La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
mercoledì 13 novembre 2024
Il 13 novembre del 1973 usciva "Io sono nato libero", del BMS
martedì 12 novembre 2024
Commento all'album "All’improvviso-Canzoni lievi", di Vincenzo Greco
All’improvviso-Canzoni lievi
Vincenzo Greco
(Dialettica
Label-Tunecore-La Stanza Nascosta Records).
Sempre più spesso si abusa,
nelle recensioni dei romanzi, degli album, delle opere d’arte in generale, del
termine “necessario”. A proposito di “All’improvviso-Canzoni lievi” di
Vincenzo Greco (cantautore, artista
multimediale, scrittore) l’aggettivo “necessario” ci sembra di gran lunga
quello più calzante. In un periodo di spaesamento e malessere generalizzato, l’album
del cantautore di Vibo Valentia sembra essere un balsamo salvifico, si
ascoltino in particolare “Salvami” (qui in una nuova versione) e “Raccontami di
te”, che nel testo sembra avere degli echi di Battiato, autore molto caro a
Greco.
La voce inserita all’inizio del brano “…tornerà la luce” è tratta da una intervista a Vittorio Gassman, che racconta come sia uscito dalla depressione; estremamente suggestivo e di grande impatto è il finale cantato, techno, che suona quasi come un mantra. Particolarmente apprezzabili sono i momenti essenzialmente strumentali, i tre intermezzi e il finale aperto.
Le due riletture (“Sidùn” di De André e “Parigi” di Enzo carella) sono entrambe eccelse: e non è cosa da poco riuscire a “toccare” De André senza essere tacciati di iconoclastia. Apprezzabile anche la scelta di “Parigi”, tributo a un cantautore troppo a lungo dimenticato e ultimamente (finalmente! Si veda anche lo spettacolo Avincola canta Carella) oggetto di riscoperta.
In definitiva, con “All’improvviso- canzoni lievi” Vincenzo Greco sembra dirci con Novalis, che «Ogni malattia è un problema musicale; ogni cura è una soluzione musicale».
E sembra dircelo con un album new-wave, prezioso nei testi e nelle musiche. Scusate se è poco.
TRACKIST
Compie gli anni Neil Young...
lunedì 11 novembre 2024
Jethro Tull on November 10 and 11, 1991
Receiving KEY TO THE CITY at Rhode Island, NY. With Ian Anderson and Jethro Tull
On November 10 and 11, 1991, during the American Catfish Rising Tour, Jethro Tull held two concerts in New York, at the Paramount Theater.
Chrissy Steele, a Canadian rock singer, also from the Chrysalis stable, opens their concerts.
Before the concert, at the offices in Rhode Island, Ian Anderson is given the keys to the city.
Of all a Pop...
Wazza
LETHE: Il cavaliere inesistente-Ma.Ra.Cash Records-Commento di Valentino Butti
LETHE:
Il cavaliere inesistente
Ma.ra.cash
records
2024
ITA
di Valentino Butti
Ben ritrovati!
Dopo più di trent’anni
dall’esordio, pubblicato dalla Mellow Records nel 1993 (“Nimphae”), i Lethe riescono finalmente a coronare il loro sogno
e quello del loro membro fondatore e cantante, Stefano Fornaroli, venuto
a mancare proprio nel settembre del 1994, a cui l’album è dedicato. Le
tematiche del concept e le liriche erano state, infatti, già elaborate da
Stefano nei primi anni ’90 e la band aveva già proposto, seppur con diversi
arrangiamenti, l’intera storia dal vivo.
La dolorosa perdita dell’amico unitamente a
vicende personali, non hanno consentito al gruppo di completare l’opera se non
in questo 2024. La perseveranza degli altri quattro membri storici, Lorenzo
Gervasi (tastiere), Valerio Vado (chitarre), Pietro Paganelli
(batteria) e Fabio Massimo Sanzo (basso), unitamente al cantante Giacomo
Balzarotti (nel gruppo dal 1999) ed alla flautista Serena Bruni
(nella line up dal 1996), ha permesso la pubblicazione de “Il cavaliere
inesistente”, liberamente tratto dal romanzo di Italo Calvino.
Ospiti del progetto, alle voci, Alessandro
Corvaglia ed Eleonora Mosca. Molto curato il libretto allegato, con
la necessaria sinossi (in italiano ed in inglese) e le liriche (pure queste
presenti nelle due lingue). La storia si sviluppa attraverso dodici brani per
quasi settanta minuti di durata. Notevole, senza dubbio, lo sforzo
intellettuale per elaborare testi adeguati alla (complicata) trama e notevoli
pure le atmosfere che il gruppo ha saputo creare malgrado, a mio avviso,
qualche pecca nella scelta dei suoni, soprattutto della batteria. Un
progressive “classico”, impregnato di suggestioni anni Settanta, ma con un
piglio moderno che dovrebbe accontentare sia gli inguaribili nostalgici sia
coloro che prediligono un sound più attuale. Un album di piacevole ascolto,
magari leggendone attentamente le liriche per farci trasportare nel mondo di
Agilulfo, di Rambaldo, di Bradamante. Tra i brani segnaliamo l’iniziale “Mura
di fuoco” (Carlo Magno passa in rassegna le sue truppe pronte alla
battaglia) con flauto, tastiere e chitarra che si prendono, a turno, la scena;
la drammatica “Animali cristiani” (la cruenta battaglia tra Mori e
Cristiani ha lasciato sul campo il sangue dei numerosi morti) con lo splendido
cameo alla voce di Eleonora Mosca (forse avrebbe “meritato” maggior spazio…);
la malinconica “Bradamante” raffinato strumentale guidato dal flauto di
Serena Bruni; l’enfatica e dal buon punch “L’elmo d’oro” (si narra, qui,
della sconfitta dei cavalieri del Graal grazie, anche, all’aiuto che
Torrismondo offre ai contadini). “Il cavaliere inesistente”, come ogni concept
che si rispetti, va, però, assaporato nella sua interezza per poterne cogliere
le sfumature ed apprezzarne appieno le liriche, davvero di alto livello.
Nel complesso l’album ci ha ben impressionato: le melodie sono ben fatte, gli interventi “solisti”, mirati e di qualità. Ci spiace rimarcare (ma non conosciamo a fondo le motivazioni…) che alcune scelte in fase di registrazione e missaggio non convincono completamente e non rendono completa giustizia alle numerose buone idee proposte.
Yes: era il novembre del 1970
Dopo essere stato pubblicato in UK a
luglio, usciva a novembre del 1970 negli stati Uniti “Time and Word”, secondo album degli Yes.
Fu l’ultimo con la formazione
originale comprendente il chitarrista Peter Banks, e anche l’ultimo dove erano
incluse anche delle “cover” di brani di altri artisti.
Di tutto un Pop…
Wazza
domenica 10 novembre 2024
Ricordando Greg Lake, nato il 10 novembre...
Avrebbe compiuto
gli anni oggi, 10 novembre, Greg Lake,
che forse ora sta suonando con l’amico Keith!
Happy
Birthday Greg!
Wazza
Ricordiamo che... Greg Lake è stato un cantante, bassista, chitarrista e produttore discografico britannico.
Famoso per
essere stato membro e cofondatore dei King Crimson ed Emerson, Lake &
Palmer, è tra i musicisti più influenti del panorama del progressive degli anni
Settanta.
Si è spento il 7 dicembre
2016, dopo una battaglia contro una malattia incurabile.
venerdì 8 novembre 2024
SAMURAI OF PROG: The time machine-Commento di Valentino Butti
SAMURAI
OF PROG: The time machine
Seacrest Oy-2024-Multinazionale
Di Valentino
Butti
Il viaggio nel tempo ha
affascinato non solo scrittori di fantascienza ma anche musicisti che, in
singoli brani o in album interi, hanno affrontato questo argomento. Dopo
essersi dedicati ai racconti di Grimm, ai viaggi di Gulliver, a Robinson
Crusoe, alla maschera di ferro ed altro ancora, i Samurai
of Prog si confrontano pure loro con questo tema con “The time machine”. Per la seconda volta, dopo
“A quiet town” (sempre uscito nel 2024), i due fondatori del progetto, Kimmo
Pörsti e Marco Bernard, “consegnano” le chiavi di musica e testi a Marco
Grieco, promosso ormai a membro fisso della band.
“The time machine” si
sviluppa su otto tracce e, come da precisa scelta, prevede innumerevoli
musicisti ospiti, tra i quali spiccano, per l’occasione, Roine Stolt (chitarra
solista in “Apes”) e Christina Booth (voce in “Future”).
Attraverso la macchina del tempo il protagonista “vive” periodi fondamentali
della storia dell’umanità: dal “nostro” essere “scimmioni” (senza ragione?)
passando per gli orrori della guerra con gli occhi di un legionario romano o,
ancora, incontrando la genialità di Leonardo da Vinci oppure di Albert
Einstein. Senza dimenticare l’epocale sbarco sulla Luna, le battaglie di Nelson
Mandela e, per finire, uno sguardo speranzoso, di una donna in dolce attesa,
rivolto al futuro. L’album, il cui ricavato dalle vendite sarà destinato ai
bambini ucraini, si apra con i dieci minuti della title track. Ben interpretata
dal cantante ucraino Serge Tiagniryadno, è un bel pezzo sinfonico ingentilito
dal flauto di Giovanni Mazzotti e dal violino di Maria Kovalenko (altra artista
ucraina). “Apes” si contraddistingue per la chitarra di Stolt e per il refrain
di facile presa, vede protagonista le tastiere di Marco Grieco, sia quando
lavoro di cesello, quasi sottotraccia, sia quando si lascia andare ad un
funambolico “solo” che fa molto new- prog. “The last legionary” (con cambio di
cantante, ora il microfono è affidato a Bo- Anders Sandström), oltre al
notevole “solo” di synth, propone un’aria “marziale” conferita dalla tromba e
dal corno francese a ricordare proprio una battaglia campale. L’incontro con
Leonardo in “Painting Monna Lisa” è in pieno stile rinascimentale o, meglio,
“rock rinascimentale”, con tanto di accenno della “Bourrée” di J.S. Bach. Un
balzo in avanti di cinque secoli ed è la volta di “E=mc2” ed incontro con
Einstein. Alla voce, questa volta, è Clive Nolan, autore di una performance
molto sentita e sofferta. Seguono due brani strumentali: “Moon” e “Madiba’s
life”. Notevole il crescendo emotivo del primo, tra timore, ansia, speranza ed
infine appagamento. Un bell’esercizio per solo pianoforte il secondo.
Christina Booth dona la sua voce nella conclusiva “Future”. Saliscendi sonori
che assecondano il cantato ed un finale veramente emozionante con le tastiere
di Grieco in grande spolvero unitamente alla chitarra elettrica di Tony
Riveryman. Si chiude qui, dopo quasi un’ora, questo “the time machine” che va
annoverato tra le migliori produzioni dei “Samurai” degli ultimi anni.
Nell’attesa, che non sarà certamente lunga, di un nuovo interessante capitolo.
Usciva l’8 novembre 1971 “Led Zeppelin IV
Usciva l’8 novembre 1971 “Led Zeppelin IV”, quarto album della band. Il disco vendette un’enormità di copie: tra i brani inclusi l’intramontabile “Stairway to Heaven”.
Di tutto un Pop…
Wazza
L'8 novembre del 1971 i LED ZEPPELIN pubblicano il loro quarto album, comunemente denominato "Led Zeppelin IV". Sin dalla sua pubblicazione è risultato essere uno degli album di maggior successo della storia, con oltre 23 milioni di copie vendute nei soli Stati Uniti, dove ha totalizzato 260 settimane in classifica. È stato stimato che nel mondo l'album abbia venduto circa 35 milioni di copie.
Il materiale, già abbozzato nel
dicembre del 1970 presso gli Island Studios di Basing Streets, fu perfezionato
quando il gruppo si spostò nella villa vittoriana di Headley Grange, come
avvenuto già per le registrazioni di "Led Zeppelin III": questa
volta, però, venne usato lo studio mobile dei Rolling Stones. L’album si apre
con l’urlo selvaggio di Plant nella celebre “Black Dog”: un brano giocato sulla
discontinuità, un continuo botta e risposta tra la voce e il giro di Page,
impreziosito da imprevedibili variazioni ritmiche e da sonorità fortemente
blues. L’intro di Bonham apre “Rock and Roll”, il secondo pezzo, destinato a
diventare uno dei più rappresentativi della band, che nasce quasi per caso da
una improvvisazione in studio. Un giorno, mentre Bonham stava suonando la
ritmica di “Good Golly Miss Molly”, Page ci costruì sopra la base del pezzo, a
cui poi sarebbero stati aggiunti la voce di Plant e il piano di Ian Stewart.
Con “The Battle Of Evermore” si
inizia a navigare in acque diverse, veleggiando verso sonorità uniche. Vero e
proprio capolavoro del folk, la ballata è caratterizzata dalla splendida voce
di Plant che, in un intersecarsi di violini e chitarre, per la prima ed unica
volta duetta con un artista esterno al gruppo, Sandy Denny, che impreziosisce
ulteriormente un brano da brividi. Ma è la quarta traccia il capolavoro, vero e
proprio monumento, del gruppo: “Stairway To Heaven”.
Dal silenzio emerge quell’arpeggio di
chitarra, da manuale di storia della musica, che trasporta subito in un mondo
enigmatico e mistico, seguito dai fiati che danno un tocco di magia. Ed ecco la
voce malinconica di Plant cantare parole di una poesia indiscussa, alternandosi
a sezioni di sola chitarra e fiati fino all’entrata di Bonham che, sicuro e
deciso, fa riscendere il pezzo sulla scala del Rock. Ed è proprio quando il
brano sembra aver dato già tutto che arriva il solo di Page: con le dita sulla
tastiera della Telecaster, donatagli da Jeff Beck, tratteggia un solo quasi
cantato che rappresenta l’apice emotivo del pezzo, e dà il via al correre della
voce di Plant fino alla conclusione della canzone.
Il dipinto a olio rustico del XIX
secolo sulla parte anteriore dell'album è stato acquistato da Robert Plant da
un negozio di antiquariato a Reading, Berkshire, in Inghilterra. Il palazzone
urbano del XX secolo sul retro della copertina apribile dell'LP è Butterfield
Court a Eves Hill, Dudley, Inghilterra.
giovedì 7 novembre 2024
Compie gli anni Joni Mitchell
IMMAGINI FORNITE DA WAZZA
Compie gli anni Joni Mitchell, cantautrice, musicista e pittrice canadese-americana. È ampiamente considerata una delle cantautrici più influenti di tutti i tempi. Le sue canzoni sono note per i testi personali e le composizioni non convenzionali, che spesso incorporano elementi di jazz e musica del mondo.
Nata Roberta Joan Anderson il 7 novembre 1943 a Fort Macleod, Alberta, Canada, Mitchell ha iniziato a cantare e suonare la chitarra nei suoi primi anni dell'adolescenza. Si è trasferita a Toronto all'inizio degli anni '60 per intraprendere una carriera musicale e ha rapidamente acquisito la reputazione di talentuosa performer e autrice. Il suo album di debutto, “Song to a Seagull”, è stato pubblicato nel 1968 ed è stato un successo di critica e commerciale.
Negli anni successivi, Mitchell ha pubblicato una serie di album classici, tra cui Clouds (1969), Ladies of the Canyon (1970), Blue (1971), For the Roses (1972), Court and Spark (1974) e The Hissing of Summer Lawns (1975), tutti lavori che l'hanno consacrata come una delle voci più importanti e innovative della musica popolare.
Nella seconda metà degli anni '70, Mitchell ha iniziato a sperimentare con diversi stili musicali, incorporando elementi di jazz, rock e musica del mondo nel suo lavoro. Ha iniziato a concentrarsi anche sulla sua carriera di pittrice. Nonostante la ridotta produzione musicale negli anni '80 e '90, Mitchell è rimasta un'artista acclamata dalla critica.
Nel 2002, Mitchell ha subito un aneurisma cerebrale che le ha impedito di suonare la chitarra o cantare. Tuttavia, ha fatto una ripresa straordinaria e, negli ultimi anni, è tornata alla vita pubblica. Nel 2023, celebra il suo 80esimo compleanno con l'uscita di un nuovo album live, “Joni Mitchell Archives - Volume 9: Live at the Canterbury House, 1967”.
Joni Mitchell è una delle artiste più celebrate e influenti della sua generazione. La sua musica ha ispirato innumerevoli altri artisti e le sue canzoni continuano a risuonare con il pubblico di tutto il mondo.
In particolare, Mitchell è nota per le sue canzoni intime e autobiografiche, che spesso trattano temi come l'amore, la perdita, la natura e la politica. I suoi testi sono caratterizzati da un uso poetico del linguaggio e da una profonda introspezione. La sua musica, invece, è spesso sperimentale e innovativa, incorporando elementi di diversi stili musicali.
Joni Mitchell è stata insignita di
numerosi premi, tra cui nove Grammy Award, un premio Oscar per la migliore
canzone originale e un premio Juno.
È
stata inserita nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1997.
mercoledì 6 novembre 2024
Prog Exhibition- Roma, 5-6 novembre 2010...14 anni fa!
Ebbene sì… sono passati quattordici anni dal
“fantastico” evento chiamato Prog Exhibition…
Un dovere ricordarlo, con le recensioni di allora…
Prog Exhibition - Roma 5-6 novembre 2010
Hello boys and girls,
era dagli antichi fasti degli anni '70 che non si teneva un festival, raduno, così importante, per qualità e partecipazione di artisti.
Tutto questo ha un nome, "Prog
Exhibition", che si tenne a Roma il 5-6 novembre 2010, grazie
all'intuito e professionalità di Iaia De Capitani, organizzatrice, e Franz Di
Cioccio, direttore artistico.
A Roma, in due giorni, si celebrarono i 40 anni del pop-progressive italiano, con la partecipazione di tutti i musicisti che hanno fatto la storia del prog nostrano, più nuove proposte. La grande trovata fu quella di accoppiare un "big" straniero ai gruppi italiani, quasi un interscambio tra le varie culture e stili musicali.
Per la gioia dei 2000 fans accorsi a serata da tutta Italia, e molti stranieri, si esibirono sul palco accoppiate del tipo Premiata Forneria Marconi + Ian Anderson, Banco Del Mutuo Soccorso + John Wetton, Osanna + David Jackson, Nuova Raccomadata + Thijs Van Leer, Tagliapietra, Pagliuca, Marton+David Cross.
Furono due serate eccezionali, sia dal punto musicale che da quello della condivisone, tre generazioni che convivevano perfettamente sotto lo stesso tendone, c'erano i "reduci" di Villa Pamphili, di Caracalla, del Parco Lambro, giovanissimi che non avevano mai visto tanta "grazia di Dio", tutti assieme, emozioni indescrivibili per due giorni.
Purtroppo, le edizioni che sono seguite non hanno avuto lo stesso successo, non per la qualità dei musicisti, ma per il disinteressamento del popolo prog (!!??): in Italia possiamo avere il "Grande Fratello" 20° edizione, ma non siamo preparati, per cose, culturalmente più complesse!
Buona la prima...
Personalmente ho un bellissimo ricordo di tutto il periodo festival (prima-durante-dopo), uno degli eventi musicali più belli che abbia mai visto.
Ancora tanto di cappello a Iaia per questi concerti, che saranno sempre nella mente e nella storia di chi ha partecipato
Wazza
Commento di Alberto Sgarlato…
Nel 1970, anno di grandi fermenti musicali internazionali, mentre sull’Isola di Wight si contendevano (letteralmente, come rivelano gli aneddoti narrati dagli stessi musicisti) il palco Hendrix, Jethro Tull, Miles Davis, i neo-costituiti Emerson Lake and Palmer e tanti altri grandi, in Italia, a Roma, per la precisione, si avvicendava sul palco di Caracalla tutta la crème di quel movimento che all’epoca fu semplicemente battezzato “nuovo pop italiano”, e che negli anni conquistò una planetaria popolarità, dal Giappone al Sud America, con il nome di Italian Progressive Rock.
Venerdì 5 e sabato 6 novembre 2010, le Edizioni Musicali Aereostella di Iaia De Capitani hanno voluto commemorare il quarantennale di quello straordinario evento con una due-giorni di progressive rock presso il Teatro Tendastrisce di Roma, la Roma ProgExhibition Festival. Tra il foltissimo pubblico accorso, anche delegazioni, con bandiere e striscioni, dagli USA, dal Messico, dalla Costarica, dal Giappone e da quasi tutte le nazioni europee.
5 novembre
L’arduo compito di rompere il ghiaccio è affidato ai Synesthesia, in rappresentanza di quel recente filone che fonde certe atmosfere del prog con la violenza del power-metal. Il connubio esalta i più giovani tra i presenti ma fa un pò storcere il naso ai vecchi puristi.
Dopo di loro salgono sul palco i genovesi La Maschera di Cera, band nata all’inizio di questo decennio ma con l’intento di riproporre in maniera fedele nelle proprie originali composizioni le sonorità (e persino la grafica e il packaging) dei grandi concept album prog dell’epoca. La loro performance è potente e grintosa, in particolar modo da parte del front-man Alessandro Corvaglia, che si scatena con grande teatralità, ma purtroppo la band è in assoluto quella più penalizzata in termini di suoni. Soprattutto le tastiere di Agostino Macor, sempre molto attento nel ricreare timbriche vintage, sono soffocate quando invece meriterebbero di emergere con vigore.
Iniziano le band storiche: i primi sono The Trip, che propongono materiale dai due loro album più famosi, cioè Caronte” e Atlantide”. Sul palco ritroviamo il tastierista Joe Vescovi, il cantante (e originariamente bassista, ma oggi purtroppo vittima di problemi articolari) Wegg Andersen e il drummer Furio Chirico (anche degli Arti & Mestieri), oltre a due giovani comprimari alla chitarra e al basso, rispettivamente Fabrizio Chiarelli e Angelo Perini.
L’esibizione, seppur penalizzata da qualche inconveniente tecnico iniziale (inevitabile nei festival, quando molte band devono condividere una stessa strumentazione sul palco), è talmente emozionante da far sgorgare più di una lacrima tra chi, nel pubblico, li aveva amati in gioventù e da lasciare a bocca aperta i più giovani. Serpeggia, però, un pò di delusione, per non aver visto chiamare sul palco dalla band, neanche per un saluto, il primo drummer Pino Sinnone, che pure era presente tra il pubblico.
Dopo i Trip salgono sul palco Tony Pagliuca (tastiere), Aldo Tagliapietra (voce, basso, chitarra 12 corde) e Tolo Marton (chitarra) che, pur essendo tutti membri storici de Le Orme, non possono esibirsi con questo nome per una questione di diritti (probabilmente dovuta a qualche attrito con il batterista Michi Dei Rossi, che detiene il nome e lo utilizza con un’altra line-up). Anche in questo caso il materiale eseguito è quello degli album più amati ma, soprattutto, più progressivi nelle sonorità, come Collage e Felona & Sorona". Proprio nei momenti finali di Felona & Sorona i musicisti vengono affiancati sul palco da David Cross, violinista elettrico dei King Crimson, che dà un ulteriore valore aggiunto in termini di sonorità magiche a una già ottima esibizione.
"Le Orme" (concedeteci di chiamarle
così), dal canto loro, ricambiano il favore eseguendo Exiles insieme a Cross. La calda, corposa
voce di Tagliapietra, assai simile a tratti a quella dei vari cantanti
avvicendatisi nella band guidata da
Robert Fripp, è davvero assai a suo agio nel repertorio crimsoniano, ed il
risultato non lascia adito a perplessità.
Chiude la prima serata la Premiata Forneria Marconi. All’inizio i musicisti sono visibilmente indispettiti da alcuni inconvenienti tecnici, in particolare all’ampli del basso, ma come abbiamo già detto in un festival fa tutto parte del gioco.
Di Cioccio salta e corre su e giù per il palco come un ragazzino ma, diversamente a molti show recenti, siede più spesso alla batteria (che condivide con l’ottimo Pietro Monterisi) e lascia a Franco Mussida la maggior parte delle parti cantate, riservandosi piccoli e delicati momenti intimisti come Harlequin, Out of the Roudabout e la blueseggiante Maestro della Voce, dedicata al compianto Demetrio Stratos che, nell’intro affidata al basso, viene anche ricordato da Patrick Djivas con una citazione da Luglio Agosto Settembre (nero).
Ma il momento sicuramente più emozionante per
i fans, che si alzano in una standing ovation, è quando la PFM divide il palco
con Ian Anderson, dei Jethro Tull. Il flautista/cantante/chitarrista inglese fa
il suo tradizionale ingresso sul palco in posa da fauno (con la gamba destra
alzata e appoggiata al ginocchio sinistro) e manda in visibilio la platea.
Tutti sono emozionati, a cominciare dallo stesso Mussida che, con voce rotta
dalla commozione, ricorda: “Avevo 22 anni quando saltai sulla sedia esattamente
come voi, vedendoli per la prima volta dal vivo. Immaginate come mi sento in
questo istante”. Con Ian la PFM esegue una irrinunciabile Bourée, poi My God (dall’album
“Aqualung”) ma, soprattutto, una spettacolare versione della Carrozza di Hans nella quale Anderson al
flauto non si risparmia. Un momento indimenticabile per tutto il pubblico
presente.
6 novembre
L’apertura è affidata ai Periferia del Mondo, band molto giovane ma che può già vantare collaborazioni illustri (da Mauro Pagani a Rodolfo Maltese, e molti altri) nei propri album. Il loro sound è una riuscita contaminazione tra prog-rock dalle forti aperture romantiche, jazz-rock e influenze etniche arabeggianti e mediorientali, con in primo piano i molti fiati (sax alto, tenore e soprano, clarinetto, flauto) del cantante Alessandro Papotto. Il pubblico mostra di apprezzare la solida e rodata band come merita.
Dopo di loro, salgono sul palco gli Abash, che danno una ulteriore sterzata al sound della serata verso atmosfere multietniche, con forti influenze anche della musica popolare del Sud Italia. Purtroppo, anche nel loro caso tante finezze a livello di sonorità, come certi piccoli tocchi di percussioni sapientemente posti a colorare qua e là, si perdono un pò’ nell’impasto generale dei suoni, ma il loro show è comunque trascinante e coinvolgente.
È la volta di una band che nel 1972 lasciò una traccia tangibile, con l’album Per un mondo di cristallo, nella scena prog romana: la (Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. La voce del cantante nonché ‘pittore volante’ (come recita il titolo del nuovo album) Luciano Regoli è ancora più potente, alta, brillante e versatile che negli anni ’70, frutto di un lungo periodo di studio e di esercizio. Con lui sul palco, della vecchia formazione, troviamo Nanni Civitenga, che all’epoca del primo album era il chitarrista e oggi è invece un bassista dalle quotazioni molto elevate (ha lavorato, tra gli altri, con Ennio Morricone).
Il loro ospite sul palco è Thijs Van Leer, flautista e organista dei Focus, con il quale eseguono The house of the King, di certo il brano più famoso della band olandese (fu usato anche dalla Rai come sigla) e Palco di Marionette, dall’album dei RRR “Per un mondo di cristallo. Ma oltre a Van Leer un altro ospite, totalmente a sorpresa e ingiustamente non citato sui manifesti, divide il palco con la Raccomandata: è Claudio Simonetti, dei Goblin, che delizia il pubblico con un’introduzione pianistica d’alta scuola, in cui cita anche alcuni dei suoi temi più famosi ( Profondo Rosso su tutti), prima di porsi totalmente al servizio della band con risultati notevoli, anche nelle interazioni con il mattacchione Van Leer, che intervalla le sue performances ad alto livello tecnico con bizzarre gag ironiche.
Salgono sul palco gli Osanna e, senza nulla voler togliere a
nessuna delle straordinarie band avvicendatesi nel corso del festival, sono
forse il miglior live-act di prog-rock italiano di sempre: potenti,
trascinanti, travolgenti, energici come un fiume in piena, precisi e perfetti
come una macchina, un ben oliato macchinario in cui ogni suono è al suo posto e
non può essere che lì.
Gli Osanna, poi, hanno un ulteriore valore aggiunto: i due straordinari ospiti che li affiancano sul palco, David Jackson dei Van Der Graaf Generator (sax sopranino, soprano, alto, tenore, flauto e tin whistle) e Gianni Leone del Balletto di Bronzo (all’organo Hammond) non sono due star di passaggio che si sono preparati un paio di pezzi, sono ormai da parecchio tempo due membri effettivi della band e sanno interagire con gli altri musicisti in ogni dettaglio. E il pubblico dà prova di apprezzare tutto ciò con un’ovazione tra le più esplosive di questi due giorni.
Chiude la rassegna il Banco del Mutuo Soccorso, con la formazione rinforzata da Papotto, dei Periferia del Mondo, che integra perfettamente le sue parti di fiati con gli arrangiamenti storici della band. Il Banco, però, come è spesso nello stile di questa formazione dal vivo, sceglie di chiudere il festival con una punta di malinconia, che traspare dagli amari monologhi di Di Giacomo e di Nocenzi sul tema Come eravamo, chi siamo, cosa saremo.
Francesco‘Big Di Giacomo denuncia apertamente alcuni problemi vocali, ma ciononostante la sua performance è egregia. Il repertorio, come da tradizione, è soprattutto quello dei primi tre album, con poche incursioni leggermente più recenti, come Il Ragno (dall’Lp Come in un’ultima cena”), mentre in generale è Darwin l’album più saccheggiato.
L’ospite speciale del Banco è John Wetton,
bassista-cantante che ha militato in alcune tra le più grandi formazioni degli
anni ’70: King Crimson, Family, Uriah Heep, Uk, Roxy Music, Asia e
collaborazioni con diversi artisti, da Phil Manzanera, a Martin Orford, a Peter
Banks, e non solo. Con Wetton il BMS esegue Leave me alone (edizione inglese
della famosa Non mi rompete, dall’album
"Io sono nato libero”) e
Starless dei King Crimson.
Conclusioni
Non una semplice rassegna di concerti, ma un evento con qualcosa di unico che resterà nel cuore di ogni vero amante del rock progressivo italiano e mondiale. Meravigliosa l’atmosfera che si respirava non soltanto sul palco, ma anche prima e dopo le due serate, grazie anche alla straordinaria disponibilità verso i fan dimostrata dalla maggior parte degli artisti italiani e internazionali coinvolti.
Ottima, infine, l’idea di alleviare i tempi
morti del cambio palco con interviste e presentazioni di libri, condotte dal
giornalista Donato Zoppo o dalla stessa
Iaia De Capitani. Molte e interessanti le opere letterarie citate, tra
cui il bel giallo “Com’era nero il vinile", di Glauco Cartocci, il volume
antologico a molteplici firme Prog 40,
dedicato ai quarant’anni di storia di questo genere musicale in ogni sua
accezione e sfumatura, e un’autobiografia di Bill Brudford.