domenica 31 dicembre 2023

Il BANCO e Greg Lake... ricordo di un vecchio Capodanno


Con la "speranza" che il prossimo anno sia "meno peggio" di questo, vi saluto con un ricordo di Gianni Nocenzi di un capodanno di qualche anno fa…
Cin cin
Wazza


Un pensiero di Gianni per il grande Greg Lake.
In memoria di Gregory Stuart 'Greg' Lake

Mi girai verso Vittorio, seduto accanto a me al banco di missaggio, e gli dissi: questo è uno forte. Immediatamente mi resi conto della sciocchezza che avevo detto e pensai… certo che è forte, è Greg Lake! Era la notte di capodanno (del 74?), Air London Studios: lemozione di lavorare con gli ascolti custom voluti da George Martin! Greg era arrivato prima di mezzanotte con due amici e subito si era tuffato con noi sulla consolle (allepoca la tecnologia total recall nei mixer ovviamente non esisteva e si missava a 4-6-8 mani, una specie di polpo gigante con 3 o 4 teste a governare switches, fader, potenziometri), velocissimo, aveva inquadrato perfettamente il brano ed il suo arrangiamento spalmato su decine di canali, ma il brano non girava: sconforto; eravamo come al solito in ritardo. Improvvisamente: Proviamo così”… fulmineo spegne il canale del basso e lascia passare tutta la prima strofa. “Ma non si fa!”, penso sconcertato, “che ha in testa?”. Poi sullattacco della seconda strofa commuta al volo il canale del basso con un volume sostenuto - unondata di frequenze basse irrompe nel mix ed il fraseggio del basso mette il turbo allarrangiamento: il brano decolla come un missile! Brindisi, abbracci, ormai è lanno nuovo e il disco è finito.
A volte sottraendo si aggiunge molto di più, una grande lezione che ancora mi arricchisce, nelle cose di musica e non solo.
Ora cè che sono stanco di piangere grandi persone che se ne vanno, ho deciso di pensare solo alla bellezza che ci lasciano. A Natale mi faccio un regalo: riascolto tutta la Musica che ci hai regalato insieme ai tuoi incredibili compagni di viaggio.
Grazie Gregory. Riposa in pace.
 Gianni



mercoledì 27 dicembre 2023

Compie gli anni Pete Sinfield


“Le parole di Sinfield sono un puzzle, un geniale rompicapo, un bellissimo mosaico di saggezza in cui ogni tassello va girato e rigirato come in un cubo di Rubik”


Compie gli anni oggi, 27 dicembre, Pete Sinfield, il poeta del Prog, ma anche "acuto" produttore.

Il nome di Sinfield è generalmente associato, innanzitutto, a quello dei King Crimson di Robert Fripp e Greg Lake. Sinfield collaborò con il gruppo dal 1969 (anno dell'album di debutto “In the Court of the Crimson King”) fino a tutto il 1971 (Islands), apparendo come produttore, membro ufficiale del gruppo e autore dei testi.

In seguito, Fripp chiese a Sinfield di lasciare i King Crimson.

Tra le varie collaborazioni, da ricordare quella con la Premiata Forneria Marconi.

Happy Birthday Pete!

Wazza

(dalla rete)

Se consideriamo la storia travagliata del gruppo nei suoi primi anni, è evidente come l’elemento unificante, la vera guida dei King Crimson, non sia stato tanto Robert Fripp, che spesso all’epoca sembra vittima passiva degli eventi, quanto Pete (Peter) Sinfield.

Un compito ben gravoso per chi si è assunto l’onere di scrivere i testi, provvedere all’impianto luci, sedere al mixer, curare la grafica delle copertine e perfino, all’occorrenza, caricare e scaricare il pesantissimo Mellotron dal furgone.

ROBERT FRIPP and PETE SINFIELD from Ciao 2001, february 1972

Diversamente da Fripp – nato in provincia, nel Dorset, da una famiglia modesta – Peter Sinfield era il classico esponente della swinging London, un giovane hippy innamorato dei poeti beat, di Bob Dylan e di Donovan. Figlio di una militante di sinistra bohémienne e bisessuale che lo porta giovanissimo alle marce della pace, ha come governante una celebre artista circense, Maria Wallenda.

Le sue frequentazioni preferite sono i romanzi di fantascienza, i drammi di Shakespeare, il Signore degli anelli di Tolkien, le canzoni di Simon & Garfunkel, e ancora le canne, le mostre d’arte, la prima musica psichedelica: è questo il disordinato ed esaltante percorso di formazione del giovane Peter.

Strimpellando malamente la sua chitarra ha già imbastito, ispirandosi a Dylan ma con l’orecchio attento al “celtico” Donovan, due ballate sull’alienazione, il dominio totale di anonimi e potenti burattinai, i rischi della guerra nucleare dell’inquinamento, quando incontra Ian McDonald, un brillante polistrumentista che si è fatto le ossa suonando in banda durante il servizio militare e che si offre di sviluppare quelle idee appena abbozzate.

Mel Collins & Pete Sinfield with PFM


From L to R: Keith Emerson, Pete Sinfield  (lyricist for ELP, King Crimson, etc), H.R. Giger, Carl Palmer, and Greg Lake





martedì 26 dicembre 2023

I tanti tramonti di ELP: il concerto del 2010


A fine dicembre 1978 Emerson Lake & Palmer, al culmine del loro successo, annunciano il loro scioglimento.

Il trio si era formato nel 1970. Si riuniranno nel 1991, con l’ennesimo divorzio nel 1998.

Prima che la “malasorte” si abbattesse su di loro, nel 2010 si riuniscono per festeggiare i 40 anni di carriera.

Di tutto un Pop…

Wazza






 

domenica 24 dicembre 2023

Racconti sottoBanco:BMS in Inghilterra nel 1975, di Wazza


Racconti sottoBanco

Dicembre 1975, il Banco del Mutuo Soccorso torna in Inghilterra per il primo tour "promozionale" di Banco IV, uscito per l'etichetta Manticore di EL&P. Il Banco aveva registrato il disco nel mese di febbraio 1975, presso gli "Advision Studios" di Londra, uno degli studi di registrazione dotato di impianti più moderni. Il resto della band torna a Roma, mentre i fratelli Nocenzi si intrattengono ancora per qualche giorno per mettere a punto le "complesse partiture tastieristiche".
Vittorio ricorda che durante queste prove lui ed Emerson si "lanciarono" in un duetto di tastiere durato circa 40', in perfetto “stile Banco”: naturalmente non esistono registrazioni audio/video/foto!
Il tour durerà due settimane, toccando Manchester, Nottingham, Dorchester, Liverpool e Londra, riscuotendo consensi positivi nonostante la "diffidenza" inglese verso i gruppi italiani.
A Manchester aprirono ai "Curved Air", ma il responso del pubblico invertì la scena, arrivando a considerare idealmente il gruppo di Sonja Kristina "spalla" del Banco. A Dorchester Rodolfo (complice la nebbia) si perse per le strade della città, e salì sul palco a concerto iniziato. A Londra tennero due concerti alla Roundhouse, e l'8 dicembre 1975, ultima data del tour, al "mitico" Marquee. 


Al loro arrivo i ragazzi rimasero delusi nel vedere che si trattava di un locale di "modeste dimensioni", ma poi vedendo appese all'interno del locale le foto di Jimi Hendrix, Rolling Stones, ed altri "mostri sacri" che avevano "calpestato" quel palco, si resero conto che stavano suonando in uno dei locali più prestigiosi al mondo. Il concerto fu un successo, Greg Lake si complimentò con loro inviando un telegramma di congratulazioni …


Francesco apre ricordando agli inglesi: "Per favore, smettemola cò sti spaghetti-rock", frecciatina a certa stampa che etichettava così i gruppi italiani! Attaccano poi con la loro classe e potenza. Al pubblico londinese, attonito ed a bocca aperta, non rimane che fare dei lunghi appalusi. Tra il pubblico, tutti i giornalisti delle più grandi testate musicali e i "colleghi" dei Soft Machine, che si complimenteranno con loro a fine concerto!
Ladies & Gentleman, are proud to present... Banco!

WK


NOTA:
Edito anche per il mercato internazionale dall'etichetta Manticore Records di Greg Lake e Keith Emerson, Banco, noto anche come Banco IV ripropone una scelta di brani dal primo e dal terzo album del gruppo tradotti in inglese dalla musicista statunitense Marva Jan Marrow. Viene tralasciato completamente il secondo album, Darwin!, l'unico inedito, con testi in italiano, è L'albero del pane. Tutti brani sono stati registrati per l'occasione con nuovi arrangiamenti, eccetto il brano conclusivo Traccia II che viene riproposto identico all'incisione originale.


venerdì 22 dicembre 2023

Habelard2 - Qwerty 2023 remix-Commento di Luca Paoli


 

Habelard2 - Qwerty 2023 remix

Di Luca Paoli

 

Tutti gli appassionati di prog ricorderanno Sergio Caleca come tastierista della band milanese Ad Maiora con la quale ha inciso due ottimi album, “Ad Maiora” del 2014 e “Repetita Iuvant” del 2016.

Nel frattempo, esattamente nel 2013, esce il primo disco “Qwerty”, parte del suo nuovo progetto denominato Habelard2 nel quale si occupa di suonare tutti gli strumenti delle sue composizioni facendo uso anche dell’elettronica.

Oggi, per festeggiare i 10 anni di quel disco, Sergio Caleca ha voluto dargli nuovo smalto eliminando tutti gli interludi presenti (che spezzavano un po’ la tensione) nel lavoro originale e sostituendo le parti di basso campionato con quelle di basso elettrico, cambiando anche qualche strumento ed alcuni suoni e, ovviamente, mettendo mano agli arrangiamenti ed al mixaggio. Il risultato si chiama Qwerty 2023 remix.

In questa nuova versione del disco Caleca si è occupato di suonare tutte le tastiere, il basso elettrico, le chitarre e la batteria programmata.

Chiaramente le tastiere la fanno da padrone in questo lavoro che si muove su più fronti come il prog, l’ambient, il jazz e la musica elettronica, risultando un disco vario e pieno di contaminazioni.

Le undici tracce che lo compongono sono tutte di qualità, e Caleca dimostra ottime doti compositive e strumentali.

I brani che più hanno colpito chi scrive sono l’iniziale “Another Bishop”, che vede il protagonista  -impegnato al basso elettrico e alle tastiere - creare un sound pieno d’inventiva che naviga tra le correnti del prog sinfonico e del jazz per la presenza del piano elettrico.

Più d’atmosfera e con la presenza anche delle chitarre la convincente “De Refrigeriis Jugeri”, abbellita anche dalla presenza del flauto.

Altro tassello importante del disco è “Qwerty” (sono le prime lettere della tastiera di un computer), la traccia che lo intitola, dove le tastiere riprendono il comando per un brano a tratti epico con la melodia sempre presente … i ricordi volano agli anni ’70 e ’80 dei corrieri cosmici.

Una citazione per “Almanallo” (crasi delle sigle della Rai “Almanacco del giorno dopo” e “Intervallo”) che propone suoni attuali evidenziando le ottime doti di arrangiatore di Caleca.

Vorrei citare anche la bella e melodica “Empty Tree”, che chiude un disco e che aveva già convinto dieci anni fa quando uscì e che oggi, dopo il lavoro di “restauro” appare ancora più ricco dal punto di vista dei suoni e sicuramente più attuale.

Un artista che sa osare e proporre una musica che parte dal passato ma che atterra nel presente e che consiglio a tutti gli amanti del rock progressivo e di musica elettronica: non perdetevelo … sarebbe un vero peccato.









giovedì 21 dicembre 2023

Auguri doverosi!


 
Io non credo in Dio, ma se ci credessi, sarebbe un chitarrista nero e mancino (Bernardo Bertolucci) 
 
21 dicembre

Buon  Natale  Francesco 


Wazza 




mercoledì 20 dicembre 2023

Demetrio Stratos nel dicembre del 1969

“Qui Giovani”, nel dicembre del 1969 pubblica articolo sul matrimonio di Demetrio Stratos



 

martedì 19 dicembre 2023

Aether – “Aether” - Commento di Alberto Sgarlato

 


Aether – “Aether” (2023) 

di Alberto Sgarlato


Aether, un nome che è già di per sé un programma, una dichiarazione di intenti. L’etere concepito nella filosofia greca come “la quintessenza”, materiale cristallino che costituiva l’universo; Etere come dea greca che simboleggiava l’aria più pura, respirabile solo dalle divinità e non dai comuni mortali; etereo, aggettivo che nel comune parlare diventa sinonimo di qualcosa di talmente lieve da essere impalpabile.

Tutte queste coordinate sono perfette per descrivere appunto la musica degli Aether, che nasce dal jazz-rock per sfociare nell’ambient e nel minimalismo.

La formazione degli Aether comprende Andrea Ferrari (chitarre e tastiere), Andrea Grumelli (basso e Chapman Stick), Andrea Serino (tastiere) e Matteo Ravelli (batteria ed elettronica). Ma francamente assegnare nomi e ruoli diventa superfluo, visto che tutti gli strumenti tendono a essere funzionali a questo raggiungimento del “suono puro”.

E ai primi ascolti vengono in mente gli esperimenti di Robert Fripp, alla fine degli anni ‘70 con i Frippertronics e negli anni ‘90 con i più digitali Frippscapes. Tutte tecnologie che questo chitarrista adoperava per creare echi e loop infiniti, reiterando timbri e arpeggi.

Oppure si potrebbe pensare ai Japan, che presero le distanze dal glam-post punk degli esordi, ma anche dall’elegante new wave della loro fase più matura, e a circa dieci anni dallo scioglimento ripresero forma come Rain Tree Crow, con un progetto molto più devoto al nascente post-rock.

Ecco, sì: per gli Aether si potrebbe parlare anche di quel post-rock che negli anni ‘90 attingeva dalle jam del prog-rock più elitario e meno barocco/sinfonico dei ‘70 e dalla ricerca sonora della new wave più sperimentale degli ‘80 per forgiare un linguaggio nuovo. Percorso che accomuna la band e in seconda istanza il percorso solista del leader David Sylvian con quello dei Talk Talk e del compianto Mark Hollis, altra band che, nel termine della sua carriera, potremmo qui prendere in considerazione tra i riferimenti.

Brani globalmente brevi, quelli degli Aether. Raramente oltre i 4 minuti, eppure densi di “situazioni” sonore al loro interno.

ASCOLTO COMPLETO

Alcuni, seppur la band sia totalmente strumentale, appaiono persino più “cantabili” e melodici. Come “Radiance”, che evoca quasi suggestioni trip-hop e lounge, tra Air e Massive Attack. Altri invece decisamente più volti alla ricerca, come la opener “Echo chamber”. Sensazioni quasi “tribali” ed etniche nel groove avvolgente di “Thin Air”. La malinconia della dark-wave affiora in “Gray halo”, forse uno dei momenti più suggestivi dell’opera. Il groove del jazz-rock, tra i Soft Machine del periodo “Seven” e il Perigeo, regge le dinamiche di “Pressure”, un altro tra i brani più “cantabili” (se così si può dire di un sound come quello degli Aether), mentre “A gasp of a wind” parte in modo estremamente “sottile” per poi affidarsi a un maestoso crescendo. Territori di sperimentazione sonora sono quelli esplorati in “A yellow tear in a blue-dyed sky”; mentre “Moving away”, dopo una partenza affidata quasi alla sola chitarra, cresce pian piano fino a deflagrare in un efficace e melodiosissimo prog-jazz-rock, a tratti dalle tinte quasi funk nella sua ritmica pulsante, per poi chiudere il suo percorso con divagazioni ai limiti del rumorismo tastieristico che, in un successivo crescendo, ci riportano al tema centrale. “The shores of Bolinas” è un altro viaggio ai confini dell’ambient. “Crimson fondant” è un chiaro omaggio alla band di Robert Fripp, con riff su tempi dispari di piano Fender Rhodes e di chitarre devote alla fase di “Red” e di “Larks’ tongues in aspic” della band di riferimento. Su tutto ciò si mette in luce in modo particolare il basso, con un gran lavoro sia di accompagnamento sia, a tratti, di primo piano. E si chiude con “This bubble i’m floating in”, altro gran lavoro di ricerca sulle potenzialità espressive dei singoli strumenti, costruito soprattutto su stratificazioni di arpeggi chitarristici.

Musica indubbiamente di non facile assimilazione, che non può mai essere relegata a ruolo di sottofondo ma che impone la massima concentrazione, in un’esperienza di ascolto immersiva e totalizzante.








lunedì 18 dicembre 2023

Genova, Disco Club, anniversario del negozio e presentazione del libro “1973 – L’anno cruciale della musica raccontato in 73 dischi leggendari”

 


La prima presentazione del libro “1973 – L’anno cruciale della musica raccontato in 73 dischi leggendari” di Enrile/De Negri/Pintelli si è tenuta il 17 dicembre a Genova, presso Disco Club, nell’ambito dei festeggiamenti per il 58° compleanno dello storico negozio di dischi della città.

La struttura all’esterno del locale ha visto la presenza di un numero di persone interessate all’argomento trattato dal libro.

Sempre perfetto nel ruolo di conduttore Riccardo Storti, saggista e divulgatore musicale genovese, che ha interagito con Angelo De Negri (in rappresentanza dei tre curatori), Mauro Costa, Antonio Pellegrini e Luca Nappo, tre degli oltre trenta recensori dei dischi racchiusi nel corposo volume pubblicato il 24 novembre scorso dalla casa editrice Arcana.

Con in sottofondo le note dell’album “Selling England by the Pound” che provenivano dal negozio, si è presentata la genesi del lavoro, la struttura del libro e si è motivato il perché dell’importanza del 1973 per la musica.

Preziosi gli interventi dei tre recensori che hanno citato gli album rispettivamente recensiti ed approfondito uno di questi.

Si è pertanto parlato di ZARATHUSTRA del Museo Rosenbach (Costa), QUADROPHENIA degli Who (Pellegrini) ed ATEM dei Tangerine Dream (Nappo).

Piacevole l’intervento del proprietario di Discoclub, Giancarlo Balduzzi, che rispondendo, come nel capitolo presente nel libro, alla domanda “Ma tu, dov’eri quando usciva DARK SIDE” ha descritto l’atmosfera che si viveva in un negozio che all’epoca aveva otto anni di vita.

Finita la presentazione c’è stato spazio per una piacevole interazione con il pubblico presente che dall’argomento trattato nel libro ha spaziato verso parallelismi e convergenze con la musica classica nati dalla domanda su quali possono essere i modi per avvicinare i ventenni di oggi alla musica di cinquant’anni fa.

Una bella esperienza di condivisione ed approfondimento musicale che sarebbe bello ripetere in tutti gli ormai rari negozi di dischi rimasti nel nostro paese.

Per concludere, un caloroso ringraziamento a Giancarlo Balduzzi che ha permesso la realizzazione di questo piacevole evento.

Angelo




mercoledì 13 dicembre 2023

Moon Safari - “Himlabacken, Vol. 2” (2023), commento di Alberto Sgarlato

 


Moon Safari - “Himlabacken, Vol. 2” (2023) 

di Alberto Sgarlato

 

Può esistere “il disco perfetto”? Forse sì. Come si potrebbe definire un concetto archetipico di “disco perfetto”?

Un disco è perfetto quando è prodotto divinamente, quando suona divinamente, quando è cantato divinamente. Ma, al di sopra di ogni altra cosa, quando pone la scrittura al primo posto.

Si può parlare di “bella scrittura” quando una canzone arriva direttamente al cuore ma non è banale, quando cattura l’attenzione ma non è mai “facilona”, quando senti che la mente e il cuore hanno raggiunto un loro equilibrio, tanto delicato ed impalpabile, quanto ineccepibile.

Un disco è bello quando ogni sua canzone ti regala l’emozione di un “ritorno a casa”, eppure al tempo stesso non sa di già sentito; quando, appena uscito, ti fa venire la tentazione di ascoltarlo tre volte di fila, nonostante una importante durata di circa 70 minuti, e non ti stanca. Questo grazie anche a una sapiente alternanza di brani lunghi, finanche lunghissimi, e canzoni più brevi e immediate.

Anzi, quando finisce sei un po’ triste; ti viene voglia di farlo ripartire da capo, perché ti ha lasciato quelle sensazioni nel cuore che sono un misto di commozione, di euforia, di entusiasmo, di malinconia, di gioia e di amarezza. Senti tremendamente “tuoi” tutti quei suoni.

E allora lo rimetti da capo e a ogni ascolto ti sembra di scoprire dei dettagli che la volta prima non avevi notato. Ma non cambiano solamente i dettagli, cambiano anche le emozioni. Ogni ascolto è un’esperienza diversa e tutta nuova.

I Moon Safari sono svedesi, ma in questo “Himlabacken, Vol. 2” non lo dimostrano affatto. La produzione sonora, così “grossa”, solenne, magniloquente, fa pensare al nuovo prog americano. E infatti non è un caso che il mixaggio finale sia avvenuto ad opera di Rich Mouser presso la sua “Mouse House” di Los Angeles, in California, colui che ha lavorato con nomi del calibro di Spock’s Beard, Dream Theater e Transatlantic.

I Moon Safari celebrano in questo 2023 il ventennale di carriera, essendosi formati appunto nel 2003. Ma in questo lasso di tempo hanno sfornato solo cinque album e, in particolare, son passati ben dieci anni esatti dalla pubblicazione del “Vol. 1” con lo stesso titolo, datato 2013.

Che siano maniacali nel curare ogni dettaglio si sente. E con questo “Himlabacken, Vol. 2” non hanno lasciato proprio niente al caso. Tutto è ineccepibile.

Il sound fa pensare, per prima cosa, agli Yes. Ciò avviene sia per il grandissimo amalgama tra le voci e per gli abbondanti interventi corali (quasi tutti i componenti sono anche cantanti solisti), ma anche per un certo modo di far “ruggire” l’organo e “urlare” il Minimoog. Ma i Moon Safari sono tutt’altro che derivativi. Al contrario: il loro “cocktail”, complice anche questo suddetto songwriting azzeccatissimo in ogni canzone, senza cali di tensione e senza riempitivi, si rivela a dir poco eterogeneo. A partire dall’esplosione di “198X (Heaven Hill)”, brano dichiaratamente AOR che nei riff di synth e chitarra fa pensare a Van Halen (sempre “condito” di Yes nelle parti vocali); i circa 11 minuti di “Between the devil and me” alternano momenti di puro metal-prog con altri più intimisti e malinconici i cui giri piano/chitarra e le melodie vocali ci riportano agli anni d’oro dell’Alan Parsons Project, con un pizzico della “radiofonia” di Journey e Foreigner.

Nei tre minuti del singolo “Emma, come on” la band condensa cori e virtuosismi tastieristici degni degli Yes periodo “Going for the one” ma anche delle tracce più ispirate degli Styx guidati da Dennis Deyoung, ancora in un saporito incontro tra prog e arena-rock.

A lifetime to learn how to love” è la classica “ballad”, più romantica ed intimista, ma con un “monumentale” epico finale che deflagra come una esplosione; c’è qualcosa di mistico, quasi di sacrale, nei due minuti di “Beyond the blue”, che in fondo servono quasi soltanto a introdurre nel miglior modo possibile la successiva “Blood Moon”. Questa traccia rientra di nuovo nei titoli “cantabili”, un vero “inno” agli anni ‘80 tra arpeggiatori di tastiere, bass-synth, tamburi filtrati elettronicamente, chitarre con l’octaver che sembrano sfornate direttamente da Brian May dei Queen e melodie cantate che evocano Supertramp ed Electric Light Orchestra.

Tutto ciò è solo un “aperitivo” che ci porta verso gli oltre venti minuti della suite “Teen Angels meets the Apocalypse”. E qui c’è dentro tutto: un tema introduttivo di rara bellezza giocato tra pianoforte, tastiere orchestrali e chitarre, un indurimento con unisoni di basso e chitarre prog-metal, organi liturgici che “duellano” con Hammond più rock, dal quinto minuto una coralità vocale squisitamente “radiofonica” anni ‘80, dagli Eagles ai Chicago, melodie cantate che richiamano il più nobile cantautorato, quello di Al Stewart, di James Taylor, di Christopher Cross, preziosismi di chitarra acustica, ma attorno al nono minuto il pianoforte ossessivo sulle note basse offre la sensazione che Keith Emerson abbia appena incontrato i Dream Theater sul suo cammino (complice il gran lavoro della chitarra e della sezione ritmica); e dal tredicesimo minuto… Arrivano i Beatles! Proprio loro! Potevano mancare a sì ricco banchetto? Clavicembali psichedelici, coretti cosmici, organi sontuosi, ottoni barocchi verso un finale orchestrale che mozza letteralmente il respiro in gola.

Credete che a questo punto i Moon Safari abbiano dato tutto? Abbiano dato il massimo? Ancora no. I 10 minuti di “Forever, for you” commuovono fino alle lacrime. Chitarre acustiche e pianoforti si rincorrono nel costruire melodie meravigliose, ancora un pizzico di Beatles nelle voci, fino ai crescendo corali che profumano quasi di musical di Broadway, e persino un inatteso sax “scippato” ai Supertramp, mentre il Minimoog e l’Hammond regalano sonorità care a Rick Wakeman.

Fino a giungere così al finale di “Epilog”, unica traccia in lingua svedese di tutto il disco: pochissimi tocchi di chitarra classica e di pianoforte giusto per fare da contorno a un organo da cattedrale e, ancora una volta, a un pazzesco lavoro corale.

Esistono i dischi perfetti? Questo lo è.



martedì 12 dicembre 2023

Markus Stockhausen - Luca Formentini: “Réverie”, commento di Andrea Pintelli


 Markus Stockhausen

Luca Formentini

“Réverie”

Di Andrea Pintelli


Oggi 8 dicembre 2023 esce Réverie, album di Markus Stockhausen e Luca Formentini, prodotto dalla sempre ottima Dark Companion Records di Max Marchini. Ecco, nelle sue parole, la genesi di questo notabile lavoro:

“Luca e Markus iniziarono a suonare insieme nel 2005, quando Markus formò un ensemble internazionale per esibirsi al festival I Suoni delle Dolomiti. Un anno dopo si esibirono in quintetto al St. Maternus di Colonia, in Germania, registrando un album dal vivo, che avviò il progetto chiamato "Flowers of Now" (Musica intuitiva a Colonia, etichetta Horus, 2008). Successivamente Markus suonò in due brani di Luca’s Tacet (Extreme Records, 2008) e nel doppio album Songs/Signs del progetto Flos di Luca con Stefano Castagna (Ritmo&Blu, 2018). Seguirono altre esibizioni dal vivo. Il 9 luglio 2021 Markus fece visita a Luca, mentre era in viaggio per alcuni concerti nel centro Italia. Si sistemarono nello studio di Luca e registrarono un set completamente improvvisato, dove nulla era stato precedentemente arrangiato o concordato. L'intero set è catturato su questo album: quattro take senza sovraincisioni. La musica riflette l'incontro di due diverse storie musicali, in cui ogni musicista reagisce all'altro in un continuo flusso di ispirazione, tensione e rilascio. La loro dedizione all'ascolto reciproco è tangibile e tuttavia continuano a mantenere la loro presenza personale: chiamare o rispondere e muoversi insieme in territori sconosciuti. Puoi quasi afferrarlo il loro stupore per il panorama sonoro in evoluzione, nonchè imprevedibile. Suoni acustici si intrecciano con parti elettroniche in costante esplorazione con la spontaneità di una composizione intuitiva. Dalla musica emergono un profondo senso dello spazio e atmosfere oniriche, le dimensioni di ampiezza, profondità e il tempo sembra dilatarsi.”

Sostanzialmente ci troviamo al cospetto di un dialogo intimo e totale fra due mirabili musicisti, in cui sono le anime ad esprimersi tramite i suoni generati. Un fiume in piena la cui portata va di pari passo coi picchi emotivi che Markus e Luca riescono a raggiungere insieme. Dream Talk, primo passaggio, riflette in pieno la fotografia di copertina, in cui il paesaggio si fa soffuso e nebbioso e sospeso, dove nulla è sinistro, ma piuttosto che emana calma interiore e invita al rilassamento. Le linee melodiche offerte sono una calda coperta che abbraccia per armonia. Spirits Everywhere, meno accomodante della traccia precedente, è fatta di tensione e inquietudine; sentori comuni e normali (ma non normalizzati) quando si è circondati da chi non c’è più fisicamente, ma che resta ed esiste sotto altra forma. Sta a noi riprendere e riportare il dialogo con essi, anche grazie all’aiuto di sonorità che emergono dalle profondità dei due artisti. Walking in Dream Land, ossia dove l’immaginario e l’irreale trovano casa. Tromba e chitarra con echi dolci ma al tempo stesso dirompenti, come se il camminare fosse una condizione troppo terrena e banale da svolgere. Qui si veleggia, più che altro, in un mondo parallelo fatto di colori vivissimi e dove anche il buio ha un brivido di luccicanza. Nemmeno gli occhi servono per vedere ciò che abbiamo in noi (e troppo spesso ce ne dimentichiamo). Night Birds, ultimo passaggio: la Natura non dorme mai, e quando si riposa una parte di essa, ce n’è sempre un’altra a tenere sveglio il futuro. Markus e Luca ne ricavano una fotografia dinamica, in cui la convivenza artistica raggiunge una vetta chiamata unione. Corpi liquefatti a formare un’entità univoca.

Un disco, insomma, da mettere in loop nelle vostre giornate felici, come in quelle tristi. Eleverà le prime e aiuterà a risolvere le seconde. E questo non ha prezzo.

 


Tracklist:

1. Dream Talk 10:01

2. Spirits Everywhere 09:49

3. Walking in Dream Land 07:25

4. Night Birds 10:14

 

Music composed by Markus Stockhausen and Luca Formentini

Produced by Max Marchini

Markus Stockhausen: Trumpet, Flugelhorn and Voice

Luca Formentini: Electric Guitar, Synth, Sampler and processing

Recorded live on July 9th, 2021 in Selva Capuzza, Desenzano del Garda, Italy

Mixed by Luca Formentini

Mastered by Alberto Callegari @Elfo Studio, Tavernago (PC), Italy

Photography: Franz Soprani, except page 4 by Manuela Esquilli; pages 5-6 by Lia Pironi

Cover graphics by Max Marchini with Markus Stockhausen





 

lunedì 11 dicembre 2023

Giovanni Luca Valea-"Canzoni"

 


Giovanni Luca Valea

Canzoni (La Stanza Nascosta Records)


Canzoni, nuovo lavoro in studio del cantautore, poeta e ora anche scrittore (ha appena pubblicato, nel novembre 2023, il romanzo Una vecchia valigia, NeP Edizioni) Giovanni Luca Valea, accende i riflettori su una voce, nell’accezione ampia del termine, veramente particolare dei nostri tempi. Valea è un cantautore vecchio stampo, se così si può dire, nel senso che ha la coscienza del peso della parola cantata, lo sopporta sulle sue spalle come un carico a volte gravoso ma necessario. Amore e politica, rabbia e vendetta non sono temi facili da affrontare, specie se sviscerati con lo spessore della mente e vestiti dalla penna fenomenale di Valea, che è poeta a tutti gli effetti; poeta della responsabilità civile e sociale, poeta di un’umanità che soffre, si arrabatta, cerca salvezza.

(Dimmi dei tuoi sogni, dei tuoi capelli lisci, delle stelle che ti cresci, se ancora un po’ ti vergogni…Sotto la costellazione del cane profughi e campi libici, e ancora un vento d’amore: le speranze come cimici; soltanto tu con in mano un fiore, il tuo nome è ciò che rimane sotto la costellazione del cane).

Sicuramente vincenti le collaborazioni con il compositore Nuccio Corallo e con il musicista e arrangiatore Salvatore Papotto, che impreziosiscono un album profondo, autentico (anche in qualche imperfezione vocale, volutamene non corretta) e controcorrente. Classicismo e contemporaneità sono i due poli opposti entro i quali Valea oscilla, confezionando canzoni intimiste e sociali, modernamente vintage.

Menzione di merito per “I mulini del Signore”, una canzone ma anche una lezione di letteratura, e per la suggestiva “Le navi al tramontare” (musica firmata da un Nuccio Corallo in grande forma). “La Costellazione del cane”, singolo di lancio, del quale abbiamo citato sopra alcuni versi, commuove e fa riflettere.




sabato 9 dicembre 2023

Andrea Orlando – “La scienza delle stagioni” (2023)-Commento di Alberto Sgarlato

 


Andrea Orlando – “La scienza delle stagioni” (2023) 

Autoproduzione

Data di Pubblicazione: 19 Ottobre 2023

di Alberto Sgarlato

 

Sono passati ben cinque anni (era il 2017), quando Andrea Orlando deliziava le orecchie degli appassionati di rock progressivo con l’eccellente esordio solista intitolato “Dalla vita autentica”.

In realtà, però, il suo nome era già ben noto agli appassionati del genere. E non solo quelli italiani, ma anche a livello internazionale, grazie a diversi tour di successo e alla partecipazione a festival musicali di rilievo con diversi gruppi.

Infatti, Andrea Orlando ha militato e milita come batterista in alcune band della “nuova scena progressiva” genovese, avendo fatto parte in periodi differenti dei Finisterre, de La Maschera di Cera, de La Coscienza di Zeno, oltre al tributo genesisiano Real Dream.

Nelle sue opere soliste (stiamo per andare a prendere in esame la seconda), però, l’Orlando Curioso (Nel senso di curioso di esplorare sempre nuovi linguaggi musicali) non si districa soltanto tra fusti, pelli, piatti e percussioni ma si rivela valente tastierista, oltre che autore di testi e musiche e raffinato assemblatore e arrangiatore del tutto.

Insomma: abbiamo capito che Andrea Orlando nel tempo si è fatto apprezzare e “voler bene” come musicista ma anche come persona e lo dimostra il ricco elenco di musicisti sempre lieti di collaborare con lui.

In questo nuovo “La scienza delle stagioni”, uscito il 19 ottobre, le tracce cantate sono tutte affidate a Meghi Moschino (cantante dei Quanah Parker e docente di canto); tra gli ospiti troviamo una parte significativa di esponenti della scena progressiva ligure e non solo: le chitarre di Stefano Marelli (Finisterre), Pierenzo Alessandria (degli Spectral Mornings, tributo hackettiano) e Laura Marsano (La Maschera di Cera); il basso di Pietro Martinelli (jazzista dall’elenco di collaborazioni smisurato); il Moog di Agostino Macor (La Maschera di Cera); il pianoforte di Luca Scherani (citeremo solo la Coscienza di Zeno e Hostsonaten, ma siamo nuovamente di fronte a un artista dal curriculum vastissimo) e quello di Boris Valle (Finisterre); un ospitata al basso di Fabio Zuffanti (musicista, scrittore, articolista… Un nome che ormai non ha più alcun bisogno di presentazioni!) e svariati musicisti classici impegnati agli archi e ai fiati. Su tutto questo, ovviamente, domina la scena Andrea Orlando tra batteria, percussioni intonate (glockenspiel), organo, Mellotron, clavicembalo e sintetizzatori.

Orlando cura anche la grafica (con foto di copertina di Ilaria Paderi) e la produzione (con missaggio e mastering di Rossano Villa).

Un album frutto di un lungo e complesso lavoro, quindi: tanti ospiti, arrangiamenti curati in ogni dettaglio e circa un anno di registrazioni (da novembre 2022 a settembre 2023) in due studi diversi.

E il risultato è quel prog di alta classe a cui già Orlando ci aveva abituato.

Nel suo curriculum abbiamo parlato del prog “neo-classico” de La Maschera di Cera, del sound estremamente complesso de La Coscienza di Zeno, della sperimentazione tra new-prog e avanguardie dei Finisterre e del tributo ai Genesis. Quindi possiamo aspettarci tutte queste influenze nel sound de “La scienza delle stagioni”? Non proprio. Orlando ci ha ormai abituato a una sua cifra stilistica molto personale.

A cominciare dalla partenza energica di “Ancora luce”, che alterna brusche variazioni tra arpeggi pianistici, tappeti quasi impalpabili e unisoni tra riff chitarristici e sezione ritmica quasi hard-rock. E lo stesso avviene con le melodie cantate del brano, ora sorrette da momenti più epici, ora più delicati.

Tracce” accarezza – seppur remotamente – il jazz-rock, con splendide linee chitarristiche costruite su un solido lavoro tra basso in primo piano e armonie di piano elettrico, riservando al cantato uno spazio minore rispetto ad altri momenti del disco.

Il sogno di Anastasia” è un titolo spezzato in due parti, non consecutive ma che vanno a posizionarsi in momenti diversi del disco. Ed è forse il momento più legato al “vintage prog” dell’intera opera, tra ricami di organo dal timbro percussivo e momenti pianistici a ritmi serrati che richiamano al Banco del Mutuo Soccorso e chitarre arpeggiate al sapor di Pfm. I tocchi del Moog fanno persino pensare a certe colonne sonore di produzioni cinematografiche e televisive italiane d’epoca. Tutto fino al massiccio crescendo finale della seconda delle due parti.

Il prog più “sanguigno” e “proteico” si rifà nuovamente strada nello strumentale “City 40, con duelli tra chitarre, organo, pianoforte e violino in odor di Kansas e di Pavlov’s Dog.

Stagione lontana” (con ospite Zuffanti) è invece il capitolo più vicino al dark-prog, grazie alle melodie estremamente struggenti costruite dai tappeti di archi e di legni del Mellotron, fino a vari momenti in crescendo che oscillano tra i King Crimson di “Starless” e, ancora una volta, atmosfere da colonna sonora.

Come Orlando già ci ha abituato con il precedente “Dalla vita autentica”, anche in questo caso la traccia conclusiva, intitolata “La strada del ritorno”, è una suite che supera il quarto d’ora di durata.

E, in questo caso, grazie a un significativo dispiegamento di legni, ottoni e archi, è anche il brano dall’arrangiamento più complesso. L’introduzione pianistica serve ad “aprire la strada” verso una ricchezza di sfumature sonore ammirevole, tra momenti più delicati, riff chitarristici e crescendo più drammatici, in una “summa” delle varie cifre stilistiche incontrate nel disco.

Concludendo: un’opera che soddisferà chi già aveva apprezzato l’esordio solista di Andrea Orlando ma anche chi si approccia per la prima volta con questo disco alla scrittura del polistrumentista genovese.