LO
ZOO DI BERLINO ft. Patrizio Fariselli – “RESISTENZE ELETTRICHE”
Di
Andrea Pintelli
Articolo
già apparso su MAT2020 di ottobre 2019
Attivi dagli inizi del millennio,
senz’altro tecnicamente mostruosi i signori Diego Pettinelli (basso) - Massimiliano
Bergo (batteria) - Andrea Pettinelli (tastiere), sicuramente
preparatissimi tanto da poter condividere il progetto col loro mentore Patrizio
Fariselli, miracolosamente usciti negli anni Duemila dai tanto amati anni ‘70.
Nessuna confusione degli intenti, ma un’attenta e oculata scelta di viaggiare
su rotaie di profonda nicchia che esula dal Prog e si avvicina nettamente alla
Musica totale creata, fra gli altri, dagli inarrivabili Area di cui proprio
Fariselli fu colonna portante. Propensi ad evoluzioni sonore che volgono all’improvvisazione
più spinta, i ragazzi de LO ZOO DI BERLINO (scusate, ma ci sta l’accenno al riferimento) sfornano
un prodotto che non avrebbe di certo sfigurato in quell’ambito di cui si fanno
ora sicuri interlocutori a livello nazionale, dal titolo “Resistenze Elettriche”.
Progetto speciale
uscito, guarda caso, proprio il 25 Aprile di quest’anno, pensato e studiato
come fosse un LP, si pregia di essere per metà live (side A, prima parte) registrata
durante il loro tour dei luoghi emiliano/romagnoli della Restistenza, e per
metà inciso in studio (side B, seconda parte), ma avente comunque una attenta e
ineccepibile produzione in entrambi gli ambiti, di cui i nostri sono gli
artefici, senza ingerenze esterne. Bontà loro. La vicinanza, anche politica, ai
geniali Area viene quindi esternata con tre riletture (direi) avanzate di tre
importanti capitoli della loro storia, ossia “L’Internazionale”, “Elefante
Bianco” e “Arbet Macth Frei” (con i nomi leggermente variati…!). La domanda è:
come rinnovare ciò che era già perfetto? Risposta (semplice?): avendo coraggio
nel vestire di nuovo la meraviglia. Racconto della follia ben riuscita: da un
arpeggio di pianoforte, si passa al free (no, non è cacofonia), per approdare
all’inno del pugno chiuso al cielo, la cui linea melodica è tenuta da uno dei
suoni di basso più pieni e profondi che possiate pensare di incontrare nella
vita. Esso poi passa il testimone al maestro Fariselli, impossibile di meglio.
Si passa poi a uno dei refrain più famosi della musica italiana, qui risuonati
con arte su arte (visto che Demetrio Stratos rimane insostituibile e sarebbe
anche sciocco il solo provarci), in cui i nostri esagerano nella bellezza.
Chiude il set l’approccio senz’altro maggiormente difficoltoso, perché
misurarsi con “Arbeit” (come la chiamano loro) è esercizio non di stile, ma di esagerata
forza. Certo, ci si dedica al proprio progetto, si diventa sempre più entità
oltremodo vicine in un gruppo (fino a quando regge la magia), ma qui i ragazzi
superano sé stessi. Chiude la side A il pezzo “Aria”, direttamente dall’ultimo
disco di Fariselli (anch’esso prodotto da Lo Zoo di Berlino), dedicata ai
Partigiani caduti in battaglia. La side B si apre con “De Waiting War”, primo
dei 4 inediti proposti dai nostri, una canzone ispirata a “War” del compositore
futurista Francesco Pratella; e siamo fin da subito inchiodati al muro da tanta
potenza e visionarietà. Solo da vivere, non da spiegare. “Control Freak”,
contro le guerre modernizzate dalla stupidità umana (sarà sempre il caso di
chiamarlo “Progresso”), dominata dalle tastiere, la cui resa è superba nel
riassumere il messaggio. “Ganz Egal Marcela Lagarde” creata e studiata per
rendere omaggio all’attivista messicana Lagarde, appunto, e al suo pensiero
contro ogni femminicidio (termine da lei stessa creato), quindi un messaggio
sociale fortissimo, purtroppo molto e troppo attuale. Ultima track una
funkeggiante versione dell’inflazionatissima “Bella Ciao”, a cui i nostri
donano veramente nuovi colori, pur essendo ormai di moda anche fra i canti dei bambini
dell’asilo (meglio che altri inni, s’intende, e chi vuol capire, capisca).
La magniloquenza di questa
formazione, che con questo disco stende molti altri avventurieri dell’impro,
sta nella sezione ritmica coi fiocchi (o coi maroni, decidete voi), la
versatilità piena del tastierista, tanto che la mancanza della chitarra non la avverte
nemmeno. Concettualmente sono sì vicini agli eroi degli anni 70, ma qui il
discorso si fa di più ampio respiro, siccome si aggiunge il respiro del nuovo
Medioevo in cui stiamo vivendo, epoca bislacca e strana in cui tutto c’è con
ostentazione pur in palese mancanza delle colonne di sostegno. L’essenzialità
sparita e regalata all’effimero. La loro contemporaneità sta nel suono e nel
suono delle loro idee. OK, ma poi? Cosa resterà?
Lo Zoo di Berlino, da loro canto,
ce lo dirà nei prossimi lavori, che si annunciano succulenti per noi
appassionati di musica “carnale” (non di plastica che alcuni vorrebbero farci
piacere). Nel frattempo, ascoltatevi e riascoltatevi questo monolite degli anni
10.
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