi dei Tull sono formidabili. Clive Bunker e
Doane Perry sono sempre stati gentili con me ogni volta che abbiamo suonato
insieme. Il compianto Mark Craney è stato un gigante del mio strumento, mai
abbastanza considerato. Una forza della natura! Tutti i batteristi di Zappa, in
particolar modo Terry Bozzio e Chad Wackerman per la follia organizzata del
loro playing. Roger Taylor dei Queen: timing impeccabile, voce con estensione
infinita, autore di brani senza tempo. Diciamo che anche suonare con una band
composta da altre tre individualità così uniche è una cosa che un po’ gli
invidio. John Bonham dei Led Zeppelin: non serve aggiungere altro. Ian Paice,
ovviamente. Lars Ulrich, senz’altro. Mike Portnoy, come tutta la mia
generazione. Nick Menza, un batterista metal con un grande groove, si sente che
veniva dal rock e dal blues. Pat Torpey dei Mr.Big. Sempre in grado di infilare
una chicca batteristica di grande rilievo in brani di pop/hard rock. Pierluigi
Calderoni del Banco del Mutuo Soccorso, per il suo stile preciso e le ritmiche
serrate e incalzanti ma allo stesso tempo leggere. È anche una brava persona,
lo conosco. Edoardo Bellotti, un batterista con una grande cultura che potrebbe
suonare bene tutto e suona jazz in maniera consapevole ed elegante, con poche
note al posto giusto. Oggi mi piacciono tantissimo Keli, il batterista degli
Agent Fresco. Bravissimo, originale e imprevedibile, e Blake Richardson dei
Between The Buried And Me.
Mi sembra di capire
che i Jethro Tull siano il tuo gruppo del cuore, ma ti sei sposato indossando
una maglia dei Queen mentre tua moglie ne aveva una degli Yes. Si tratta di
tradimento?
Ma sai proprio tutto!
Grande! Quando ho saputo che Martin Barre e Clive Bunker dei Jethro sarebbero
stati al nostro matrimonio, conoscendoli ho pensato che mi avrebbero preso in
giro tutto il giorno perché indossavo una loro t-shirt il giorno del mio
matrimonio, allora ho optato per i Queen, che adoro al pari dei Tull. Mia
moglie è una grande fan degli Yes. Ho capito solo il giorno dopo che non era
solo per la band, ma anche per il “sì”. Sono solo il batterista alla fine, un
po’ lento di comprendonio.
Da batterista di
alto livello ti chiedo se puoi dare qualche semplice consiglio a chi si vuole
avvicinare al tuo strumento.
Premetto che non mi
considero un batterista di alto livello, ma ti ringrazio davvero per la tua
stima. Studio tutte le mattine per migliorarmi e non fare brutte figure quando
suono! La mia idea è di prendere lezioni e cercare di imparare quanto più possibile
e ascoltare molta musica diversa, ma poi specializzarci in ciò che ci piace
davvero. Se abbiamo provato per due anni ad ascoltare ogni forma di jazz ma
quando ci sediamo alla batteria suoniamo dietro a Reign In Blood, direi che la
nostra direzione musicale è piuttosto chiara, ma il fatto di aver studiato
altri generi ci aiuterà a suonare meglio in generale e con maggiore
consapevolezza. Direi che individuare una scuola con un insegnante che ci
piace, o studiare privatamente con un bravo maestro è molto molto utile. Io
vorrei averlo fatto prima nella mia evoluzione. Non serve avere una batteria
costosa, bisogna studiare. Allora poi una batteria da 500/700 euro con delle
buone pelli accordate e dei piatti decenti suonerà come una che costa dieci
volte tanto. Quando presto la mia vecchia Tamburo da 460 euro a Clive Bunker
lui la suona ed esce il suono che aveva nel 1970 all’Isola di Wight davanti a
650.000 persone (si riferisce al grandioso concerto con The Doors, The Who,
Jimi Hendrix, Jethro Tull, Free, Emerson, Lake & Palmer e altri nomi
fondamentali per il rock, potete recuperare il video “Message To Love: The Isle
Of Wight festival”, ndMF). Io mi siedo dietro e tento di rubare il mestiere.
Quello del suono è un aspetto affascinante e spesso trascurato dal batterista
inesperto.
Quanto è importante
(e difficile) trovare il drum kit ideale? Qual è oggi il tuo drum kit standard?
È importante, ed è
difficile. Costa un sacco di soldi buttati per colpa dell’inesperienza e
dell’insicurezza. Uso una batteria Vibe in alluminio, costruita da Paolo Zuffi
a Imola. È uno strumento eccezionale. Ian Paice, Mark Richardson degli Skunk
Anansie, i miei compagni di band e altri sono tutti rimasti sbalorditi dal suo
suono. Ha molto volume e proiezione e magari se devo suonare in un teatro o in
un club, uso una batteria in legno con diametri più contenuti, ma il mio set
ideale ha una cassa da 24”, tom da 13” (a volte aggiungo un 10” sulla destra) e
timpani da 16” e 18”. Le classiche misure da rock. Piatti Paiste 2002. Ho questo
sound nelle orecchie perché tutti i miei batteristi preferiti li usano, quindi
mi è sembrata una scelta ovvia. Bacchette Promark 5B e pelli Evans. Il mio set
ideale è portare in giro o in studio meno roba possibile per poter affrontare
in modo giusto la musica che devo suonare, così da non avere tentazioni di
suonare più del necessario… e smontare velocemente dopo il concerto! E non
dimenticare il tappeto, altrimenti si muove tutto!
Cosa stai facendo
in questo periodo?
Insegno presso tre
ottime strutture. Fondazione Fossano Musica di Fossano, una scuola che ha
ottimi programmi di musica d’insieme; Musicanto a Piossasco (Torino) e la
Pepper Music a Moncalieri. Ho un sacco di bravi allievi e cerco di fargli
ascoltare i dischi al pari di studiare i rudimenti. Tra le molte band, segnalo
The Critical Failure, una nuova formazione con disco in uscita. Immagina un
sound vicino a certe cose di Devin Townsend e un concept che vede con occhio
sinistro e quasi ironico la vita di alcuni famosi serial killers. Presto news
in merito!
Sergio, grazie di
cuore per la tua disponibilità e gentilezza. È sempre un grande piacere poter
parlare con un musicista di spessore come lo sei tu.
Grazie a te per il
tempo dedicatomi e ai lettori che avranno la pazienza di leggere quest’intervista
fino a qui.