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mercoledì 1 ottobre 2025

IL SEGNO DEL COMANDO-“Sublimazione - live”, commento di Andrea Pintelli

    IL SEGNO DEL COMANDO        
“Sublimazione - live”

Di Andrea Pintelli


sublimazióne s. f. [dal lat. tardo e mediev. sublimatio -onis]. – 1. a. L’azione, il fatto di sublimare, di rendere o di essere reso sublime: s. di un affettodi un sentimentone’ pubblici infortuni ... si vede sempre un aumento, una s. di virtù (Manzoni); tendere alla s. spirituale per mezzo dell’ascetismo e della contemplazioneb. In psicanalisi, termine introdotto da S. Freud (ted. Sublimierung) per indicare la trasformazione di impulsi istintuali primitivi, soprattutto sessuali, a livelli superiori e socialmente accettabili, e comunque di carattere non sessuale, come processo prevalentemente inconscio operante nella produzione artistica e creativa e nella sfera religiosa; v. anche neutralizzazione (nel sign. 8). 2. In fisica e chimica, fenomeno consistente nel passaggio di una sostanza dallo stato solido allo stato aeriforme direttamente, senza passare per lo stato liquido (il fenomeno inverso prende il nome di brinamento, sebbene nell’uso corrente si usi spesso, anche per questo, il termine sublimazione); calore di s., la quantità di calore che occorre somministrare a un grammo di sostanza per ottenerne la sublimazione; tensione di s., la tensione di vapore della sostanza allo stato solido: generalmente bassa a temperatura ordinaria (meno che per alcune sostanze come lo iodio, la canfora, l’antracene, ecc., che perciò sublimano facilmente), cresce con la temperatura stessa (fonte: Treccani).

Questi i significati ufficiali del termine Sublimazione, scelto da Il Segno Del Comando come titolo del suo disco dal vivo, appena pubblicato, che corona i suoi trent’anni di attività. Prodotto insieme a Nadir Music, è una summa del percorso artistico che ha portato questa band a diventare il cardine del movimento dark prog. I brani in esso contenuti, che ripercorrono la loro carriera dandogli ulteriore lustro attraverso reinterpretazioni da manuale, sono stati registrati il 31/01/2025 a Pesaro presso lo spazio Webo, nell’ambito dell’evento “Gala delle Nobili Sinfonie”, nel quale il gruppo ha condiviso il palco con il Balletto di Bronzo e Mad House. Le bonus tracks sono state registrate il 30/10/2022 durante un’esibizione al T-Blok (Olanda). Sensi e contenuti ufficiosi, invece, questo nuovo capitolo della saga ISDC ne contiene tanti altri: purificazione, crescita, evoluzione, metamorfosi, intensità, energia, interscambio, condivisione, trasformazione, passione, esperienza, dinamismo, profondità. Di fatto “Sublimazione - live” è un alto rito collettivo, come d’altronde ogni altro concerto de Il Segno Del Comando sa essere, dove viene abbattuta realmente (e senza retorica) la distanza tra musicisti e pubblico, creando un’unica entità capace di incanalare forza, volitività, rinnovamento dello spirito. Parteciparvi è darsi e aprirsi, siccome quel che si riceverà sarà tanto e prezioso. 

Il Domenicano Bianco (dall’album che porta lo stesso titolo) dà il via alla cerimonia, e la carica è massima fin da subito. Dinamismo e fantasia dominano la scena, in cui svetta la matura ugola d’acciaio di Morello con la sua carica drammatica che rendono appieno l’atmosfera del brano. La granitica sezione ritmica gira a mille, col basso di Banchero protagonista indiscusso del suono. Sulla Via della Veglia (da “L’Incanto Dello Zero”) è qui maggiormente corposa rispetto alla versione su album, con la band coesa come mai prima d’ora. Grandissima potenza, infinita poesia si abbracciano nel donarsi incondizionatamente come fossero ardenti amanti. Le pause di questa traccia rendono le ripartenze ancor più decise e teatrali. Nel Labirinto Spirituale (anch’essa da “L’Incanto Dello Zero”) pone l’ascoltatore nei meandri più rarefatti del repertorio dei nostri, in cui trepidazione e inquietudine rafforzano la parte psichica. Il testo della canzone è, come noto, un gioiello e l’interpretazione qui fornita da Morello è delicata e parecchio sentita, esaltandone gli accenti. Eterea e limpida, giunge a compimento (anche) grazie alla penetrante melodia dell’assolo di chitarra. La Bianca Strada (da “Il Domenicano Bianco”) è suggestione infinita, in cui le tematiche dark prog risplendono al loro massimo. Il lavoro presentato dalle tastiere è una manna, in cui sembra di tuffarsi in un mare di espressività armonica, proseguito successivamente dai sinuosi intrecci chitarristici che elevano la traccia al proprio apice. La Taverna dell’Angelo (da “Il Segno Del Comando”) è uno dei cavalli di battaglia del gruppo e qui viene ripresentata con nuovissimi abiti in cui le tinte oscure hanno il sopravvento. Profuma di contemporaneità, pur nella sua veste di evergreen, in cui i famosi contrasti fra potenza e introspezione sono attivamente aumentati dalla partecipazione emotiva dei musicisti che emerge con empatia. Straordinaria. Il Segno Del Comando (dall’album omonimo), simbolo e marchio indelebile, è una cavalcata che dal vivo sfiora i quindici minuti, ma che travalica il tempo in ogni sua forma e dimensione. Brividi immediati a ogni suo ascolto, per tanti e vari motivi, è di fatto un’invocazione da un’altra dimensione che arriva fino a noi. Il pathos che viene prodotto da questa versione è uno zenith, un vortice sonoro che abbraccia e travolge, grazie al lavoro collettivo dei vari: chitarre al fulmicotone sia in fase ritmica che in quella dedicata agli assoli, immense tastiere infuocate, basso e batteria che creano mondi sonori differenti ad ogni passaggio, ritmi che cambiano repentinamente, una voce significativa che non ripete ma dona nuova vita al pezzo. Gli elementi ci sono tutti per questo sabba d’oggiogiorno. Aseità (da “L’Incanto Dello Zero”) è Diego Banchero e il suo basso come prolungamento della propria anima. Esplorativo verso gli archetipi, voce dell’essenzialità, cuore e mente vissuti in un equilibrio mai scontato. Un incanto che si fa incantesimo. Il Mio Nome È Menzogna (anch’essa da “L’Incanto Dello Zero”), altro concerto, altra dimensione. Il brano viene spogliato dagli orpelli (comunque non inutili, s’intende) e reso in forma più scarna rispetto alla versione in studio, ma pare un bene siccome emergono i suoi pregi. Asciutto e immediato, è episodio di grandissima presa. Missa Nigra (da “Il Segno Del Comando”) è un altro dei brani più emblematici della band. Denso, tenebroso, fosco, ha il titolo che dice tanto (non tutto); è una chiara evocazione in musica, i cui paesaggi sonori sono fra i più avvincenti e intriganti che si conoscano in ambito dark prog. Coraggio e fermezza per prenderne parte, allucinante com’è; un viaggio non senza pericoli al quale non ci potrà mai abituare, ma pieno di fascino e quindi di sicura presa. Il Calice Dell’Oblìo (da “L’Incanto Dello Zero”) è reso essenziale, maggiormente diretto, di fatto un potente episodio tratto da un grandissimo disco. Il gruppo ne rende una prospettiva diversa, in cui completa il messaggio grazie a un’interpretazione di assoluto vigore.

La dimensione live aiuta ogni artista, ma in questo caso siamo di fronte a un processo di trasformazione e miglioramento continuo che coinvolge tutte le percezioni. Personalmente avrei desiderato trovare pezzi anche da “Der Golem” e “Il Volto Verde”, giusto per completare il quadro del loro cammino, ma sono sicuro che questo live farà comunque la felicità degli ammiratori de Il Segno Del Comando, e sarà altresì una succulenta occasione di conoscenza per nuovi ascoltatori. Apprezzo l’aprirsi a nuovi orizzonti stilistici dei nostri, perché solo attraverso il progresso c’è incremento. Lunga vita a questa band, dunque, nella speranza che i dormienti emotivi possano (ri)svegliarsi per venire a popolare il nostro stuolo di appassionati di questa meravigliosa realtà musicale che non ha pari in nessun luogo e che è fonte d’ispirazione per tanti e diversi epigoni. Abbracci diffusi.

 

Tracklist:

1.   Il domenicano bianco

2.   Sulla via della veglia

3.   Nel labirinto spirituale

4.   La bianca strada

5.   La taverna dell’angelo

6.   Il segno del comando

7.   Aseità

8.   Il mio nome è menzogna (bonus track)

9.   Missa nigra (bonus track)

10.                  Il calice dell’oblio (bonus track)

 

Componenti da traccia 1 a 7:

Diego Banchero – basso

Davide Bruzzi – chitarra e tastiere

Roberto Lucanato – chitarra

Riccardo Morello – voce

Beppi Menozzi – tastiere

Paolo Serboli – batteria

 

Componenti da traccia 8 a 10:

Diego Banchero – basso

Davide Bruzzi – chitarra e tastiere

Roberto Lucanato – chitarra

Riccardo Morello – voce

Fernando Cherchi – batteria

 

Artwork: Paolo Puppo.

Mixing e Mastering: Diego Banchero.

Master montage: Tommy Talamanca (Nadir Music).

Photo by Ago Sauro.

Prodotto da Il Segno del Comando e Nadir Music.

Musiche e testi di Diego Banchero (eccetto La Taverna dell’Angelo e Il Segno del Comando, testi di Mercy). 

Per contatti col sottoscritto: andrea.pintelli@gmail.com

 

 

Genesis, 1° ottobre 1972


Correva l'anno (quanti ne sò passati !!!) 1972, precisamente il 1° ottobre, a Newcastle City Hall. I Genesis erano nel pieno del "Foxtrot Tour", quello in cui Gabriel sorprese i suoi amici, presentandosi sul palco, con la "testa di volpe" e costumi vari (la prima volta fu a Dublino), e ciò cambiò radicalmente il modo di fare concerti dei Genesis. Gli altri non erano inizialmente d'accordo, come si legge nella varie interviste dell’epoca, ma poi tutto si appianò, visto che l'abilità di Gabriel diede una nuova potenzialità ai concerti e, soprattutto, fece aumentare di uno zero le tariffe d'ingaggio!


 Phil Collins nella sua autobiografia "No, non sono ancora morto":

"Prima di questo non cerano stati indizi del fatto che Peter volesse cominciare a travestirsi. Come, più avanti, non ci avvertirà della maschera da fiore che indosserà per la parte di Willow Farm in Suppers Ready, e nemmeno per la scatola triangolare che si mette in testa per la parte successiva, Apocalypse in 9/8. Le vediamo anche noi nello stesso momento in cui le vede il pubblico. Lui non vuole saperne di decidere in gruppo, in questi casi. (...) Queste sono le cose molto fuori dagli schemi che fa ora Peter Gabriel sul palco con i Genesis. Dopo Dublino, la signora Volpe ricompare in ogni concerto, sempre nello stesso punto. Ci abituiamo presto, ed è meglio per noi: una foto di Peter con il nuovo costume finisce dritta sulla copertina del Melody Maker, e fa aggiungere uno zero alla tariffa di ingaggio dei Genesis. Passiamo da trentacinque sterline a trecentocinquanta sterline a serata."
Iniziava l'era Gabriel!

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Wazza




martedì 30 settembre 2025

Rovescio della medaglia: 30 settembre 1973



Nel numero di Ciao 2001 del 30 settembre 1973 si parla del Rovescio della Medaglia.
Si parla delle novità, dell'ingresso di Franco di Sabatino (ex Paese dei Balocchi) alle tastiere, che sposta il gruppo su atmosfere più classicheggianti e meno "hard", del nuovo album "Contaminazione", un concept con gli arrangiamenti curati dal maestro Luis Enriquez Bacalov, non nuovo a queste esperienze  avendo già lavorato con New Trolls e Osanna.
"Contaminazione", tra il rock e l'orchestra sinfonica, è considerato uno dei migliori album del Progressive Italiano...


…di tutto un Pop
Wazza




lunedì 29 settembre 2025

I Grand Funk Railroad il 29 settembre del 1973

Il 29 settembre del 1973, i Grand Funk Railroad raggiungono il primo posto nella classifica dei singoli statunitensi con "We're An American Band".

Di tutto un Pop…

Wazza


Il settimo album della band, “WE'RE AN AMERICAN BAND” (1973) 


Registrato in soli tre giorni ai Criteria Studios di Miami, prodotto dal talentuoso Todd Rundgren, è un altro esempio della vertiginosa velocità con cui si è sviluppato il rock.

L'album è stato n° 2 negli Stati Uniti e ha ottenuto un disco d'oro un mese dopo la sua uscita, merito alimentato dal successo del singolo “We're An American Band”.


We're an American band… 

We're an American band… 

We're coming to your town, we'll help you party it down. 

We're an American band… 

Parole semplici e dirette, copertina scarsa ed essenziale. È così che si presenta uno dei migliori dischi mai realizzati a marchio USA da uno degli ultimi gruppi che riempì gli stadi americani negli anni ‘80.

I Grand Funk nacquero come gruppo hard-blues col nome di “Grand Funk Railroad”, grazie al lead-singer e chitarrista Mark Farner, il bassista Mel Schacher e il batterista Don Brewer, tre ottimi musicisti che vengono troppo spesso dimenticati. Più tardi vi si affiancò anche il tastierista/cantante Craig Frost, il quale portò nel gruppo una vena di hard rock.

La band è famosa più che altro per le spettacolari performance live, al punto tale che la critica assegna loro il titolo di “loudest band in the world”, ovvero la band più rumorosa del mondo.

“We’re An American Band” è un disco dal facile ascolto, diretto ed immediato, che parla di feste, donne, alcool e della vita “on the road”, aprendo proprio con la title-track, una fantastica autocelebrazione di una band spaccaculo, il cui ritmo ha il potere di coinvolgerci fin dalle prime note. Il pezzo, scritto e cantato dal batterista, diventa subito uno dei capisaldi della band, immancabile nella scaletta dei concerti successivi. Il ritmo trascinante non è da meno in “Stop Lookin’Back”, i cui fraseggi di chitarra e basso si intrecciano in un alternarsi di linee melodiche, colorate dagli accenti di organo e dei piatti, con tanto di piccolo solo finale di batteria, una perla incastonata fra l’oro della canzone.

Dopo il discutibile episodio di “Creepin”, si arriva alla strepitosa “Black Licorice”, uno dei pezzi più travolgenti del disco, che si fa ascoltare ai massimi livelli, in cui Frost dona dei vocalizzi degni di Ian Gillan dei tempi d’oro, e un assolo di tastiera che non ha niente da invidiare a John Lord in suono e abilità; alla fine del pezzo, paragonabile ad un’esplosione collettiva, la band ci lascia di nuovo respirare, con un pezzo lento ma intenso, “The Railroad”, dove si riconosce finalmente la voce del grande Mark Farner, col suo accento americano e la sua calda timbrica, suggellata dalla parte corale. Per ogni amante del basso elettrico, suonato in modo ritmico e sincopato, “Ain’ t Got Nobody” è una vera chicca, una di quelle canzoni che ascolterei all’infinito, senza stufarmi mai… “Walk Like A Man” è un bel pezzo, superata solo da “Loneliest Rider”, il brano più emozionante del disco. Mark Farner, la cui nonna era indiana, scrisse questa canzone come dedica all’etnia che da sempre fu vittima di persecuzioni da parte dei coloni bianchi.

Tra le bonus track, le canzoni “Hooray” e “The End” (in cui è percepibile un’influenza Deep-Purpleliana) sono di ottimo livello, avrebbero dovuto essere parte del disco originale. La All American Band per eccellenza sfornò questo disco nel 1973, e rimane tutt’oggi uno dei più belli dell’intera discografia, purtroppo poco conosciuto.





Led Zeppelin in Giappone nel settembre del 1971


Si concludeva il
29 settembre 1971 il primo tour dei Led Zeppelin in Giappone.
I “ragazzi” rimasero estasiati nel vedere quanto il paese fosse tecnologicamente avanzato dal punto di vista industriale.
Jimmy Page racconta che tornarono in Inghilterra carichi di telecamere e hi-fi, visto il basso costo del materiale.

Il profitto del concerto di Hiroshima (27 settembre 1971) fu devoluto in beneficenza:


Sembra che durante il tour Robert Plant venne alle mani con John Bonham per un vecchio debito… l’intervento del manager Peter Grant mise le cose a posto!
Di tutto un Pop!
Wazza





Compie gli anni Jean-Luc Ponty

Compie gli anni oggi, 29 settembre, Jean-Luc Ponty, violinista francese che spazia tra jazz-fusion-rock prog.

Fu uno dei primi ad usare il violino elettrico.

Collabora per molti anni con Frank Zappa, e nel 2014 forma una band con Jon Anderson, ex cantante degli Yes

Happy Birthday Jean-Luc!

Wazza


Jean-Luc Ponty (Avranches, 29 settembre 1942) è un violinista francese, interprete di musica jazz fusion.

Dopo gli studi classici al conservatorio di Parigi, si dedicò al jazz guidato dalla passione per Miles Davis e John Coltrane. Ha lavorato con Stéphane Grappelli, la Mahavishnu Orchestra, Elton John, Franco Cerri, Alan Sorrenti partecipando all'album Aria, Daryl Stuermer e, soprattutto, con Frank Zappa.

Nel 1977 ha precorso l'uso del violino elettrico a cinque corde, con una corda più bassa accordata sul do. Ha anche utilizzato violini a sei corde (Violectra) con corde di basso in do e fa. Ponty è stato anche tra i primi a combinare il violino con MIDI, e distorsori.

Nel 2005 Ponty ha formato il "supergruppo" TRIO! con il leggendario bassista Stanley Clarke ed il virtuoso del Banjo Béla Fleck. 








domenica 28 settembre 2025

Compie gli anni Paul Burgess


Compie gli anni il 28 settembre, Paul Burgess, batterista.

Ha suonato con 10cc, Camel, Magna Carta, in trio con Nicol & Kemp.

Ma quello che ha “valorizzato” il suo curriculum e il fatto che nel 1982 sostituì Gerry Conway, nei Jethro Tull, per il tour nord americano.

Happy Birthday Paul!

Wazza

Trio insieme a Ken Nicol (Albion Band) e Rick Kemp (Steeleye Span)

Il 28 agosto 1982 al Festival di Nostell Priory (Theakston Music Festival), debuttava come batterista nei Jethro Tull Paul Burgess, batterista dei 10cc (che ad Anderson non piacevano Ndr).

Resterà fino alla fine del tour americano (ottobre 1982).

Paul tornerà ancora in studio con i Jethro Tull, nel 1985 per suonare sul disco “A Classic Case”, una raccolta dei brani dei Tull riarrangiati da David Palmer, e suonati insieme alla London Symphony Orchestra.

 







Fine Usa Tour 1982 – Paul Burgess è il terzo da sinistra



sabato 27 settembre 2025

Il settembre musicale londinese nel 1968

Outside the Marquee Club, London, 1968


Nel 1968 questo era il programma dei locali in UK, nello specifico il Marquee di Londra.

Ora solo cover e tribute (qualcuna con il sostantivo official) band. 

Nessuno vuole più investire idee nello spartito, il “copia incolla” oggi è di moda anche nella musica. 

Quando si saranno “estinti” gli ultimi interpreti, il rock diverrà come la musica classica, e continuerà ad essere suonata da “bravi esecutori” 

Nella speranza di una nuova “alba musicale” 

Di tutto un Pop…

Wazza


Jethro Tull abituè al Marquee

The Who perform at the Marquee Club, London



 

venerdì 26 settembre 2025

John Strada - Basta Crederci Un Po’, di Luca Paoli



John Strada - Basta Crederci Un Po’

 (Crinale, 2025)

di Luca Paoli

Undici canzoni come specchi incrinati, dove la vita si riflette senza filtri


Release album: venerdì 7 novembre 2025


A volte ascoltare un disco è come aprire un quaderno che non ti aspetti: pieno di scarabocchi, note a margine, emozioni che ti colpiscono senza chiedere permesso. Così è stato per me con Basta crederci un po, il nuovo lavoro di John Strada

C’è sempre un confine sottile tra il bisogno di raccontare e quello di salvarsi, e qui quel confine diventa il filo invisibile che attraversa ogni brano: tra la vita quotidiana, le illusioni, la rabbia e le piccole speranze che ci portiamo dentro.

Il disco respira tra l’Emilia e l’America, tra la canzone d’autore italiana e le radici rock’n’roll che da sempre accompagnano Strada. Ma c’è qualcosa in più questa volta: come racconta lo stesso Strada, c’è stata una svolta nel suo modo di scrivere, guidata da nuove ispirazioni, letture e ascolti. Ha scritto, distrutto, rivisitato, e solo quando si è reso conto di avere del buon materiale ha deciso di affidarsi a Don Antonio Gramentieri, un vecchio amico e produttore artistico, per trasformare quelle canzoni in un percorso coerente. Ascoltarlo è come entrare in quel percorso: tra familiarità e sorpresa, ogni canzone diventa un piccolo diario che non smette di parlare.

Attorno alla voce e alle chitarre di Strada si muovono la batteria di Diego Sapignoli, le tastiere di Nicola Peruch, le percussioni di Denis Valentini e i cori di Daniela Peroni e Laura Zoli. Un suono curato, essenziale, registrato a La Casina di Modigliana e rifinito da Ivano Giovedì al Waveroof di Castel Bolognese.

Ogni tappa della carriera di Strada sembra un tassello di un mosaico più grande. Dal progetto multidisciplinare di Dalla periferia dell’anima (2008), dove musica, racconti di Gianluca Morozzi e fotografie dipinte da Andrea Samaritani si intrecciavano in un’unica esperienza, fino al dvd live del 2010, che catturava l’energia dei concerti. Poi Live in Rock’a (2012), con la sua forza immediata, e Sangue e polvere, che ha raccontato il dolore e la resilienza dopo il terremoto emiliano. Non si può dimenticare il riconoscimento europeo per Meticcio (2014), l’apertura internazionale di Mongrel (2016), fino alla delicatezza acustica di Fra Rovi & Rose (2020). Ogni disco ha lasciato un segno diverso. Come se Strada stesse scrivendo un unico diario: corde di chitarra, parole, inchiostro. Ogni capitolo racconta un pezzo della sua vita e del nostro tempo.

I brani scorrono come pagine di un diario imperfetto, pieno di spigoli e annotazioni a margine. Basta crederci un po’ mi ha colpito subito. Un elettro-blues ipnotico che mette a nudo la finzione dei social: vite curate a tavolino, sorrisi costruiti. Ascoltandolo, ho pensato alle persone che conosciamo ogni giorno e a quanto ci raccontiamo versioni di noi stessi che non esistono davvero.

Ballando in città è un respiro leggero nel disco. Ti fa scivolare in un mondo sospeso, dove tutto sembra possibile e nessuno riesce davvero a rovinare i sogni. Mi ha fatto sorridere, e per un attimo ho dimenticato la gravità dei temi del disco.

Parlavo da solo è quasi un monologo interiore. Entrare in quella testa significa seguire dubbi, rimpianti, scoperte improvvise. Non è facile da seguire, ma ogni ascolto rivela piccole verità, frammenti che cercano una conclusione sempre in sospeso.

Non ti dirò ti amo parte ruvida, quasi a voler respingere, e poi sboccia in un ritornello fresco e luminoso. Non è mai sdolcinata. Parla di un amore imperfetto, fatto di gesti e dettagli, fragilità e onestà. L’ho percepita come una carezza inattesa, tra parole e silenzi.

Manca il respiro ti prende allo stomaco. È un pugno lento e inesorabile. Strada racconta la frustrazione di non essere diventati ciò che sognavamo da ragazzi, senza indulgere nel vittimismo. Rabbia e tenerezza si mescolano: la consapevolezza dei propri limiti diventa un sentimento vero, tangibile.

Girasoli è un brano silenzioso e pesante, che prende le mosse dalla storia di Federico Aldrovandi, il diciottenne ferrarese morto nel 2005 durante un controllo di polizia. John Strada sceglie di raccontarla con delicatezza e rigore, senza indulgere ma senza nemmeno trasformarla in slogan: la voce resta ferma, il dolore non viene attenuato, e la musica diventa un’ombra discreta che accompagna l’ascoltatore, costringendolo a riflettere sulla violenza, sulla paura e sull’ingiustizia che possono ancora attraversare le nostre vite.

La scuola è finita esplode in energia e leggerezza. I cori di ragazzi e ragazze portano il brio della gioventù, la voglia di libertà, di non piegarsi al mondo degli adulti. Ti fa battere il cuore e ricordare l’euforia di quei momenti in cui tutto sembrava possibile.

Amore social racconta delusione e attesa che non viene ricambiata. Lui aspetta, lei non arriva. Nella voce di Strada c’è tutta la fragilità e la speranza di chi si affida a un legame costruito a distanza. Ti fa sentire amore e vuoto nello stesso istante.

La vita va restituisce una sensazione di sospensione. Giorni uguali, promesse non mantenute, routine che non lascia scampo. È il racconto di un disadattato che osserva il mondo dalla sua finestra, senza illusioni, e ti porta con sé nel suo piccolo universo.

Giocattoli rotti è la ballata più dolorosa del disco. Rimpianti, ricordi, tentativi di aggiustare ciò che ormai è spezzato. Ogni ascolto lascia un peso, un’amarezza sottile, che si mescola alla bellezza della melodia.

Infine, “La tygre e l’agnello” chiude l’album con un colpo secco. Il ritmo incalzante e la voce parlata disegnano immagini forti. Il titolo richiama le poesie di William Blake (The Tyger e The Lamb), che interrogavano la doppia natura dell’essere umano, tra ferocia e innocenza. Qui quell’immaginario viene spostato nel presente: un racconto crudo sul femminicidio, senza risposte rassicuranti, solo un’inquietudine che resta addosso.

Basta crederci un po’ è un disco che guarda la realtà senza filtri, senza paura di alternare leggerezza e dolore. John Strada ci accompagna in un mondo che conosciamo bene: fragilità e illusioni, ma anche resistenza e speranza. Basta davvero crederci un po’? Forse sì. Almeno nella musica che non smette di raccontarci chi siamo.

E in quel racconto c’è qualcosa che va oltre le parole e le note: c’è lo spazio per fermarsi un attimo, per riflettere sulle nostre giornate, sui gesti imperfetti, sulle emozioni che cerchiamo di nascondere. Ascoltando questo album, ti accorgi che credere non è solo un atto di fiducia o ottimismo: è un modo di restare presenti, di continuare a osservare, amare e sorprendersi. In ogni canzone c’è la pazienza della vita che scorre, e la forza gentile di chi, come Strada, sceglie di raccontarla senza filtri, con sincerità, senza mai scadere nel semplice buonismo. Alla fine, Basta crederci un po’ ti lascia con la sensazione di aver percorso insieme un piccolo viaggio intimo, fatto di luci e ombre, di dolore e di dolcezza, un viaggio in cui riconosci te stesso ad ogni passo.


giovedì 25 settembre 2025

RocKalendario del secolo scorso – Settembre, di Riccardo Storti


 

RocKalendario del secolo scorso – Settembre

di Riccardo Storti

 

1955 10 settembre. Il primo successo di Chuck Berry, Maybelline, raggiunge la posizione più alta in classifica, il numero 5 nella Billboard Top 100. Quando Berry portò per la prima volta la canzone a Leonard Chess, il brano si intitolava Ida May, ma il proprietario della casa discografica pensò che fosse "troppo rurale". 

Così, notando una scatola di mascara sul pavimento dello studio, Chess esclamò: "E che cavolo! Perché non chiamiamo questa dannata cosa Maybelline?", modificando accortamente l’ortografia per evitare problemi con la nota azienda di cosmetici.

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1965 – Il 25 settembre negli USA balza al n. 1 dell’Hit Parade, la controversa Eve Of Destruction di Barry McGuire. Siamo in piena Guerra Fredda e il tema cupo e apocalittico del brano fu così divisivo da essere bandito dalla programmazione di alcune radio statunitensi. Pensate che la canzone fu inizialmente offerta ai Byrds, che però la rifiutarono, mentre i Turtles ne incisero una versione, pubblicata nel loro album di debutto del 1965 (It Ain't Me Babe), poco prima che fosse registrata quella di McGuire.

Il cantante, anni dopo,  ricordò che Eve of Destruction era stata registrata in una sola sessione di registrazione, un lunedì mattina (12 luglio), leggendo il testo scarabocchiato su un foglio accartocciato. Il giovedì successivo, alle 7 del mattino, ricevette una telefonata dalla casa discografica che gli consigliò di accendere la radio: quella canzone stava passando già in onda.

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1975 – È Settembre quando esce uno dei capolavori assoluti del jazz-rock italiano: La Valle dei Templi del Perigeo. La copertina resta un’icona e anche il disco è divenuto presto una pietra miliare tale da sevidenziare la maturità del gruppo. Dopo l’esordio di Azimuth e il bis con Abbiamo tutti un blues da piangere, questo nuovo disco impone il Perigeo all’attenzione di un pubblico sempre più vasto.

 Oltre al title track, si distinguono i guizzi frizzanti dell’opener Tamale e di Looping, l’ossessivo 5/4 di Il mistero della Firefly, l’intimismo da colonna sonora di Pensieri e di Alba di un mondo, i passaggi carioca di Cantilena e le evocazioni tra fusion e World Music nella conclusiva Un cerchio giallo. In line-up, oltre al consolidato quintetto (Biriaco, D’Andrea, Fasoli, Sidney e Tommaso), si aggiunge la presenza di Tony Esposito con le sue percussioni.

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1985 – 3 settembre. Steve McQueen sbarca in USA. No, non si tratta dell’attore, bensì dell’album della pop band inglese Prefab Sprout che, in primavera, aveva pubblicato il disco in Gran Bretagna, mentre l’uscita negli States mutò titolo in Two Wheels Good, probabilmente ispirandosi alla moto cavalcata dal cantante e chitarrista Paddy McAloon, ritratta in copertina.

Un album che vendette tantissimo grazie soprattutto ai singoli When Love Breaks Down, Appetite e Goodbye Lucille #1.

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1995 – 21 settembre, irrompe Buon compleanno Elvis di Luciano Ligabue. Abbandonato il ticket con la storica band d’appoggio dei Clan Destino, Liga balla da solo dando alle stampe un disco più vicino alle radici rock, blues, se non addirittura, folk rock: l’acustico e l’elettrico convivono placidamente tra ballad e r’n’r. 

Sarà un successo di vendite da paura anche grazie ad una serie di singoli (Certe notti, Viva!, Hai un momento, Dio?, Quella che non sei, Seduto in riva al fosso, Vivo morto o x e Leggero) che faranno da traino alla diffusione del 33 giri. Tra i musicisti, l’hammondista Pippo Guarnera, che alcuni di noi ricordano quale collaboratore dei Napoli Centrale e di Eugenio Finardi.

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