domenica 29 dicembre 2019

LO ZOO DI BERLINO ft. Patrizio Fariselli – “RESISTENZE ELETTRICHE”, di Andrea Pintelli



LO ZOO DI BERLINO ft. Patrizio Fariselli – “RESISTENZE ELETTRICHE”
Di Andrea Pintelli
Articolo già apparso su MAT2020 di ottobre 2019

Attivi dagli inizi del millennio, senz’altro tecnicamente mostruosi i signori Diego Pettinelli (basso) - Massimiliano Bergo (batteria) - Andrea Pettinelli (tastiere), sicuramente preparatissimi tanto da poter condividere il progetto col loro mentore Patrizio Fariselli, miracolosamente usciti negli anni Duemila dai tanto amati anni ‘70. 
Nessuna confusione degli intenti, ma un’attenta e oculata scelta di viaggiare su rotaie di profonda nicchia che esula dal Prog e si avvicina nettamente alla Musica totale creata, fra gli altri, dagli inarrivabili Area di cui proprio Fariselli fu colonna portante. Propensi ad evoluzioni sonore che volgono all’improvvisazione più spinta, i ragazzi de LO ZOO DI BERLINO (scusate, ma ci sta l’accenno al riferimento) sfornano un prodotto che non avrebbe di certo sfigurato in quell’ambito di cui si fanno ora sicuri interlocutori a livello nazionale, dal titolo “Resistenze Elettriche”. 
Progetto speciale uscito, guarda caso, proprio il 25 Aprile di quest’anno, pensato e studiato come fosse un LP, si pregia di essere per metà live (side A, prima parte) registrata durante il loro tour dei luoghi emiliano/romagnoli della Restistenza, e per metà inciso in studio (side B, seconda parte), ma avente comunque una attenta e ineccepibile produzione in entrambi gli ambiti, di cui i nostri sono gli artefici, senza ingerenze esterne. Bontà loro. La vicinanza, anche politica, ai geniali Area viene quindi esternata con tre riletture (direi) avanzate di tre importanti capitoli della loro storia, ossia “L’Internazionale”, “Elefante Bianco” e “Arbet Macth Frei” (con i nomi leggermente variati…!). La domanda è: come rinnovare ciò che era già perfetto? Risposta (semplice?): avendo coraggio nel vestire di nuovo la meraviglia. Racconto della follia ben riuscita: da un arpeggio di pianoforte, si passa al free (no, non è cacofonia), per approdare all’inno del pugno chiuso al cielo, la cui linea melodica è tenuta da uno dei suoni di basso più pieni e profondi che possiate pensare di incontrare nella vita. Esso poi passa il testimone al maestro Fariselli, impossibile di meglio. Si passa poi a uno dei refrain più famosi della musica italiana, qui risuonati con arte su arte (visto che Demetrio Stratos rimane insostituibile e sarebbe anche sciocco il solo provarci), in cui i nostri esagerano nella bellezza. Chiude il set l’approccio senz’altro maggiormente difficoltoso, perché misurarsi con “Arbeit” (come la chiamano loro) è esercizio non di stile, ma di esagerata forza. Certo, ci si dedica al proprio progetto, si diventa sempre più entità oltremodo vicine in un gruppo (fino a quando regge la magia), ma qui i ragazzi superano sé stessi. Chiude la side A il pezzo “Aria”, direttamente dall’ultimo disco di Fariselli (anch’esso prodotto da Lo Zoo di Berlino), dedicata ai Partigiani caduti in battaglia. La side B si apre con “De Waiting War”, primo dei 4 inediti proposti dai nostri, una canzone ispirata a “War” del compositore futurista Francesco Pratella; e siamo fin da subito inchiodati al muro da tanta potenza e visionarietà. Solo da vivere, non da spiegare. “Control Freak”, contro le guerre modernizzate dalla stupidità umana (sarà sempre il caso di chiamarlo “Progresso”), dominata dalle tastiere, la cui resa è superba nel riassumere il messaggio. “Ganz Egal Marcela Lagarde” creata e studiata per rendere omaggio all’attivista messicana Lagarde, appunto, e al suo pensiero contro ogni femminicidio (termine da lei stessa creato), quindi un messaggio sociale fortissimo, purtroppo molto e troppo attuale. Ultima track una funkeggiante versione dell’inflazionatissima “Bella Ciao”, a cui i nostri donano veramente nuovi colori, pur essendo ormai di moda anche fra i canti dei bambini dell’asilo (meglio che altri inni, s’intende, e chi vuol capire, capisca).
La magniloquenza di questa formazione, che con questo disco stende molti altri avventurieri dell’impro, sta nella sezione ritmica coi fiocchi (o coi maroni, decidete voi), la versatilità piena del tastierista, tanto che la mancanza della chitarra non la avverte nemmeno. Concettualmente sono sì vicini agli eroi degli anni 70, ma qui il discorso si fa di più ampio respiro, siccome si aggiunge il respiro del nuovo Medioevo in cui stiamo vivendo, epoca bislacca e strana in cui tutto c’è con ostentazione pur in palese mancanza delle colonne di sostegno. L’essenzialità sparita e regalata all’effimero. La loro contemporaneità sta nel suono e nel suono delle loro idee. OK, ma poi? Cosa resterà?
Lo Zoo di Berlino, da loro canto, ce lo dirà nei prossimi lavori, che si annunciano succulenti per noi appassionati di musica “carnale” (non di plastica che alcuni vorrebbero farci piacere). Nel frattempo, ascoltatevi e riascoltatevi questo monolite degli anni 10.

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