martedì 28 febbraio 2017

THE WATCH live al Teatro Astra - S. Giovanni Lupatoto (VR) 25/02/2017, di Marco Pessina


THE WATCH live al Teatro Astra - S. Giovanni Lupatoto (VR) 25/02/2017
di Marco Pessina

Teatro pieno e grande entusiasmo di pubblico, per questa serata dedicata ai GENESIS. Ci guardiamo attorno e non possiamo non notare che c'é perfino gente in piedi. Sono di scena THE WATCH, gruppo milanese che da anni porta in giro per l'Europa la musica della mitica band inglese.
Il tempo di un annuncio da parte dello speaker e il concerto parte puntuale alle 21,10. Si spengono le luci in sala e dopo un breve intro registrato, parte DAMAGE MODE, pezza di propria produzione dall'album VACUUM del 2004. Primi applausi e subito parte il canto di LOOKING FOR SOMEONE. Suggestive le immagini, che vengono proiettate sul grande schermo alle spalle della band. I THE WATCH, rappresentano un vero e proprio marchio di fabbrica della musica dei GENESIS. La formazione si é stabilizzata ormai da un paio d'anni con SIMONE ROSSETTI, fondatore della band alla voce e al flauto, con i fedelissimi GIORGIO GABRIEL alle chitarre, VALERIO DI VITTORIO alle tastiere, chitarra acustica e voce addizionale e da MARCO FABBRI alla batteria, con l'aggiunta del figlio di ROSSETTI, MATTIA al basso, alle pedaliere e alle varie chitarre. Si prosegue con WHITE MOUNTAIN e VISION OF ANGELS, pezzi eterei del primo lavoro TRESPASS, che fu concepito nel lontano 1970 nel cottage di RICHARD McPHAIL, quello che veniva considerato il sesto elemento dei GENESIS di allora. Dobbiamo dire che a distanza di anni, questi pezzi conservano le loro atmosfere e incantano un pubblico che segue con attenzione le melodie dei brani. STAGNATION precede THE KNIFE per quella che sarà la prima autentica ovazione in sala, mentre sullo schermo appare la celeberrima copertina col coltello che sembra squarciarla. Hanno suonato già un album e non ce ne siamo quasi accorti! Lo spartiacque del concerto é rappresentato da CAN-UTILITY  COASTLINERS, favoloso pezzo da FOXTROT. Le immagini proiettate cambiano con l'esecuzione di FOUNTAIN OF SALMACIS, e ci portano dentro NURSERY CRIME in un turbinio di luci. Davvero azzeccata la scenografia, mentre gli applausi salgono di tono assieme al concerto. SEVEN STONES e HARROLD THE BARREL vengono eseguite in successione nel classico metodo della band milanese, che preferisce la musica alle parole di contorno! Suggestiva la scenografia e il gioco di luci durante l'esecuzione di HARLEQUIN. Il concerto sale di tono con l'esecuzione di THE RETURN OF THE GIANT HOGWEED. Gli applausi si spengono solo dopo l'annuncio di THE MUSICAL BOX, che non farà altro che aumentare la "temperatura" della sala. Il pezzo viene eseguito magnificamente e il tributo finale di applausi che ne seguirà ne é la testimonianza tangibile. La band abbandona il palco e il battimani ritmato inizia per richiamare tutti di nuovo sulla scena. Un paio di minuti e ROSSETTI annuncia THE FISHERMAN, che sarà la seconda concessione di propria matrice. A questo punto per concludere degnamente ci vuole un pezzo da novanta che puntualmente viene annunciato e sarà: THE CINEMA SHOW. Nel pezzo centrale é sempre suggestiva la situazione a tre che si crea con FABBRI, DE VITTORIO, E ROSSETTI junior, aumentando l'adrenalina del folto pubblico. Il concerto si chiude con i cinque che ricevono la giusta razione di applausi e con FABBRI che conclude il concerto in kilt e a petto nudo, già pronto per la SCOZIA come dirà simpaticamente ROSSETTI, assieme alla promessa che questo é un arrivederci al tour successivo e al nuovo spettacolo che verrà, con la gente in piedi che applaude i musicisti visibilmente soddisfatti.

                                                                                                               

lunedì 27 febbraio 2017

STRUTTURA & FORMA – “ONE OF US”, di Andrea Pintelli


STRUTTURA & FORMA – “ONE OF US”
di Andrea Pintelli
Distribuzione SELF e Ma.Ra.Cash.
Label Electromantic Music Prog Italiano

Immergersi completamente in una STRUTTURA armonica e, allo stesso tempo, in una FORMA musicale richiede sforzo, volontà, tempo. Una scelta ben precisa, di fatto. Con la consapevolezza di ricreare dentro l’ascoltatore il loro mondo sonoro, i STRUTTURA & FORMA con questo loro album, riescono nell’intento di aiutarci in questa azione, facilitandoci il compito di dare un giudizio oggettivo al loro operato. Questo perché prima di tutto trattasi di un disco ottimamente suonato, pensato da musicisti di lungo corso e di gran valore, non di semplice assimilazione ma talmente ricco di idee che comunque non si può che ammirarlo. La formazione dei STRUTTURA & FORMA, band jazz-rock nata nel 1972, dopo uno stop di alcuni anni è ora così composta: Franco Frassinetti (nato a Genova, chitarrista, oltre che compositore, produttore, arrangiatore, co-fondatore di S&F,) - Giacomo Caliolo (nato a Brindisi, genovese di adozione, chitarrista, co-fondatore di S&F, parecchie collaborazioni, tra cui Rondò Veneziano), Marco Porritiello (nato a Como, batterista di estrazione jazz, già collaboratore, fra gli altri, di Alberto Fortis), Stefano Gatti (proveniente da Frosinone, bassista, ma anche tastierista, arrangiatore e molto altro), Klaudio Sisto (nato a Milano, cantante con lunga esperienza live in cover ed original band tra Milano e Roma). Questo la dice lunga sulle persone con cui abbiamo a che fare. Massimo rispetto, quindi, prima di tutto.
Ad impreziosire l’album l’intervento al mellotron di Beppe Crovella ((Elctromantic Music).


Anche se il “mestiere” di un recensore (siccome “critico” è sempre, secondo me, un termine odioso, volendosi taluni elevare a giudici dell’arte altrui) è quello di raccontare cosa si trova in un lavoro fatto di note, pause, armonie, contrappunti, sogni, tempi e controtempi, ecc. in modo oggettivo, senza lasciarsi “corrompere” dai propri gusti, in questo caso ci si potrebbe trovare in difficoltà nei confronti di tali dettami; questo perché “Struttura e Forma” è, soggettivamente e soprattutto oggettivamente, un bellissimo disco.
Si parte con “Worms”: un’ondata di intrecci sonora che ci investe e ci fa capire con schietta immediatezza che davvero non si scherza. Non esiste strumento che sovrasta gli altri in questa composizione, siccome l’amalgama sonora è talmente “wall of sound” che ci fa tacere ogni parola che vorremmo aggiungere. Anzi, sono portati tutti loro a fare gioco di squadra, un gioco serio verso l’affinità elettiva da risultare impenetrabile. Perfetto equilibrio, quindi. Musica totale, al di là di ogni etichetta di genere. Parte “Symphony” e i nostri ci fanno atterrare sulla piattaforma di questo palazzo di bellezza, in cui la chitarra suona soave e dove la voce fa la sua prima comparsa. Mai una nota fuori posto, il tutto è portato sopra un livello dove l’armonia di certi slanci si ritrova a braccetto con misteriosi guizzi sinfonici, appunto. Si è ben oltre la forma-canzone, quindi da ascoltare e riascoltare per coglierne appieno le sfumature. Poi, d’un tratto, click! La track si spegne, sfumandosi verso la cover di uno dei tanti capolavori di Emerson, Lake & Palmer, cioè quella “Lucky Man” che nel tempo ha influenzato tantissimi musicisti. Un omaggio postumo ai compianti geni Keith e Greg, è qui vestita di nuovi colori, nell’infausto compito di trovarne. E i ragazzi ce la fanno, senza risultare eretici o presuntuosi, ma piuttosto rimarcando il loro amore verso coloro che hanno elevato il genere Progressive fin’oltre il cielo, dove Keith e Greg stanno ora suonando fianco a fianco, in una sorta di reunion eterna. E pensare che questo pezzo era stato arrangiato da Frassinetti insieme a Beppe Crovella nel luglio dello scorso anno, senza sapere che Greg Lake stesse così male. Ci si soffermi però per un attimo sull’originalissimo lavoro di basso creato per quest’evergreen: stupendo.
E via che si riparte in termini di ritmica con “Kepler”, song supportata da un interessante tappeto di tastiere che ne rinforza la struttura, dove i nostri suonano perfetti, facendoci capire che non si ha a che fare con sterili esercizi di stile, ma con incroci di generi diversi per crearne uno solo. Il loro. “One of Us” parte sognante, un moderno carillon che lascia subito spazio alla voce di Sisto e ad una chitarra più riflessiva rispetto alle tracce precedenti. Quasi un’introspezione delle loro personalità. “Kyococoos Groove” riparte con movimenti hard in cui il ritmo è serrato e il riff è possente, magistralmente rinchiusi in due minuti secchi, dove sembra che le tastiere respirino e la batteria è precisa e senza fronzoli. “Indios Dream” risulta accessibile anche a orecchi meno abituati ai tempi dispari, di cui al concetto iniziale; i STRUTTURA & FORMA suonano senza avere nulla da invidiare a tanti gruppi stranieri, in più c’è qui una mano tesa d’invito e d’omaggio all’ascoltatore. “Fasting Soul” invece prende fin da subito una piega più marcatamente fusion, la voce narra con forza i concetti, la chitarra padrona degli spazi circostanti, non di facile presa, ma di sicuro e piacevole e circolare ambiente. Mai sghemba, suona forte per condurci in un lampo di fasci di luce, per poi spegnersi all’improvviso. Se non siete mai stati ad “Amsterdam”, ecco che i ragazzi ci accompagnano con cotanta sostanza (quindi non solo forma) nella città della tolleranza; intercedere cupo d’iniziale sorpresa, ritmica lenta quasi a sottolineare le parole del cantato. Notturna, permette d’immaginare se stessi camminanti nel dedalo di stradine e ponti che la caratterizzano, l’andatura è regolare e l’atmosfera si rilassa sulle mani di questi bravissimi musicisti. “Acoustic Waves” è un dolcissimo pezzo di composizione serena e gioiosa, che ci porta in pochi minuti verso lidi sicuri e soleggiati, da mettere in repeat sul proprio lettore cd. Canzoni così dovrebbero durare una vita, ma forse sta proprio qui il significato della sua brevità. Felicità a sprazzi, una meravigliosa carezza sonora. “Il Digiuno dell’Anima”, ultimo pezzo del disco, innesta la marcia più alta, la voce si fa italiana, mentre il gruppo spinge a mille, come in altri pezzi precedenti. Una roccia di apparente e difficoltosa arrampicata, che sfuma come sfumano le ultime sensazioni che si vengono regalate.

In sintesi, gran bel lavoro, di sicuro impatto emotivo, che MAT2020 consiglia vivamente ai propri lettori. Italians do it better?




domenica 26 febbraio 2017

Wazza ricorda Rodolfo Maltese in un giorno speciale...


Oggi avremmo fatto una grande festa per i tuoi 70 anni... ma, visto che sei in tour con Francesco, ti faccio una "foto-gallery" di auguri…
Buon compleanno Rudy!
Wazza



sabato 25 febbraio 2017

Nessuna Interferenza-“Castello Di Carte”


E’ appena stato rilasciato “Castello Di Carte”, secondo album del cantautore Fulvio Semenza, in arte Nessuna Interferenza.
Sono otto i brani proposti che presentano una veste minimalista, quella voluta fortemente dall’autore che, dopo varie esperienze in team, sceglie la strada del completo autarchismo musicale, una versione “nuda”, dove chitarra e voce regalano l’immagine più vera di questo menestrello dalla proposta “antica”. L’aggettivo "antica" è usato per sottolineare una condizione utilizzata universalmente nei seventies, ma sempre più attuale, perché la dimensione socializzante legata ad un artista che si racconta al suo pubblico nell’intimità, magari in una stanza, è quella di cui si sente sempre più il bisogno… in fondo basta saper aspettare e l’abito di un tempo, nascosto nell’armadio, diventerà nuovamente all’ultimo grido!
Fulvio Semenza parla di sè, descrive il suo quotidiano, i suoi amori, i suoi dolori, e la vasta gamma di sentimenti che si mettono in mostra quando si ha la possibilità di renderli immortali, ad esempio trasformandoli in canzoni.
Il suo “Castello Di Carte” è un simbolo potente, una costruzione perfetta, realizzata nel tempo con impegno e dedizione, ma… basta un soffio di vento, un piccolo spostamento nella direzione sbagliata e la perfezione - e il sogno - svanisce, mischiando le parti del mosaico ormai disfatto; ci vuole forza e coraggio per riprovarci, e forse, con un po’ di fortuna, la nuova abitazione diventerà più confortevole di quella precedente.
Tutto questo si ritrova nel percorso disegnato da Nessuna Interferenza, un disco fatto con cuore e anima, lasciando in disparte ogni tipo di orpello e inutile ridondanza.



Nessuna Interferenza in pillole

Partiamo dal nome…

Mi chiamo Fulvio Semenza, ma artisticamente  ho scelto  Nessuna Interferenza.

Da dove arriva la scelta?

Nessuna Interferenza nasce dal fatto che le mie canzoni, sia dal vivo che sui dischi, vengono suonate con una sola voce e chitarra, solo sporadicamente un suono aggiunto, un violoncello o una fisarmonica.  Negli anni ho suonato in varie formazioni, in gruppo, in duo, ma da un anno a questa parte ho capito che per quel che propongo basta la mia chitarra e il mio cantare. Così mi presento come cantautore dal momento, con musica e parole scritte da me.

Che cosa hai realizzato in studio, sino a questo momento?

Nel 2014 è uscito il mio primo CD, “Un po’ più in la”, con l’etichetta discografica Italdisco di Roma, e a fine 2016 è stato rilasciato il mio secondo lavoro, “Castello Di Carte“. La presentazione ufficiale del nuovo disco è avvenuta su Gold TV Italia,  nella trasmissione Italia Amica condotta da Maristella Gallotti.

Dove e come nascono le tue canzoni?

Le mie canzoni nascono da momenti di gioia o di rabbia, che fanno parte della mia vita, e nei quali bene o male tutti ci si possono riconoscere. La maggior parte dei miei pezzi è suonata in fingerstyle, una tecnica con cui una sola chitarra permette di avere un suono molto ricco.

 



giovedì 23 febbraio 2017

Black sabbath a Roma: era il 23 febbraio del 1973, di Wazza

Prima del concerto a Roma, oltre ai Sabbath si riconosce Fiorella Gentile (Ciao 2001)

Hello,
con la nomea di "famigerato ed oscuro gruppo", (Ciao 2001 -25-febbario 1973), i Black Sabbath arrivano per la pria volta in Italia... Bologna, Brescia, Vicenza, e concludono il tour a Roma - Palazzo dello Sport, 23 febbraio 1973: sarà l'inizio di un grande feeling con il pubblico italiano.



Live - Roma 23-febbraio 1973

Per la cronaca la band ha dato l'addio alle scene il 4 febbraio 2017.
…di tutto un Pop
Wazza


Il bootleg audio del concerto di Bologna...




mercoledì 22 febbraio 2017

OSAKA FLU-"KM 183", di Susanna Giusto


OSAKA FLU
KM 183
label: Soffici Dischi/Audioglobe
Release Date: 10 novembre 2016

Se è vero che il secondo album è sempre il più difficile, gli Osaka Flu hanno superato a pieni voti la prova. Dopo il promettente disco di esordio Look out Kid del 2014, il trio aretino torna infatti in scena con Km 183, pubblicato da Soffici Dischi e realizzato grazie al contributo del concorso "Toscana 100 band". Un album che conferma la riuscita di un progetto musicale degno di nota e non destinato, parrebbe, a inabissarsi nel calderone dell'anonimato dove si riversano molte produzioni indie made in Italy.
La band toscana è riuscita a giocare bene le proprie carte, in primis dimostrando di sapersi muovere nella tradizione del punk rock con personalità e fantasia, senza certe reiterazioni tediose che scoraggiano l'ascoltatore meno affezionato al genere. Le dieci tracce di Km 183, al contrario, fluiscono decise grazie alla miscela efficace di ammiccamenti e richiami a un background musicale variegato. Rockabilly, garage, rock e punk si incontrano in un sound grezzo ed energico ma mai strabordante, dove le ritmiche sostenute sono bilanciate dalla cura costante per l'aspetto melodico.
Essenziali e diretti nelle soluzioni sonore, quanto pungenti e sarcastici nei testi, gli Osaka Flu hanno il merito-non da poco-di affiancare alla fruibilità delle canzoni un'interessante capacità narrativa che, dietro all'immediatezza del linguaggio e all'ironia, dipinge con cognizione di causa le problematiche di una generazione intera, prendendo di mira i simboli della società capitalistica e le profonde contraddizioni del nuovo millennio. Complice la genesi di questo album, nato da un incidente di percorso che blocca la band sulla Salerno-Reggio Calabria nel bel mezzo di un tour, la sosta forzata al km 183 della nota autostrada diventa fonte di ispirazione per un' analisi lucida e al tempo stesso grottesca del malessere sociale e del vuoto morale cui la crisi del Bel paese ci ha tristemente abituati.


Km 183 passa in rassegna con abilità vignettistica l'universo di "casi umani" rappresentativi di una società in declino e di una generazione che ha perso qualsiasi punto di riferimento. Una sorta di Antologia di Spoon River in chiave tragicomica nell'era post-industriale, dove però i protagonisti sono "morti dentro", spesso senza esserne consapevoli. Come il finto anticonformista tratteggiato in Apocalhipster, figlio dell'ipocrisia che riduce la diversità ad atteggiamento di tendenza, creando la discutibile figura dell'"alternativo", che altro non è se non una nuova categoria dell'omologazione. In Camden ci imbattiamo nella storia, come tante, di un trentenne italiano che emigra all'estero pieno di speranze, salvo poi scontrarsi con una realtà assai meno idilliaca di quel che aveva immaginato. Disillusione e amarezza ritornano in Mentre eri in “viaggio", una rappresentazione allucinata e onirica dell'Italia dei talenti sprecati e della meritocrazia disattesa, dove "Trotskij fa il custode in camera di commercio e Shakespeare mette dischi in qualche locale after".
I sogni e le ambizioni dei vent'anni lasciano il posto al conformismo e alla malinconia per gli ideali sfumati in Casa, lavoro e minivan. Mentre Propaganda ci ricorda che il potere omologante e disumanizzante del sistema striscia inesorabile nella vita di ognuno, creando falsi miti e obnubilando le idee e il senso critico con slogan efficaci e luci al neon.
A salvarci, forse, non sarà la musica, ma sicuramente quest'album è un lodevole tentativo di unire l'utile al dilettevole, esortandoci a reagire e a pensare, ma preferendo il sorriso (seppur amaro) alla solita Lectio magistralis.


TRACKLIST

APOCALHIPSTER

CAMDEN

CAPPELLO FIRMATO VINTAGE A RIGHE BLU

LA SINDROME DEL GIOVANE HOLDEN

MENTRE ERI IN “VIAGGIO”

CASA, LAVORO E MINIVAN

PROPAGANDA

L’ESTATE DEL ’96

NON è COLPA DEL MALTEMPO

MOLLY


FORMAZIONE

Daniele - Voce e Chitarra

Francesco – Basso

Michele - Batteria

martedì 21 febbraio 2017

Il ricordo di Francesco Di Giacomo a tre anni dalla sua scomparsa...


21 - Febbraio 2017

"Ogni volta che senti un dio, ricordati che esistono sempre gli atei "
(Serena Santorelli - scrittrice)

Ci sarai sempre... Buon Viaggio Capitano
Wazza

Ricordo di Fogliazza

Ho scoperto il Banco per puro caso: la mia ex voleva vedere Finardi al Regio di Parma, salvo poi scoprire che faceva da spalla per qualche pezzo a un gruppo che non avevo mai visto prima. La mia ex era incazzata come un drago, io ero al settimo cielo: avevo conosciuto il Banco del Mutuo Soccorso. Anni prima avevo ottenuto un permesso di uscita anticipata dalla fabbrica dove lavoravo come operaio. Solo, andai in un paesino in provincia di Modena, col terrore di arrivare tardi. La piazza era ancor vuota, come il palco. Vedo aggirarsi Vittorio Nocenzi, gli chiedo se dopo il concerto posso fare due chiacchiere con loro, mi risponde gentile che mangeranno lì a fianco, dove ci sono quei tavoli. La piazza si riempie.
Termina il concerto che non sto nella pelle. Vedo la piazza svuotarsi, restano le cartacce, arrivano i netturbini, poi solo io.

È luna, passa Vittorio, mi avvicino, mi sorride e mi fa accomodare con loro. Mi chiedono cosa voglio da mangiare, non ho fame, sono felice. Riesco a dire che quel sigarillo che Vittorio tiene in bocca durante il concerto sembra cadere da un momento allaltro e invece da trentanni è ancora lì. Mi pare una bella metafora.“”È liquirizia”, mi dice lui. Osservo Rodolfo Maltese, Vittorio, Francesco. Non ci credo! La mattina dopo sono di nuovo in fabbrica, ne parlo coi colleghi, mi guardano come un marziano. Ma che glielo dico a fare. Andiamo a Fidenza?  dico a una ragazza cè il Banco del Mutuo Soccorso!E lei: “È una trattoria?”. Non le ho mai portato rancore per laffronto, anzi: ci siamo sposati e oggi abbiamo due figli. Lho perdonata. Qualche anno fa a Zagarolo, in un bellissimo palazzone, arriviamo per lavoro, sotto una pioggia che spara chiodi e un vento che sputa saette. Dal palco vedo lui, seduto tra le prime file, Francesco Di Giacomo e quando finiamo facciamo due chiacchiere, gli racconto di come la mia vita abbia avuto la sua voce come colonna sonora (gli dico anche di mia moglie, ridiamo), mi parla di Bella Ciao, di una balconata di paese, di un 25 aprile e di quei fiori che venivano giù cantando con la gente. Non ho una foto di quel momento, ricordo la felicità, nella foto non ci entrava, ne sono sicuro. Non è vero che se ne vanno sempre i migliori, perchè i migliori si possono cantare, magari non con quella voce lì, che non si può avere tutto, ma si possono cantare sempre. E Francesco canta… “non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno…”, ed io lo ascolto ancora.

By Fogliazza


lunedì 20 febbraio 2017

L’Ormata Brancaleone, di Carlo Gurgone


Un dettagliato racconto de l'"Ormata Brancaleone", fatto da Carlo Curgone, fan storico del Banco, con tanto di foto allegate.
Il "Popolo del Banco" e vivo e vegeto…
 Per chi volesse partecipare ai prossimi "raduni-camminate", è possibile contattare wazzakanazza@alice.it, oppure a banco.musicclub@libero.it

Wazza

L’Ormata Brancaleone
di Carlo Gurgone

In una mattina di Gennaio dal freddo intenso e pungente ricevo una mail di Aldo Pancotti: “invito strettamente personale” c’è scritto: é una bella sorpresa, che come un raggio di sole primaverile attraversa le nubi ed irrompe fra le tante carte della burocrazia italica! Sfrego le mani ancora intirizzite sul mouse e leggo: “L'olmata di Genzano è una lunga via, alberata, pianeggiante, senza traffico...Da un anno è la passeggiata quasi quotidiana che facciamo io e Vittorio, a volte un ufficio o un salotto dove incontrare amici”.


Si tratta di un invito con Vittorio e Gianni Nocenzi ed altri amici Bancofili a Genzano domenica 22 Gennaio, ed è un’occasione anche per rimanere a pranzo insieme! Penso immediatamente a come fare per trovare una risultante a tutti i miei impegni familiari che possa condurmi sui sacri colli. La risultante attraversa le stelle e miracolosamente appare come il raggio di sole di prima. Quindi dò immediatamente conferma ad Aldo, il quale in ogni vicenda come questa assume le sembianze di un condottiero saggio d’altri tempi pronto ad organizzare l’evento passo dopo passo. E bisogna dirlo: Aldo va lodato (non ho i poteri per santificarlo!) per il suo naturale impegno profuso con costanza in tanti anni nella grande famiglia del Banco, per la sua volontà di renderci partecipi in occasioni come questa. Dell’ultima volta, circa due anni fa al Forward Studio di
Grottaferrata, ho un ricordo bellissimo: quel giorno Vittorio ci trasformò in tanti giardinieri del Mago! Perché, se qualcuno ancora ne dubita, ai castelli romani avvengono da sempre incantevoli magie mescolate ad altrettante note magiche, e quasi senza accorgertene sei rapito da un’aria frescolina e ti senti un po’ sospeso a mezz’aria a lievitare. Sì, perché il sogno più grande per chi prova a pensare un po’ diverso è proprio quello di riuscire a giocare in contropiede con la forza di gravità, lasciando che il tempo si perda negli abissi di questo universo misterioso ed avvolgente, per vivere attimi puri ed indelebili in cui emerge la necessità di resettare tutto ciò che inutilmente appare, ci abbaglia ed in qualche modo ci confonde, e conquistare così una dimensione vera, autentica, come quella Banchesca. Tante cose sono avvenute in questa grande famiglia negli ultimi tre anni, ma una cosa è certa: da Francesco in poi, quelli che come me hanno vissuto con il cuore queste vicende, sono stati cosparsi da un vento di saggezza. E lentamente, giorno dopo giorno, attaccati alla coda del proprio personale ippogrifo, hanno con umiltà rinsaldato i nodi della tela del quotidiano per rincorrere ancora il richiamo dell’idea.
Domenica 22 Gennaio a Sabaudia il cielo appare velato e fa ancora un po’ freddo. Sebbene siano le nove, la pianura è ancora immersa nel suo sonno di rugiada. Lascio d’istinto che il percorso verso Genzano abbracci la via Lungomare, ma oggi anche le dune sembrano pachidermi di sabbia. Mi accompagna la musica di “Estremo Occidente” di Vittorio, che si mescola fra la brezza marina ed il naso di Circe. La Pontina è pressoché deserta, lascio la Nettunense ed inizio lentamente a salire per via Monte Giove. Il paesaggio cambia, la strada è stretta e si inerpica fra le curve, sembra una conquista la collina più avanti, ma poco dopo arrivo alla meta. Era da un po’ che non passavo di qui, la sensazione è quella di un centro storico pulito ed ordinato. Ma ciò che riscalda il mio cuore di architetto è un profumo misto di arte e tradizione, c’è un cammino immenso di storia che rende questi luoghi affascinanti, molto di più della classica gita a li castelli. Riesco a trovare parcheggio, mi imbacucco per bene e mi avvio lentamente verso il bar Giotto, un chioschetto all’inizio di via Garibaldi. Scorgo Vittorio, Aldo ed alcuni amici di tanti concerti vissuti insieme seduti ai tavolini. Saluto tutti ed abbraccio Vittorio e la sua cordialità mi restituisce calore in questo freddo mattino. Per il maestro è l’occasione per gustare una bella tazza di cioccolata calda (dice che con il freddo non c’è nulla di meglio della cioccolata!), noi ci accontentiamo di un buon caffè. Arrivano altri amici, Aldo da buon cerimoniere li presenta ad uno ad uno. Il treno dei tavolini piano piano si allunga e chi passa pensa che si tratti di una riunione pre-elettorale, ma non comprende il colore politico dello schieramento, né la scelta
del luogo. Abbiamo infatti alle spalle un muro di cortina cosparso da vistosi murales un po’ metropolitani con tante scritte colorate che fanno da sfondo al treno di sedie e tavolini rossi. All’improvviso dal cielo grigio fa capolino il sole ed acquistiamo qualche grado: è la metamorfosi necessaria affinché il labbro inerte possa iniziare a sciogliersi seguendo il percorso del cuore.


Così Vittorio inizia a parlarci di questi luoghi. E parla di arte, di storia e di architettura con estrema sapienza e convinzione, tanto che Aldo ad un certo punto, da bravo centurione romano, lo interrompe: “Lo sapevo io!, mò iniziamo…..al posto de parlà de musica ce mettemo a parlà dei castelli!”. Ma Vittorio prosegue e si parte da lontano, dalle gesta dei popoli Latini, e capisco che quei luoghi gli stanno a cuore, perché sono un enorme salvadanaio di arte e di cultura. Quell’arte e
quella cultura che la nostra povera Italietta fondata sulla burocrazia delle carte, sul pressapochismo e sull’ignoranza pone sempre in secondo piano, perché forse è meglio non stimolare troppo le menti, non sia mai che le pecore bianche del gregge diventino pecore nere! E’ un momento molto intenso e si salta da un secolo all’altro, da una battaglia ad un papa, per capire in realtà ciò che stiamo vivendo. L’attenzione è particolarmente rivolta all’immagine del nostro tempo, alla forma di comunicazione imposta da internet, alla velocità con cui oggi possiamo accedere al web ricavando un’enormità di informazioni, ed alla limitata possibilità di selezionarle e di farle proprie. In sostanza, nel momento in cui postiamo sui vari siti avviene una sorta di autocelebrazione mediatica, ma ciò che stiamo vivendo è già passato, dice Vittorio, e questa mancanza di cognizione del presente, del tempo che occorre per vivere l’emozione del gesto quotidiano che si sta compiendo emargina la forza del pensiero e ci abbaglia: siamo tutti partecipi, ma solo virtualmente. Allora forse la soluzione, dico io, è provare a rallentare, ovvero provare come oggi a pensare un po’ diverso, a confrontarci, a conoscerci meglio……ed in questa carovana di persone provenienti da più parti d’Italia, tutte legate da questa emozione profonda ed autentica verso il progetto Banco, che è qualcosa che va oltre la musica, tutto questo si può fare!


Adesso c’è un rito da compiere! E’ il momento della passeggiata lungo l’Olmata. La strada oggi ospita il tradizionale mercatino della domenica, ci sono cose di ogni tipo. Vittorio parte a razzo insieme al fido condottiero Aldo e ci distanziano. Ci sentiamo un po’ gregari, ma capisco subito che sono allenati a quel percorso, che senza tanti
complimenti ci obbligano a compiere andata e ritorno. Ho l’occasione di conoscere Sofia Baccini, che avevo ascoltato come cantante con gli Osanna ed altri gruppi, e mi fa enormemente piacere che anche il profumo del Vesuvio arrivi con le sue note fin quassù! Parliamo di musica, anzi di contaminazione musicale, che è qualcosa di più, un linguaggio che rompe gli schemi dei singoli generi e riesce ad insinuarsi fra i vari percorsi artistici….è il linguaggio del prog! C’è persino un piccolo rimpianto alla disco-music degli anni 70-80, oggi rivalutata considerando l’immondizia sonora che ci circonda. E’ naturale per lei chiedermi se suono qualche strumento. Tentenno, ho una tastiera le rispondo, una Roland RD-700 acquistata un po’ di anni fa perché i suoni mi ricordavano quelli bancheschi; in realtà non ho tecnica, quindi più che suonare sogno… qualcuno dice che ho un buon orecchio; ma il cuore anche se c’è non basta, perché la musica è un linguaggio e la sua conoscenza ha bisogno di studio e dedizione……spero, le dico, di riservarmi un angolino di tempo per provare a coltivarla. Tra una chiacchera e l’altra siamo di nuovo al punto di partenza. Adesso sembriamo una vera squadra. Inizia il secondo step! Si riparte a piedi, questa volta verso sud ed ancora una volta Vittorio ci distanzia! Mi rendo conto, io che sono un buon camminatore, che il passo del maestro è veloce quanto la sua mano in un assolo di moog! Risaliamo per via Morosini fino all’imponente facciata di palazzo Sforza Cesarini.


Qui Vittorio evidenzia con profonda sapienza la saggezza degli antichi architetti. Che adoperavano i segreti della prospettiva per guidare l’occhio umano verso una percezione dello spazio che potesse esaltare
i grandi luoghi. E spiega dettagliatamente la metrica del prospetto del palazzo, con le finestre che riducono gradatamente la loro distanza sul fronte per aumentarne l’estensione: è apparentemente un gioco sapiente, io penso piuttosto a qualcosa di carismatico perché in quel momento vedo lo sguardo di Vittorio intento a scrutare la facciata del palazzo come se al posto degli elementi architettonici che ne fanno da cornice ci fosse un enorme pentagramma! Dico dentro di me: “mentre sta parlando di architettura, di metrica e di spazio, sta aggiungendo qualche nota qua e là, sta componendo musica!”. E’ un piccolo esempio di sana contaminazione fra linguaggi artistici, la prova che esiste un profondo legame in ogni impulso dettato dalla creatività. Del resto quella che consideriamo un’arte globale è stata sempre il punto di partenza del progetto Banco, una grande officina dove sperimentare ogni volta qualcosa di diverso.


Il tempo scorre e ci avviciniamo al momento del pranzo. Ci incamminiamo giù per il grosso slargo dove a Maggio si svolge l’infiorata con la promessa di incontrarci anche in quell’occasione.

Il locale scelto da Aldo, prode guerriero (come già detto), è quello giusto per l’occasione del grasso pasto. Si chiama L’angoletto ed è situato poco distante. E’ un posto che appena entri viene voglia già dall’aspetto di leccarsi i baffi. Le antiche volte e l’arco di mattoni contribuiscono a creare il giusto calore che ci vuole per rilassarsi completamente e gustare le prelibatezze della cucina casereccia.


In questo clima festoso mille storie si incrociano sui tavoli insieme alle portate che via via scorrono in compagnia del buon vino. Storie banchesche e non solo. Ho insieme a me alcune fotografie della mia
piccola Sofia, che porgo a Vittorio per un augurio speciale. Sofia è cresciuta nel pancione nello stesso periodo in cui è nato il lavoro “Un’idea che non puoi fermare”, e questa coincidenza per me rappresenta in qualche modo la traccia di Big Francesco. E sempre nella pancia di mamma Sofia ha ascoltato il concerto di Vittorio a Trastevere in occasione dell’inaugurazione di una mostra di quadri ad Ottobre di due anni fa: in quell’occasione, dopo aver ascoltato Darwin, Vittorio asserì sorridendo che era stata battezzata! Sono emozioni e piccoli racconti di vita che fanno parte di questa grande famiglia come le foglie di una grande quercia. Fra una portata e l’altra (resto estasiato dal maialino arrosto!) scambio qualche chiacchera con Francesco e Mattia, lui romano, lei siciliana doc come i miei genitori. Si parla di questa regione molte volte denigrata, dei suoi mille profumi e sapori. Francesco ha una macchina fotografica che sembra un satellite vivente e non si risparmia con gli scatti!


Brindiamo a Vittorio perché il giorno dopo è il suo compleanno. L’aria è festosa! Arrivano altri musicisti del Banco, c‘è anche Filippo Marcheggiani. Aldo Pancotti li accoglie nel suo tavolo dove il vino abbonda e scorre veloce. Ma c’è ancora una bella sorpresa nell’aria! Arriva con il suo passo felpato Gianni Nocenzi…ed è un’altra Metamorfosi! E’ bello vedere i due fratelloni insieme e percepire questo legame indissolubile, umano e musicale, che li unisce. Ho l’occasione di scambiare qualche chiacchera con lui: ci soffermiamo
sul percorso, soprattutto umano, che lo ha portato al suo ultimo lavoro “Miniature”.


Mi dice che è un lavoro partorito nel tempo giusto, frutto degli avvenimenti che lo hanno coinvolto negli ultimi tre anni. Infatti in questo album si percepisce un insieme variegato di emozioni e sensazioni che attraversano d’istinto i tasti bianchi e neri. Accenno al significato che per me accomuna i due lavori pianistici di Gianni e Vittorio: la capacità di rievocare sensazioni ed immagini, un viaggio nel tempo o probabilmente un prolungamento del viaggio nel tempo, visto che nella realtà con la nostra astronave terrestre viaggiamo già a più di 32 Km al secondo…..questa musica è bello ascoltarla in cuffia, ma per me è assai più stimolante riservarsi qualche spazio e lasciarla decantare come sottofondo mentre svolgo le normali attività quotidiane. C’è il tempo per confrontarmi sul significato di “comos dos trenes que se cruzan en la noche”. Tratto dall’album Empusa, questa composizione la associo al viaggio di affinità elettive su due treni in corsa da opposte direzioni. Ho sempre amato i treni, dico a Gianni, sin da quando ero bambino: il treno è per me la rappresentazione magica del sogno. In due treni che si incrociano tanti sguardi vorrebbero afferrarsi, ma per comprendersi, per conservare quell’emozione profonda occorre poter fermare l’attimo! E’ ciò che accade quando il ritmo incessante dei tasti bianchi e neri sui binari si interrompe e le note si distendono….il treno prosegue il suo viaggio nella notte dopo aver dissipato quell’energia inconscia….è probabile che le due affinità si incontreranno ancora e che questa volta riusciranno anche a toccarsi, a materializzarsi……
Siamo arrivati alla fine del pranzo e chiaramente il tempo è volato! Personalmente sono satollo come un gatto. Ci scambiamo i saluti e ci mettiamo in posa per un’altra bella foto di gruppo.


Io, Aldo, Francesco e famiglia ed altri amici decidiamo di accompagnare Vittorio fino a casa. Qui abbiamo il piacere di entrare nello studio-officina dove Michelangelo Nocenzi sta lavorando assiduamente alle musiche di Orlando, l’ultimo progetto in itinere. E’ l’occasione per ascoltare un pezzo musicale che sta nascendo e per vedere Vittorio, Michelangelo e zio Gianni confrontarsi sugli arrangiamenti….ogni ritocco del brano viene accuratamente trascritto sul pentagramma……inutile dire che i tempi del pezzo non sono pari! Ci congediamo da questo bel ritratto di famiglia con l’augurio che ci arrivino presto nuove note!
Mi avvio sulla strada del ritorno verso la pianura e ripercorro la bella giornata appena trascorsa. E penso a quanto tempo è passato dalla prima volta che acquistai “Il Salvadanaio” ed a cosa ha rappresentato la sua musica in tutti questi anni nei miei percorsi di vita. Tante emozioni mi avvolgono, poi un ippogrifo sbuffante mi sorpassa e si alza in volo fra le stelle….

Un caro saluto ed un abbraccio a Vittorio, Gianni ed Aldo ed a tutti gli amici bancofili (ah dimenticavo: bancofilo è molto meglio di fan!).