mercoledì 10 gennaio 2024

2023: un anno memorabile per il prog-rock “Made in Liguria”, di Alberto Sgarlato




2023: un anno memorabile per il prog-rock “Made in Liguria” 

Di Alberto Sgarlato


Che il rock progressivo italiano sia particolarmente apprezzato in tutto il pianeta, dall’Estremo Oriente all’Est Europeo, dal Nord Europa al Sud-Est Asiatico, dagli USA all’America Latina, è cosa ormai risaputa da tempo. Così come è altrettanto risaputo che, tra le varie regioni italiane, la Liguria è una di quelle che nei decenni, fin dagli esordi, hanno dato veramente tanto alla “causa” progressiva.

Tuttavia, ci sono anni che risultano veramente sfolgoranti. E per la Liguria il 2023 appena trascorso merita di essere ricordato tra questi. Tra esordi notevoli, eccellenti riconferme e graditi ritorni, si è venuto a creare mese dopo mese un catalogo di artisti e di album veramente mozzafiato.

Ma possono convivere quantità e qualità? Eccome! Non solo il 2023 ci ha portato una grande ricchezza di titoli prog “Made in Liguria”, ma il livello delle varie opere è stato talmente alto da collezionare positive recensioni su scala internazionale.

Quantità e qualità, dunque, ma anche varietà: l’età media estremamente diversificata dei musicisti in azione ha fatto sì che venissero prese in esame tutte le correnti del rock progressivo, da quello più classico alle sue più moderne evoluzioni.

Passiamo qui in rassegna alcuni titoli. Attenzione: casualmente si tratta di dieci artisti, ma NON è una “Top Ten”. Questa, infatti, non vuole essere una classifica di merito, semplicemente i nomi menzionati sono citati in ordine alfabetico. E se abbiamo dimenticato qualche valida produzione, ce ne scusiamo. La colpa non è di chi ha compilato questo articolo ma semmai il merito è della scena musicale ligure, decisamente vasta e godibile.

 

Ancient Veil: “Puer Aeternus”


Nati da una costola di un nome indimenticabile del neo-prog italiano, cioè gli Eris Pluvia (che lasciarono il segno nel 1991 con “Rings of Earthly Lights”), gli Ancient Veil donano alle stampe un lavoro di gran classe, dove echi di musica antica e folk (grazie alla maestria di Edmondo Romano nel gestire i suoi molteplici strumenti a fiato etnici e alla versatilità chitarristica di Alessandro Serri, suo partner artistico di sempre e compositore delle musiche dell'album) “duellano” con impennate di sintetizzatori degni della miglior tradizione del british new-prog e con momenti strumentali tra jazz-rock e new-age. Ad accentuare ulteriormente la varietà del lavoro, la scelta di coinvolgere molteplici voci differenti a interpretare le parti cantate per la prima volta, nella storia della band, in italiano.

 


(il) Cerchio d’Oro: “Pangea e le tre lune”


Dopo tre ottimi concept-album distribuiti nel corso di tutto il Nuovo Millennio, questa band di Savona con il quarto titolo “Pangea e le tre lune” ci offre forse il suo lavoro più complesso, completo e maturo. Il marchio di fabbrica della band, dato dal mix di voci di Piuccio Pradal e dei gemelli Gino e Giuseppe Terribile (batterista e bassista), la potenza dell’Hammond e dei synth di Franco Piccolini e  l’approccio sanguigno del chitarrista Massimo Spica, fusi con le chitarre hard-blues degli ospiti Tolo Marton e Ricky Belloni e con il violino dell’ex-Quella Vecchia Locanda Donald Lax (ricordiamo che nel 2023 il Cerchio d’Oro ha inserito per la prima volta anche un violinista fisso in formazione, Luca Pesenti) dà vita a un sound che per ingredienti e dosaggio fa pensare ai Kansas italiani. E il 2024 coinciderà con il cinquantennale dalla fondazione della band: i fans si aspettano grandi cose.

 


Gleemen: “Dove vanno le stelle quando viene giorno?”

Un album che commuove ad ogni singola nota e che profuma di malinconia, ma mai di nostalgia o, peggio, di passatismo o di stantio. Un plauso al batterista e cantante Maurizio Cassinelli che ha avuto la sensibilità di continuare a tener vivo un nome storico, tra i primi in assoluto del post-beat italiano, tra hard, psichedelia, blues e prog; un plauso ai tanti chitarristi (Marco Zoccheddu, Mauro Culotta, Santiago Fracassi, Giampaolo Casu) che si sono impegnati per tener vivo il ricordo del compianto Bambi Fossati; un plauso al percussionista ospite Matteo Robolini; ma soprattutto un plauso al versatile ed eclettico compositore e polistrumentista Alessandro Paolini (basso, tastiere, chitarre e cori) per l’incredibile lavoro effettuato.

 


Magia Nera: “Vlad”

Ed ecco che ci spostiamo all’estremo Levante della regione per salutare con entusiasmo i Magia Nera, tenebrosa formazione in attività addirittura dalla fine degli anni ‘60. Questo concept album dedicato al misterioso conte e condottiero della Transilvania (solo un folle sanguinario o realmente una creatura dotata di poteri sovrannaturali?) è un eccellente lavoro destinato a far sognare gli amanti del prog più dark e al tempo stesso più vintage, tra riff di chitarra infuocati, organo sempre in primo piano e testi interpretati con emozionante teatralità. Un sound vigoroso intriso dell’urlo primordiale che fu dei primordi dell’hard rock, tra Black Sabbath, Uriah Heep e Black Widow.

 


Malombra: “T.r.e.s.”

Il carismatico e tenebroso Renato Carpaneto, in arte Mercy, rispolvera il marchio Malombra a ben ventidue anni di distanza dall’ultima pubblicazione sotto questo nome. Torna così in azione uno dei monicker più gloriosi della scena dark-prog underground e in questo nuovo album, dell’importante durata di un’ora, troviamo confermati tutti gli stilemi che hanno costituito il marchio di fabbrica della band. Linee vocali intrecciate a doppio filo con la new-wave e dark-wave italiana, sia nel timbro, sia nell’enfasi del cantato, sia nella profondità dei testi (cupi, dolorosi, ma sempre raffinatissimi nella scrittura e nei riferimenti letterari), vengono sorrette da deflagrazioni chitarristiche figlie del metal. Il tutto tra rarefazioni e dilatazioni psichedeliche e complesse strutture progressive, nell’ambito di brani spesso oscillanti tra i dieci e i venti minuti di durata ciascuno.



Mindlight: “N.A.M.I.”

Band di confine tra il metal-prog più sinfonico ed il power-metal, i savonesi Mindlight debuttano con questo album d’esordio pur avendo alle spalle sia una ricca produzione come singoli componenti in altre formazioni storiche dei due summenzionati generi, sia tanta gavetta concretizzata con questa line-up. Su tutto svettano le prestazioni vocali del carismatico frontman Dave Garbarino; il “muro di suono” compatto è dato dagli incroci delle due chitarre, ma a “spezzare” le “cavalcate” in tipico stile power sono i cambi di tempo e di geometria di una sezione ritmica ben avvezza alle imprevedibilità della scuola progressiva. E a far da collante su tutto questo, un gran lavoro di tastiere, capaci di maestosità sinfoniche come di inaspettati e malinconici chiaroscuri più intimisti.

 


Missing Ink: “Undrawn”

Altra band dal sound moderno e altro album di debutto, questo “Undrawn” dei Missing Ink che approdano alla firma con Ma.Ra.Cash. Records. Sono la band più a Ponente di questa rassegna, fanno quartier generale tra Albenga e Pietra Ligure, ma sono anche la formazione con l’età media più bassa tra quelle qui citate. Maggior gioventù in questo caso non significa minor esperienza, visto che i Missing Ink hanno già collezionato lunghi tour, vittorie in contest, premi e riconoscimenti. Tastiere sinfoniche figlie del new-prog di Arena e Pallas, fuse con chitarre ora più hard e ora più languide, nella miglior tradizione AOR, supportate da una sezione ritmica ineccepibile, sfociano in un moderno prog melodico, cantabilissimo a tratti imparentato con il nu-metal di Evanescence o Lacuna Coil. Ma a fare la differenza è la potente e graffiante voce femminile che impone al tutto inaspettate tinte soul e r’n’b.

 


Andrea Orlando: “La scienza delle stagioni”

Ok, ammettiamolo: si è fatto un po’ aspettare, questo batterista, polistrumentista, compositore, arrangiatore e produttore genovese. Il suo eccellente esordio “Dalla vita autentica”, infatti, risaliva ben al 2017. Ma lo perdoniamo. Sia perché è stato molto impegnato in validi progetti (citiamo solo Finisterre, La Maschera di Cera e il tributo genesisiano dei Real Dream), sia perché ascoltando il risultato finale si può dire che valeva la pena aspettare. Un progressivo italiano estremamente classico e romantico, ma sempre pervaso da una vena cupa, struggente, inquietante, tra la colonna sonora di un “polar” francese o di uno sceneggiato “di genere” italiano d’epoca. E la suite finale, “La strada del ritorno”, con l’innesto di numerosi musicisti ospiti, è un vero tripudio sinfonico che mozza il respiro in gola.

 


Luca Scherani: “Everything’s changing”

Se oggi si dovesse pubblicare una nuova enciclopedia della musica mondiale, bisognerebbe inserire un nuovo genere musicale e chiamarlo “Luca Scherani”. Tra i musicisti che popolano il nostro pianeta, infatti, esistono esecutori perfetti che non scrivono una nota ed esistono compositori che preferiscono affidare ad altri le proprie partiture, o anche arrangiatori che rendono al meglio valorizzando quanto scritto da altri; esistono virtuosi che dedicano una vita intera a un solo strumento e polistrumentisti che sanno suonare un po’ di tutto. E poi esistono veramente pochi, pochissimi artisti degni dell’appellativo di Genio a tutto tondo. E uno di questi, oggi, è Luca Scherani. Nel suo album “Everything’s changing” costruisce un perfetto lavoro di arrangiamento degno di un direttore d’orchestra affidando i suoi brani ai comprimari perfetti ciascuno per la propria parte, eppure suona egli stesso oltre alle tastiere (suo strumento principe) anche flauti, sax, chitarre, basso, bouzouki; e compone tracce nelle quali convivono con un gusto estetico unico e una rara eleganza, partendo da una matrice prog-rock, il jazz-rock, il minimalismo, l’elettronica, la musica cameristica, la lirica, il musical, la new-age, la world music e molto altro. Un disco degno di fare la storia. 


(il) Segno del Comando: “Il domenicano bianco”

Diventa veramente difficile parlare di questo album. Che cosa si può aggiungere, ormai, su un disco che alla fine del 2023 ha letteralmente trionfato nelle classifiche dei siti, delle riviste e dei blog specializzati di rock progressivo, nei sondaggi dei lettori e in quelli dei critici, conquistando i primi posti del podio e spesso addirittura il primo posto, non soltanto tra i migliori lavori italiani dell’anno ma tra quelli mondiali? Ma forse la miglior vittoria per il Segno del Comando, nel 2023, è stata la soddisfazione di guadagnarsi il palco di Veruno in occasione del 2Days Prog+1, attualmente il più autorevole festival del genere, con una performance eccellente davanti a un nutrito pubblico entusiasta. Con il timone da anni saldamente nelle mani del bassista e compositore Diego Banchero, il Segno del Comando è una band di straordinaria versatilità, che riesce a fondere al meglio l’enfasi drammatica e teatrale del rock progressivo italiano classico, soprattutto quello dalla vena più dark, con l’energia e il virtuosismo del metal-prog moderno, ma sempre con gusto e senza mai scadere in un inutile autocompiacimento. E di pari passo con partiture così intricate altrettanto degni di nota sono i testi in italiano, densi di metafore e di riferimenti e citazioni letterarie e filosofiche.


Una “Menzion d’onore per meriti” da fuori Liguria…

Ok, l’artista che stiamo per citare non è ligure. È un napoletano verace, ma è anche cittadino del mondo; ha girato l’Italia, ha vissuto a Londra negli anni del punk e ha visto nascere negli USA la no-wave; ha persino fondato incarnazioni della sua band insieme a musicisti giapponesi; forse egli stesso non è nemmeno di questo pianeta, forse appartiene a una dimensione al di sopra dei miserabili concetti di tempo e di luogo. Ma non si può negare che Gianni Leone sia anche un grande amico della Liguria, regione dove torna spesso a suonare con il suo Balletto di Bronzo o in qualità di ospite con i suoi amici Osanna. Memorabili le sue prestazioni con il Balletto di Bronzo al Prog Fest del Porto Antico di Genova o al teatro La Claque (in un concerto aperto proprio dal Cerchio d’Oro) e memorabili le sue “ospitate” con gli Osanna al teatro Chiabrera di Savona e al Festival Prog per aiutare gli alluvionati di La Spezia. Nel 2023 il Balletto di Bronzo ha pubblicato “Lemures” e, pensate un po’, ha scelto proprio un’etichetta ligure, la Black Widow Records di Genova, come label di riferimento. E anche stavolta, proprio com’era successo con “Ys” ben 51 anni fa, Gianni Leone per composizione, gusto, sonorità ed estetica ha dettato le regole di quello che sarà il prog-rock per i vent’anni a venire.


…E nel 2024?

Quest’anno appena iniziato parte già con una ricorrenza di rilievo: il trentennale di carriera di Fabio Zuffanti, una firma divenuta ormai emblema dell’eclettismo, dell’imprevedibilità e della vivacità intellettuale progressiva ligure. Nel 1994 infatti usciva l’album d’esordio dei suoi Finisterre, ai quali sono seguiti progetti musicali dai nomi più svariati, album a profusione, tour mondiali, libri e collaborazioni come critico musicale per quotidiani e riviste. E siamo certi che per celebrare una data così importante anche nel 2024 Zuffanti riuscirà a sbalordirci, a spiazzarci, a sorprenderci come da tempo è uso fare.





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