Il Blog di MAT2020 (estensione del web magazine)
La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
giovedì 2 maggio 2024
Il compleanno di Walter Calloni
mercoledì 1 maggio 2024
Habelard2 – "Macchie Di Inchiostro Su Carta Sensibile"-Commento di Luca Paoli
Habelard2 – Macchie
Di Inchiostro Su Carta Sensibile (2024)
Di Luca Paoli
Avevamo lasciato il prolifico polistrumentista Sergio Caleca col
suo progetto Habelard2 giusto qualche
mese fa con la rivisitazione del suo primo disco come Habelrad2 “Qwerty”,
intitolato per l’occasione “Qwerty 2023 Remix”(la mia recensione su
mat2020 (http://mat2020.blogspot.com/search?q=habelard2).
Ed eccoci ad ascoltare il nuovo lavoro (è il
tredicesimo album) intitolato “Macchie Di
Inchiostro Su Carta Sensibile”, più spostato verso sonorità prog
sinfoniche con le tastiere sono protagoniste.
Il titolo del disco si ispira a un progetto mai
decollato che includeva fotografie e poesie. L'album rappresenta un ritorno
alle radici del prog e del rock sinfonico, con composizioni originali,
arrangiamenti complessi ed una grafica curata dallo stesso artista. La
registrazione è avvenuta tra il 2023 e il 2024 a Milano.
Dodici sono le tracce (tutte strumentali) che
compongono il gustoso menù del disco, tutte composte, suonate, arrangiate e
registrate dal polistrumentista che dimostra, ancora una volta, di avere ottime
frecce da scagliare sul mondo del prog.
Il lavoro si apre con “Ostinatoin(e)sistente”, molto vario che pesca anche nel classico e dimostra
tutta la sua qualità compositiva e strumentale.
Le chitarre elettriche introducono, con deciso
ritmo, la title track “Macchie d'inchiostro su carta sensibile”;
poi le tastiere rivestono con gusto sinfonico tutto il brano.
“Noblesse oblige” è aperta da
accordi di pianoforte affiancati prima dall’organo e poi dalla sezione ritmica
… molto suggestivo il coro che dà ulteriore corpo al brano.
Ancora le chitarre introducono “Il conflitto”, che vede protagonisti anche il fagotto oltre al supporto
dei synth; i cambi di umore rendono molto suggestivo il brano e l’arpeggio di
chitarra ricorda certi passaggi dei Genesis.
Il pianoforte di nuovo protagonista
nell’introduzione di “Coda di rondine” (lo stesso Caleca racconta
che è stato preso da una improvvisazione del 1980) … ancora cambi di tempo con
le chitarre e l’organo ben supportati dalla sezione ritmica.
“Interludio III extra large” pesca
dallo stesso presente in Qwerty, ma con una veste sonora diversa e decisamente
con una ritmica più decisa; la nuova veste del brano lo rigenera e rende più
attuale.
Chitarra arpeggiata e basso ad aprire “La polvere sotto il tappeto” … anche qui si alternano momenti pacati ad
altri più decisi sempre all’insegna del miglior prog sinfonico … ottima
l’orchestrazione anche col contributo del synth, lo stesso che apre “Il Tempio”, che alterna momenti vivaci e più pacati dove con un
interessante lavoro al mellotron, con i fiati a rendere l’atmosfera più corposa
e drammatica.
Ancora il pianoforte sugli scudi in “Col senno di poi”, che in seguito viene affiancato dall’organo e dalla
sezione ritmica … anche qui gli umori variano creando sempre alta l’attenzione
di chi ascolta.
Chitarre, archi e flauto imprimono un marchio
decisamente classicheggiante a “L'Ablazione Del Tartaro” ma è
solo questione di attimi perché il cambio di tempo è in agguato ed arriva ad
imprimere ritmo e corpo dove flauto, viola chitarre diventano protagoniste.
Siamo quasi giunti alla fine di questo ottimo
lavoro; giusto il tempo di gustarci “Terra bruciata” e “Il contagio” che confermano la qualità artistica di Sergio Caleca e la sua
abilità nel far convivere il classico con il rock, sempre con raffinatezza
esecutiva trasportando nel presente, con suoni ed arrangiamenti attuali, un
sound che ha radici già dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso.
Se siete sensibili alle raffinatezze e se vi
piace il bello nella musica questo disco fa sicuramente per voi.
Quando al concerto del 1° maggio (2013) ci si emozionava
Vittorio, com'è tornare su un palco così importante e ricco di significato, come quello del 1° Maggio?
Anche dopo tanti anni è sempre un'emozione grande e intensa. Nonostante il tempo possa inflazionare i luoghi, le idee, ci sono certe cose che rimangono intatte e sempre ricche di significato. Quella che si celebra oggi è la festa del lavoro, e mai come in questo periodo il lavoro rappresenta per il nostro Paese una vera e propria emergenza: ecco quindi che questo evento assume una importanza ancora più speciale.
Manca poco alla vostra esibizione. Francesco, cosa avete preparato e quali sorprese avete in serbo per la vostra attesissima performance?
Ricevere l'invito a partecipare a
questo evento ci riempie sempre di grande gioia. Salire oggi sul palco è un
omaggio sia al nostro gruppo ma anche a tutto il progressive italiano, così
come i grandi protagonisti che ne fanno parte, oggi come allora. Ci esibiremo
in un medley che ripercorre proprio i tratti salienti di questo genere e saremo
accompagnati dalla Grande Orchestra Rock. Ci sono grandissimi musicisti, come
ad esempio Roberto Angelini, Fabrizio Bosso, Stefano di Battista, Federico
Poggipollini, James Senese, Maurizio Solieri e molti altri. Ma non ci
intratterremo molto, perché più l'apparizione è breve, più grande è il mistero.
Lo abbiamo detto, il Primo Maggio non è solo musica. C'è anche un forte massaggio sociale e politico dietro... cosa ne pensate a riguardo?
(Francesco): Si tratta indubbiamente di un giorno di festa, ma non deve e non può essere solo questo. Per dirla terra terra, non si può buttare tutto in caciara. È un evento meraviglioso ma i ragazzi che vengono qui devono averne la giusta consapevolezza: non possono sapere solo dalla televisione che la rappresentano il 38% della disoccupazione, devono sapere cosa succede, cosa c'è davvero dietro alla “festa del lavoro”. Voi giovani siete la speranza di questo Paese e abbiamo bisogno della intelligenza di ciascuno di voi.
(Vittorio): Il ruolo della musica sta
anche in questo. Serve proprio per veicolare anche i messaggi di critica
sociale. D'altronde, uno degli elementi che fa della musica una cosa speciale è
anche quella forza evocativa che ti fa sognare e soffrire, piangere e gioire; e
quindi, anche riflettere e pensare.
martedì 30 aprile 2024
Anandammide – “Eura”-Commento di Alberto Sgarlato
Anandammide – “Eura”
(2024)
Sulatron Records
di Alberto Sgarlato
Michele Moschini, polistrumentista
italiano che vive in Francia, ha da poco consegnato alle stampe un secondo
capitolo del suo progetto Anandammide, a
quattro anni di distanza dall’esordio “Earthly Paradise”, del 2020.
In realtà, la parola “esordio” in questo caso
è relativa esclusivamente agli Anandammide, appunto: perché il nome di
Moschini, sulla scena musicale italiana e internazionale più alternativa, è ben
noto da decenni.
L’ideatore e compositore definisce il genere
di questo secondo album, intitolato “Eura”,
come “folk psichedelico utopico”. E sinceramente ci permetteremmo di aggiungere
una ulteriore parola a questa definizione: ed è “cosmopolita”; sia per le
vicende personali, di italiano all’estero, di Michele Moschini, sia perché il
nutrito team di collaboratori conta attorno a lui musicisti e tecnici italiani,
inglesi, francesi e svedesi. E, in un periodo purtroppo tristemente buio,
drammatico e denso di tensioni internazionali come quello che il Pianeta Terra
sta vivendo in questi anni recenti, è bellissimo respirare veramente un’aria
“utopica e cosmopolita”, come quella che affiora dalle dieci, intense,
splendide tracce di “Eura”.
Esattamente: l’opera è concepita proprio come
un vinile di un tempo, con cinque tracce per facciata di varie lunghezze. E
tutto suona molto vintage, tra deliziosi intarsi di strumenti acustici, corpose
armonie vocali maschili e femminili, struggenti vagiti di sintetizzatori
analogici proto-progressivi e tremolanti tappeti di string-machines.
Il nostro Moschini si prodiga tra chitarre, tastiere d’epoca di vario tipo e batteria, oltre che al canto; ben coadiuvato da una formazione che (dato statistico interessante) annovera molteplici “quote rosa”: la cantante Lisa Isaksson, la flautista Audrey Moreau, la violinista Stella Ramsden. La “squadra” è completata da Sebastien Grignon (violoncello) e due bassisti che si avvicendano: Lelio Mulas e Pascal Vernin. Infine, Lorenzo Castigliego dona un cameo solista chitarristico alla title-track. Come si può capire da una line-up così variegata, non siamo di fronte a una vera e propria band, ma più a un “progetto modulare”, nel quale svariati ospiti sono funzionali alle esigenze creative di Michele Moschini e al suo cantautorato folk/psych/prog. Ovviamente, per questioni logistiche, le registrazioni sono avvenute in varie città europee e sapientemente amalgamate tra loro da David Svedmyr (mixaggio) e da Oscar Larizza (mastering finale).
E partiamo dunque con “Carmilla”:
un inizio tra il folk irlandese e il ricordo di autori come Donovan o Cat
Stevens sfocia, attorno al secondo minuto, in una affascinante e solenne
digressione tastieristica.
“A song of greed” è, per chi scrive questa recensione, uno dei picchi dell’album, con quella sua splendida, lunga introduzione strumentale canterburyana, mentre il cantato a due voci evoca certi Renaissance.
“Post atomic reverie”, caratterizzata da
un gran lavoro di flauto e violoncello, è – ancora una volta – in elegante
equilibrio tra folk e prog, grazie anche agli arpeggi e ai tappeti delle
tastiere, che restano più sulle retrovie.
I tappeti del Mellotron affiancato dal
violoncello e un basso energico e pulsante, fanno di “Phantom Limb”
uno dei capitoli più prog-rock dell’intera opera e, di nuovo, uno dei più
riusciti.
“I am a flower”, dopo un inizio
molto intimista e malinconico, ci porta verso un finale “cameristico” giocato
tra tastiere e strumenti ad arco, un ipotetico ponte attraverso la storia del
“dream rock”, tra il Robert Wyatt degli anni ‘70, i Mercury Rev di fine anni
‘90 e il Sufjan Stevens di oggi.
La title-track apre quella che possiamo considerare la seconda facciata dell’opera. E la partenza del brano è una delle più “orchestrali” di tutto il lavoro, tra archi, flauti e sintetizzatori. Il cantato femminile, unito a questi robusti arrangiamenti rock e barocchi allo stesso tempo, evoca remotamente i Curved Air, oltre ai già citati Renaissance. Meraviglioso, a due minuti circa dalla fine, l’intervento chitarristico di forte sapore hackettiano.
“The orange flood” è invece uno dei momenti più legati alla psichedelia più cupa, tra suggestioni barrettiane e pinkfloydiane degli esordi.
“Lullaby n.2”, con i suoi arpeggi di chitarra, sposta la bussola dal folk inglese a un sound da rock-ballad più a stelle e strisce, persino con impalpabili echi di Boston, Styx degli esordi e Pavlov’s Dog.
“Dream n. 1” è una traccia intrisa di grande malinconia, ancora con lievi sfumature legate al Canterbury sound nelle linee melodiche (Caravan, Hatfield & the North).
E ci salutiamo con “The
anchorite”, episodio profondamente intimista ma di grande potenza evocativa
che, in qualche modo, rappresenta un po’ la summa stilistica dell’album.
Concludendo: Michele Moschini è un autore
dalla penna decisamente raffinata. La padronanza di molteplici strumenti,
l’evidente preparazione musicale, non solo in termini tecnici ma anche di
conoscenza di tanti linguaggi diversi dagli anni ‘60 a oggi, e la capacità di
circondarsi di ottimi collaboratori per offrire arrangiamenti sempre variegati,
fanno sì che abbia saputo crearsi una sua cifra stilistica personalissima,
elegante e riuscita. E questo ottimo album ne è la prova.
TRACKLIST
01. Carmilla
02. A song of Greed
(secondo singolo)
03. Post-Atomic
Reverie
04. Phantom Limb
05. I am a Flower
06. Eura (primo
singolo)
07. The Orange Flood
08. Lullaby n.2
09. Dream n.1
10. The Anchorite
MUSICISTI
MICHELE MOSCHINI:
voce, chitarre, synth, organo, batteria
LISA ISAKSSON: voce
AUDREY MOREAU: flauto
STELLA RAMSDEN:
violino
SEBASTIEN GRIGNON: violoncello
LELIO MULAS: basso
PASCAL VERNIN: basso
LORENZO CASTIGLIEGO: assolo
di chitarra elettrica su Eura
Ricordando Rino Zurzolo
...per non dimenticare.