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giovedì 16 maggio 2024

Il compleanno di Robert Fripp


Compie gli anni oggi, 16 maggio, Robert Fripp, l'uomo che ha "inventato" i King Crimson. Chitarrista, compositore, polistrumentista, produttore.

Il 16 maggio 1969 festeggiava il suo 23° compleanno suonando con i King Crimson, per la prima volta al Marquee di Londra. Ancora poco conosciuti, erano gli ultimi in ordine di importanza nel palinsesto della serata che comprendeva: Steppenwolf, Terry Reid, Hard Meat e King Crimson.

La formazione comprendeva: Robert Fripp (chitarra), Michael Giles (batteria), Greg Lake (basso e voce), Ian Mc Donald (fiati, effetti vari), Pete Sinfield (testi, e luci).
Voluti fortemente da John Gee, interessato a nuove forme di musica sperimentali, lasciarono tutto il pubblico a bocca aperta per il loro sound complesso e "schizofrenico".

Molta acqua è passata sotto i ponti da quel giorno, ma i King Crimson sono ancora "on the road", inseriti nell'olimpo del progressive mondiale.

Happy Birthady Robert!
Wazza



King Crimson at the Marquee-969

King Crimson

Greg Lake e Robert Fripp



L’ultima formazione



Le disavventure americane dei Pink Floyd a metà maggio del 1970

Pink Floyd were performing at The Warehouse in New Orleans, Louisiana 
on May 15, 1970

Brutta avventura per i Pink Floyd dopo le date del 15 e 16 maggio 1970, al Warehouse di New Orleans.

Fu rubato il camion con tutte le costose attrezzature, ma grazie ad una ragazza, figlia di un dipendente dell’FBI, in poco tempo il tutto fu recuperato e terminò lo sconforto per i quattro musicisti inglesi.

Di tutto un Pop!

Wazza

Maggio 1970: i Floyd stanno finendo il tour in Nord America, ma non avrebbero mai immaginato cosa sarebbe successo dopo le date del 15 e 16 maggio al “Warehouse” di New Orleans in Luisiana.

Dopo il concerto - in cui suonarono anche la Allman Brothers Band e i Country Funk -, mentre i Pink Floyd dormivano in albergo, dal loro camion furono rubate tutte le attrezzature per un totale di 40.000 dollari! 

Fu portato via tutto: 4 chitarre elettriche (compresa la Black Strat che David aveva comprato poche settimane prima), un organo, un impianto acustico da 4000w con dodici altoparlanti, 5 unità echo Binson, microfoni, 2 batterie e chilometri di cavi. Di conseguenza i restanti concerti del tour, a Huston e a Dallas, furono annullati.

In un’intervista rilasciata a “Melody Maker” Nick Mason disse: “Fu una catastrofe, ci ritrovammo seduti in hotel a pensare: -ecco, è tutto finito-. Raccontando i nostri guai a una ragazza che lavorava lì venimmo a sapere che suo padre lavorava per l’FBI. La polizia non ci aveva aiutati molto. L’FBI invece si mise ad indagare e quattro ore dopo ritrovò le nostre cose”.




mercoledì 15 maggio 2024

YES – THE CLASSIC TALES OF YES TOUR 2024 - PADOVA – GRAN TEATRO GEOX – 8 MAGGIO 2024-Il commento di Evandro Piantelli

 


YES – THE CLASSIC TALES OF YES TOUR 2024

PADOVA – GRAN TEATRO GEOX – 8 MAGGIO 2024

Di Evandro Piantelli

 

Dopo diversi rinvii dovuti alla pandemia e, sembra, ad altri problemi organizzativi, finalmente questo concerto, inizialmente previsto per il 2020, si è potuto tenere regolarmente. Ed io, per una serie di motivi che vi spiegherò più avanti, mi sono lasciato tentare ed ho preso il biglietto. Naturalmente vi racconterò nei dettagli quello che ho visto e ho sentito. Ma prima, bisogna fare un salto indietro nel tempo. Anzi, due.


NICE, Palais des expositions – 20.07.1984

Il mio primo concerto degli Yes ha coinciso col tour promozionale del disco “90125”, un lavoro rivoluzionario, che ha sorpreso i vecchi fan e ne ha regalati al gruppo molti nuovi. Nel corso della serata la band (Jon Anderson – voce, Trevor Rabin – chitarre, Tony Kaye – tastiere, Chris Squire – basso e Alan White - batteria) aveva eseguito quasi interamente il nuovo disco (con l’hit Owner of a lonely heart), oltre ad alcuni classici quali Yours is no disgrace, Long distance runaround, And you and I, I’ve seen all good people, Roundabout ed una versione “interstellare” di  Starship trooper, con le luci ed i laser che trasformavano il palco in una nave spaziale che decollava verso l’infinito (ed oltre). Un concerto indimenticabile, che per anni è stato il mio preferito fra le centinaia a cui ho assistito.

 

VADO LIGURE, Stadio Chittolina – 12.07.2003

Con mia grande sorpresa, in una calda serata di luglio di oltre 20 anni fa, gli Yes hanno tenuto un concerto allo stadio comunale di Vado Ligure che, per chi non lo conoscesse, è un piccolo comune vicino a Savona, a pochi chilometri da dove vivo. La band aveva da poco pubblicato “Magnification”, un disco di prog sinfonico, ma la cosa più interessante era che si presentava sul palco con una delle lineup più amate della sua lunga storia, cioè quella di “Tales from topographic oceans” e “Going for the one”, con Steve Hove – chitarre, Rick Wakeman – tastiere, Chris Squire – basso, Alan White – batteria e Jon Anderson alla (sempre splendida) voce. Concerto che ha visto la band proporre grandi classici quali, tra gli altri, South side of the sky, Wonderous stories e uno dei miei brani preferiti di sempre, Awaken, con un paio di pezzi tratti dal lavoro più recente, cioè Magnification e In the presence of. Inutile dire che, anche questo concerto, rimane tra quelli che ricordo con maggiore affetto.

E veniamo quindi al concerto di Padova ed ai motivi che mi hanno spinto ad andarci.

1.    La formazione. Dopo la scomparsa di Squire (2015) e di White (2022) gli Yes si presentano con una formazione che vede Steve Howe alle chitarre e voce, Geoff Downes alle tastiere (tornato negli Yes dopo averne fatto parte nel 1980 ai tempi di “Drama”), Billy Sherwood al basso (che collabora con la band da molti anni ed ha avuto il difficile compito di sostituire l’immenso Squire), Jon Davison alla voce e chitarra acustica e Jay Schellen alla batteria (che già da qualche anno affiancava ai tamburi Alan White). Vorrei far notare che nessuno degli attuali componenti della band era presente al concerto del 1984 ed il solo Howe era sul palco a Vado Ligure.

2.    Il nuovo disco. Nel 2023 gli Yes hanno pubblicato con l’attuale formazione “Mirror to the sky” un lavoro piacevole e onesto, che si ascolta volentieri e contiene al suo interno alcuni brani di ottima fattura, tra i quali Cut from the stars e All connected. Personalmente il disco mi è piaciuto e lo ritengo uno dei migliori pubblicati da un po’ di tempo a questa parte, almeno dai tempi di “Fly from here” (2011).

3.    La scaletta. Ero molto curioso di scoprire quali pezzi, nello sterminato repertorio della band, sarebbero stati proposti nel corso della serata. Pezzi solo classici o anche pezzi dal nuovo album? E tra i pezzi storici avremmo ascoltato i “soliti noti” oppure ci sarebbe stata qualche sorpresa? Lo scoprirete presto perché adesso (qualcuno dirà: “finalmente!”) inizia il vero racconto della serata. Mettetevi comodi, lo spettacolo va a cominciare.

Il Gran Teatro Geox di Padova ha tutte le caratteristiche che dovrebbe avere uno spazio per concerti: è facilmente raggiungibile, ha un ampio parcheggio, l’acustica è eccellente e le poltrone sono disposte in modo da assicurare un’ottima visibilità anche dalle file posteriori. All’ingresso del teatro ci accoglie una mostra/mercato di disegni numerati ed autografati da Roger Dean, lo straordinario artista che ha realizzato buona parte delle copertine degli Yes (e di molti altri gruppi storici del prog e non solo). Si tratta di lavori bellissimi ma, per il sottoscritto, un po’ cari, perché i prezzi vanno dai 125 euro per un set di quattro disegni poco più grandi di una cartolina ai 1.500 euro per i disegni delle copertine dei dischi più famosi. Comunque, un bel benvenuto per i tanti appassionati accorsi da tutta Italia e dall’estero.

Alle 21.15, puntualmente, si spengono le luci e sale sul palco la band accolta dagli applausi di tutti i presenti. L’inizio del concerto è a dir poco micidiale con una Machine messiah da brividi, dove la chitarra di Howe ed il basso di Sherwood dominano la scena con un botta e risposta che non lascia indifferenti. Segue It will be a good day (da “The ladder” del 1999), un bel pezzo che mette in evidenza le doti vocali di Davison, a cui seguono due super classici: Going for the one e I’ve seen all good people. La band è affiatata e anche Downes e l’ultimo arrivato Schellen paiono ben integrati nel combo. Il gruppo propone poi una versione esclusivamente strumentale di America, un pezzo di Paul Simon che il gruppo aveva pubblicato all’epoca solo in 45 giri. Personalmente la scelta di tagliare la parte cantata non mi ha entusiasmato, ma comunque il pezzo è bello. Seguono la dolce Time and a word e Don’t kill the whale un pezzo che, ricorda Steve Howe, già negli anni ’70 anticipava temi ambientalisti. La prima parte del concerto (a cui seguirà una pausa di una ventina di minuti) si chiude con il capolavoro Turn of the century, un lungo brano tratto da “Going for the one” che, secondo molti tra i presenti, da solo valeva il prezzo del biglietto. Dopo la pausa il concerto è ripreso con South side of the sky (tratto da “Fragile” del 1972), seguita da Cut from the stars, unico trai pezzi eseguiti proveniente da “Mirror to the sky”. Per concludere la seconda parte del concerto gli Yes hanno scelto di proporre un Medley dei quattro brani che compongono “Tales from topographic oceans” e cioè The revealing science of God/The remembering/The ancient/Ritual (nous sommes du soleil). Questa proposta, a mio avviso, ha rappresentato l’unico punto debole della serata, non tanto per l’esecuzione (sempre perfetta) quanto per il modo in cui i pezzi sono stati cuciti insieme, una specie di puzzle sonoro che mi ha lasciato un po’ perplesso. Dopo una breve uscita la band è tornata sul palco per gli immancabili encore, eseguendo una coinvolgente versione di Roundabout e salutando il pubblico con una sempre bellissima Starship trooper (questa volta senza astronave).

Cosa possiamo dire di questo concerto? Bella scelta di brani, esecuzione con pochissime sbavature, band affiatata, performance nel complesso godibile. Certo, qualcuno si chiederà se è giusto che si chiamino Yes o se non sarebbe più corretto The Steve Howe band. È difficile rispondere a questa domanda, ma se ci guardiamo intorno sono molte le band dove è rimasto solo uno dei componenti storici, ma che continuano a fare dischi e concerti con la denominazione originaria (tra quelli che ho visto mi vengono in mente PFM, Uriah Heep e Hawkwind, ma ce ne sono molti altri), per non parlare dei gruppi dove non c’è più nessuno dei membri storici. Ma qui ci sarebbe da aprire un capitolo che va oltre la recensione del concerto.


I compleanni di Brian Eno e Mike Oldfield



Doppio compleanno oggi, 15 maggio, per due talentuosi musicisti, Brian Eno e Mike Oldfield.
Tutti e due compositori e polistrumentisti... chapeau!!
Wazza



Mike Oldfield


Compie gli anni oggi anni Mike Oldfield, polistrumentista, produttore e compositore britannico, nato a Reading (Inghilterra). Arrivò alla fama mondiale con la sua opera di 1973 "Tubolar Bells", che è stata usata come parte della soundtrack di "L'esorcista". Ha anche avuto una hit nel 1983 con il tema "Moonlight Shadow", cantata da Maggie Reilly. 
Mike ha continuato a registrare e attualmente si è semiritirato alle Bahamas.



Brian Eno


Compie gli anni anche Brian Eno, musicista, produttore e compositore britannico nato a Woodridge (Inghilterra), noto inizialmente per il suo lavoro ai sintetizzatori nei Roxy Music, ha avuto il suo più grande impatto artistico con le sue musiche d'ambiente e la sua collaborazione con artisti come David Bowie, Talking Heads, Devo e  U2.

Per qualcuno considerato un non musicista, Eno ha dimostrato ampiamente il suo talento in questo campo, sia come tastierista/cantante/compositore, sia producendo le opere di altri musicisti.







martedì 14 maggio 2024

Sykofant – “Sykofant”, commento di Alberto Sgarlato

 


Sykofant – “Sykofant” (2024) 

di Alberto Sgarlato

Chi segue le costanti evoluzioni e trasformazioni del rock progressivo sa che da ben oltre due decenni a questa parte a tenere ben saldo in mano lo scettro di una produzione monumentale, eclettica e variegata è la Scandinavia.

Testimonianza palese è il calendario di quest’anno del festival che si svolge a Veruno: su dodici band suddivise sul main stage in tre giorni, delle quali 11 finora annunciate, 5 sono provenienti dalla Penisola Scandinava: nello specifico, dalla Norvegia la proposta eclettica dei Seven Impale, le suggestioni delicate e cameristiche dei Meer e gli attesissimi Wobbler, richiesti a gran voce dai fans da diversi anni; dalla Svezia il folk psichedelico degli Agusa e il power-trio dei Freak Kitchen.

E se vogliamo continuare a usare la kermesse verunese come “termometro” delle moderne tendenze prog-rock, negli anni si sono avvicendati sul palco gruppi più legati al romanticismo sinfonico, come Flower Kings, Moon Safari e TangeKanic (fusione, quest’ultima, di Tangent e Karmakanic), proposte più sperimentali, come Anekdoten e Anglagard, ma anche il prog moderno dei Beardfish, l’eleganza gentile dei Dim Gray, il sanguigno hard-psych degli Arabs in Aspic, il post-rock dei Gazpacho, il metal-prog dei Pain of Salvation, solo per citare qualche esempio.

Per cui non è difficile immaginare che nel cuore dei progsters ben presto troveranno posto anche i norvegesi Sykofant, appena giunti al loro album di esordio.

La mancanza delle tastiere in questo quartetto lascia già intuire che la formazione è più interessata alle evoluzioni maggiormente sanguigne ed energiche del vasto universo progressivo, che non certo a quelle sinfoniche.

Sono invece due chitarre che reggono le varie tessiture dei brani: quella del cantante solista Emil Moen e quella del chitarrista principale Per Semb, anche backing vocalist, così come è backing vocalist il bassista Sindre Haugen. Completa la formazione il batterista Melvin Treider.

Ben un’ora circa di musica, suddivisa in sei brani di varie lunghezze. Per esempio, si parte con i soli 4 minuti e mezzo di “Pavement of colors”, la traccia più corta del disco, che dopo un inizio quasi funky affidato a un basso mixato ben in primo piano e a chitarre asciutte e veloci, di colpo rallenta e si dilata assumendo contorni quasi tra il grunge e le desert session, verso un finale che si fa sempre più duro.

Supera invece i 12 minuti di durata “Between Air and water”, con una introduzione affidata a chitarre slide dal sapore floydiano. La quiete prima della tempesta dura circa quattro minuti, dopodiché il brano assume i connotati di una vera “cavalcata” psichedelica. Lo spettro dei Pink Floyd riaffiora nel solo chitarristico poco prima degli 8 minuti, per poi portare tutta la traccia verso un epico crescendo finale degno a tratti dei Muse.

Monuments of Old” è una traccia di elegante post-rock affidato a belle melodie chitarristiche, forse l’episodio più melodico dell’intero album, pur con i cambi di climax tra atmosfere più sottili e altre più hard che costituiscono la costante cifra stilistica della band. Volendo per forza fare dei parallelismi, si potrebbe pensare a un mash-up tra la Steve Rothery Band e i Rush di “Counterparts” per quanto riguarda le parti strumentali, mentre il cantato è ancorato a doppio filo all’epica del grunge.

Un gran lavoro di intrecci di arpeggi chitarristici dal sound pulito e scintillante segna l’inizio di “Between the moments”, l’unica altra traccia “compatta” del disco, con i suoi 5 minuti. Anche in questo caso il concetto di “ballad” melodica dura lo spazio di un paio di minuti, per poi evolversi in un complesso lavoro di riff di math-rock eclettici e cangianti.

Strangers” è cupa, granitica, solenne nel suo incedere, un trait-d’union tra il prog-rock “matematico” e lo stoner rock post-sabbathiano, con ricami chitarristici dal profumo esotico, quasi un tocco di Ozric Tentacles che affiora tra i riff poderosi. Sembra quasi che il brano si faccia sempre più congestionato, fino a un finale parossistico attorno ai 7 minuti. Per poi riprendere, però, in una lunga coda impalpabile, eterea, malinconica ma anche tenebrosa.

La chiusura del disco è affidata a una suite da circa un quarto d’ora di durata, "Forgotten Paths", che inizia come una ballad profumata di folk per poi evolversi in tutta quella serie di mutazioni alle quali la band ci ha ormai abituato nel corso del disco: momenti arpeggiati più densi di malinconia, assoli chitarristici di commovente intensità, riff complessi costruiti su tempi composti, in un calderone nel quale hard, funk, prog, psichedelia vanno costantemente a braccetto.

Insomma: se per voi il progressive rock non è affatto roba da favolette romantiche ma di questo genere preferite le incarnazioni meno sinfoniche e più dure, energiche, drammatiche (nell’etimologia greca di “Drama, dramatos”, cioè concentrato sull’azione), allora questo è l’album che fa al caso vostro.





lunedì 13 maggio 2024

I Pink Floyd il 12 maggio del 1967

Il 12 maggio del 1967Pink Floyd tennero un concerto - spettacolo alla prestigiosa Queen Elizabeth Hall di Londra, intitolato "Games For May - Space Age Relaxation For The Climax Of Spring". Qui debuttarono con un nuovo congegno musicale che in seguito sarebbe diventato noto come "Azimuth Co-ordinator", un dispositivo tipo joystick usato per "distribuire" i suoni intorno alla sala. Alla band venne vietato di suonare nuovamente alla Elizabeth dopo aver macchiato i tappeti e le poltrone della sala con fiori e bolle "sparate" da una macchina. Fu uno dei primi concerti “psichedelici” e sperimentali che fecero conoscere i Pink Floyd, nel circuito musicale “che conta”.

Di tutto un Pop…

Wazza

 


Qualche dettaglio…

Games for May è stato un concerto di musica rock che ha avuto luogo presso la Queen Elizabeth Hall il 12 maggio 1967, tre mesi dopo l'apertura della sede. Fu uno dei primi eventi concertistici significativi tenuti dai Pink Floyd. Lo spettacolo fu organizzato dai manager dei Pink Floyd Andrew King e Peter Jenner della Blackhill Enterprises e promosso dal promotore di musica classica Christopher Hunt.

Games for May fu descritto come un "rilassamento dell'era spaziale per il culmine della primavera: composizione elettronica, proiezione di colori e immagini, ragazze e Pink Floyd". Il concerto comprendeva alcuni dei primi singoli della band e materiale dal loro album di debutto ancora da pubblicare - The Piper at the Gates of Dawn. Durante la performance, alcuni membri della band crearono effetti sonori tagliando la legna sul palco, un uomo vestito da ammiraglio distribuì narcisi e le bolle prodotte da una macchina mentre lo spettacolo era in corso macchiarono tutti i mobili del corridoio. Di conseguenza, ai Pink Floyd fu vietato di … ritornare!

Fu il primo concerto in Gran Bretagna a presentare sia un complesso spettacolo di luci che un sistema di altoparlanti surround quadrifonico a quattro canali. Un dispositivo di missaggio del suono chiamato " Coordinatore azimutale " fu utilizzato per dirigere i suoni a più altoparlanti in tutta la stanza. La musica dal vivo fu integrata con suoni da nastri preregistrati. Roger Waters creò gli effetti del nastro dell'alba di apertura utilizzando richiami di uccelli e altri suoni naturali (un effetto che ha poi utilizzato in "Cirrus Minor” e “Grantchester Meadows "). I suoni gorgoglianti alla fine dello spettacolo furono creati da Rick Wright mentre il pezzo finale fu costruito da Barrett. A quel tempo, la canzone che sarebbe diventata " See Emily Play " era conosciuta come "Games for May".



 

 

domenica 12 maggio 2024

Rolling Stones: il 12 maggio 1972 veniva rilasciato "Exile on Main Street""


Usciva il 12 maggio 1972 "Exile on Main Street", doppio album dei Rolling Stones, capolavoro del rock-blues…

Di tutto un Pop…
Wazza


Il 12 maggio del 1972 esce il nuovo LP dei Rolling Stones, il primo doppio album della loro carriera. Si chiama "Exile on Main street", perchè nell'inverno dell'anno precedente gli Stones avevano lasciato la patria a causa del nuovo regime fiscale che rischiava di risucchiare tutti i loro guadagni. Così le pietre vanno in esilio, proprio come dice il titolo dell'album, nel Sud della Francia.

Si ritrovano nella lussuosa villa in Costa Azzurra che Keith ha affittato assieme alla fidanzata Anita Pallenberg e qui, tra fiumi di alcol e droga, nasce uno degli album rock più leggendari della storia. La creatività e l'ispirazione di Mick e Keith sono davvero incredibili. I 18 brani del disco trasudano country, blues, gospel, rockabilly, rock n' roll senza alcuna inibizione: un viaggio teso al recupero della propria memoria storica con disarmante innocenza e con una certa rilassatezza. 


Alla villa in quei mesi transitano parecchi amici degli Stones, ma uno in particolare, Gram Parsons (in quel momento membro dei Byrds) , ha un ruolo fondamentale. Influenza infatti le sonorità country del disco e, pur non accreditato, è presente nel cuore di uno dei pezzi più emblematici dell'album: "Tumbling Dice".


Il brano viene utilizzato come primo singolo, e narra la storia di un giocatore d'azzardo che non è in grado di giurare fedeltà alle sue donne. Il bassista della band, Bill Wyman, è assente al momento dell'incisione. Lo sostituisce Mick Taylor, il giovane prodigio della chitarra rock-blues che ha rimpiazzato Brian Jones. Al pianoforte c'è niente di meno che Ian Stewart.

Anche se sono necessari parecchi anni prima che pubblico e critica valutino adeguatamente "Exile on Main Street", il doppio album degli Stones è oggi considerato il loro disco capolavoro.






Ricordando Mia Martini


Ricordiamo Mia Martini, era il 12 maggio 1995 quando decise di andarsene...
Era considerata la "Julie Driscoll" italiana, il "Battisti in gonnella".

Fu una delle poche donne a partecipare e vincere i Festival Pop negli '70.

Poi la maldicenza, le malelingue, e tutta la stupidaggine di certi discografici, contribuì a rovinare la su fragile personalità.

Per non dimenticare…
Wazza

Come nacque la terribile maldicenza che "portava sfortuna"...

Mimì all’epoca stava suonando in giro per l’Italia accompagnata dal suo gruppo “La Macchina”, composto dagli ex “I Posteri” Riccardo Caruso (voce e tastiere), Giorgio Dolce (chitarra), Giovanni Baldini (basso) e Daniele Cannone (batteria), con i quali inciderà anche una manciata di covers.
Intorno al maggio ’71 viene notata dal discografico Alberigo Crocetta che le propone un contratto con la RCA a patto però di sbarazzarsi dei suoi musicisti, i Free Love, il cui sound è ritenuto troppo duro.
Sul momento Mia probabilmente non se la sente di abbandonare i compagni, ma per venire incontro all’etichetta discografica, accetta di registrare il suo primo singolo, “Padre davvero”, con un’altra line up (chiamata anch'essa "La macchina") di cui fecero parte proprio alcuni componenti dei Free Love più il tastierista Stefano Sabatini che da allora cominciò a gravitare nel gruppo. 



Al Festival Nuove Tendenze di Viareggio (27 maggio – 2 giugno 1971) Mimì però ci va con i vecchi compagni e vince, malgrado le roventi polemiche inscenate dal suo compagno di allora, Joe Vescovi dei Trip. Quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbe esibita con gli ex “I Posteri” (ovvero, la prima formazione della Macchina) che si congedano da lei lasciandola sola alla vigilia del Festivalbar dell’8 agosto 1971.

Sullo scioglimento della prima "Macchina" c’è anche chi sostiene che alcuni membri della band abbandonarono la cantante in quanto non se la sentirono di affrontare una tournèe nazionale. Tuttavia, è plausibile pensare che il veto della RCA avesse influito non poco sullo scisma.

L'ESTATE A VIAREGGIO DEL 1971 E GLI ECHI DEL "PRIMO FESTIVAL POP"
(nella foto: la prima pagina del quotidiano LA STAMPA del 31 maggio 1971;
 il fotografo probabilmente non sapeva che stava immortalando MIA MARTINI, vincitrice a pari merito con la PREMIATA FORNERIA MARCONI e gli OSANNA


Comunque sia, a partire dall’agosto ’71 Mia Martini si mette a caccia di nuovi musicisti per dar vita a una seconda formazione della Macchina, e il primo ad arrivare fu ancora Stefano Sabadini che abbandonò definitivamente i Free Love, sostituito da John Picard al violino elettrico e dall’organista Fabio Cammarota.



Dopo qualche mese di attività con il nuovo assetto (Caia, gli Stogel, Cammarota e Picard) però anche i Free Love devono separarsi temporaneamente per impegni privati: John e Fabio per sostenere gli esami di diploma di violino e Carl (che nel frattempo aveva cominciato anch’egli a collaborare con la nuova Macchina) per un viaggio in America.

A quel punto, e siamo circa nei primi mesi del 1972, Gianni Caia e Steve Stogel rimasti discoccupati, raggiungono Sabadini nella nuova Macchina che finalmente acquisisce un’identità stabile (Caia, gli Stogel, Sabadini e Montaldo) e parte in tournèe con Mia Martini.
Nel mese di febbraio però, un destino crudele spezzerà la loro carriera. Ricorda così, il chitarrista dei Libra Nicola di Staso in un'intervista ad Augusto Croce del 2008:

"Ero amico di Gianni Caia, lavorava in un negozio di dischi a via Galli[...] Quando successe la disgrazia stavano suonando con Mia Martini. […] Tornando la notte stessa da una serata nel Sud Italia per poter assistere ad un concerto di un gruppo inglese a Roma - me lo ha raccontato il loro autista del furgone che conoscevo -, un colpo di sonno e... morirono Gianni e Steve […]. Una vera tragedia."


In sintesi, la cronaca dell'epoca riportò invece così l’incidente:


Gianni Caia, 20 anni e Steve Stogel 23, sono morti sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria nello scontro tra il loro pullmino e un autocarro. Gli altri due, Stefano Sabatini (18 anni) e Mauro Montaldo (20) sono ricoverati in gravi condizioni all’ospedale di Salerno. I quattro giovani provenivano da Siracusa dove sul loro Ford Transit erano diretti a Milano e a Torino dove erano stati ingaggiati per alcune serate. Nelle vicinanze di Salerno verso le 23, il Transit ha tamponato violentemente l’autocarro che lo precedeva".

Fabio Cammarota Gianni e Steve morirono sul colpo mentre Mauro e Stefano vennero soccorsi dall’autista dell’autocarro Emilio Panfili e portati all’ospedale di Salerno grazie a auto di passaggio. Per Stefano i medici si riservarono la prognosi e al momento il solo Mauro venne dichiarato guaribile in 40 giorni.

Questo è quanto ci è dato di sapere su quel terribile evento.


Non molto tempo dopo, venne organizzato un concerto al Piper per ricordare gli amici scomparsi ed aiutare economicamente le loro famiglie: in particolare la mamma di Gianni, all'epoca in stato di grave difficoltà economica.

È chiaro che ricomporsi in un momento del genere non fu una cosa facile, ma con grande forza d'animo Sabatini e Carl Stogel ricostruirono un gruppo per partecipare al concerto di Caracalla nell'autunno del 1972, con il batterista Giovanni Liberti e il sassofonista Stefano Cesaroni: fu l'ultima volta dei "Free Love"
I soli Liberti e Sabatini avrebbero formato i Kaleidon l'anno successivo.


L'incidente ebbe gravi ripercussioni anche su Mia Martini che da quel momento in poi, acquisì la tristemente nota patente di iettatrice. Mimì raggiungerà Gianni e Steve il 12 maggio del 1995 seguita da Carl Stogel che ci ha lasciato nell'autunno del 2004.

Banco del Mutuo Soccorso - “Ciò che si vede è”, registrato il 12 maggio 1992

Memorabile concerto del Banco del Mutuo Soccorso al Palladium di Roma il 12 maggio 1992.

La band festeggiava 20 anni di carriera; il concerto venne filmato, una parte fu utilizzata per il “VHS” (poi DVD), “Ciò che si vede è”, per la regia di Paolo Logli, che tornerà a collaborare con il Banco per i testi di “Transiberiana”.

Di tutto un Pop…

Wazza

Registrazione del concerto che Il Banco Del Mutuo Soccorso tenne al Palladium di Roma il 12 maggio del 1992.

Il Banco del Mutuo Soccorso è uno dei gruppi chiave del rock progressive italiano: le loro esibizioni sono accolte sempre da una schiera di appassionati, segno evidente di coerenza e onestà artistica che pochissimi altri gruppi italiani possono vantare. 

Vittorio Nocenzi (tastiere), Rodolfo Maltese (chitarra), Francesco Di Giacomo (voce), Pier Luigi Calderoni (batteria) e Tiziano Ricci (basso), ripercorrono i migliori successi del gruppo.


La tracking list comprende:

In volo

R.I.P. (Requiescant in pace)

L'evoluzione

Moby Dick

Il giardino del mago

750.000 anni fa...l'amore

Non mi rompete





sabato 11 maggio 2024

Woodstock- l'11 maggio del 1970 usciva "Woodstock: Music from the Original Soundtrack and More"


Usciva l'11 maggio 1970 il triplo album "Woodstock: Music from the Original Soundtrack and More", colonna sonora dell'omonimo film sui tre giorni di "peace, music & love" più importanti della musica rock.

Per avere altre tracce del concerto bisognerà aspettare molti anni.

Singolare la storia legata alla copertina proposta a fine articolo. 

All'epoca un disco introvabile, solo d'importazione e dal costo elevatissimo per le tasche di noi "pischelli".

Di tutto un Pop…
Wazza


 Joe Cocker

 Jimi Hendrix

 Jefferson Airplane





I Jefferson Airplaine concludono la maratona notturna iniziando a suonare alle 08.00 del mattino di domenica.
Attirati dalla musica due ragazzi si mettono in piedi avvolti in una coperta, scambiano qualche parola, sorridono e si abbracciano.
Stanno assieme da qualche mese e non sono esattamente due "veri hippy": Bobbi Kelly è una ragazza di campagna impiegata di banca e Nick Ercoline uno studente costretto a svolgere due lavori per pagarsi il college.

Burk Uzzle, un giovane fotografo che occasionalmente collabora con Newsweek, fa appena in tempo a fare qualche scatto per immortalare il momento.
Uno di quegli scatti diventerà, ad insaputa dei protagonisti, la copertina ufficiale del leggendario disco (multiplatino) "Woodstock: Music from the Original Soundtrack and More" e la fotografia "ufficiale" di un'intera generazione.

Tanto è andato perduto di quel 1969: passioni e ideologie, l'esistenzialismo romantico, l'innocente ingenuità del movimento hippy, la rivoluzione del sapere, il confuso ardore dei movimenti anti-Vietnam, la Summer of Love, Dennis Hopper e Peter Fonda, Jack Kerouac ed i beatnik, il femminismo, la psichedelia, le lotte per i diritti civili... ma non Nick e Bobbi.
Loro sono stati insieme sino a due anni fa, quando Bobbi è mancata: hanno avuto due figli.

I "Tre giorni di pace e amore" di Woodstock sono diventati semplicemente "una vita".
Non hanno mai chiesto soldi per quella foto, solo un ingrandimento dell'originale da tenere in casa, dimostrando di aver conservato gran parte dello spirito hippy che aveva animato quella generazione.

Bobbi Kelly Ercoline è mancata lo scorso marzo, all'età di 72 anni.