martedì 31 ottobre 2023

Città Frontale nell'ottobre del 1975

 CITTA' FRONTALE 1975: In alto da sinistra Paolo Raffone (tastiere), Enzo Avitabile (fiati), Massimo Guarino (batteria), Lino Vairetti (voce), Gianni Guarracino (chitarra). In basso accosciato un allora diciassettenne RINO ZURZOLO (basso e contrabbasso)


Usciva nell’ottobre 1975 l’album “El Tor”, primo ed unico disco del gruppo Città Frontale, nato dopo lo “scioglimento” degli Osanna.

Lino Vairetti lo presentava così: “Si racconta la storia di un individuo che è convinto di guarire la società conducendo una lotta solitaria, ma cadrà tra le braccia del sistema, che lo alletta con ricchezze e piaceri, trasformandosi in El Tor, in flagello quindi, e mietendo un sacco di vittime…

Un grande lavoro, da rivalutare e riscoprire per chi non lo conoscesse…

Di tutto un Pop.

Wazza








Pamela Guglielmetti: commento al nuovo album "Aleph"


 

Pamela Guglielmetti

Aleph 

(La Stanza nascosta Records, 2023)


Aleph”, quarto lavoro in studio della cantautrice Pamela Guglielmetti, sancisce un parziale cambio di direzione rispetto ai lavori precedenti dell’artista canavesana, sicuramente più tradizionali.

Un passo in avanti, merito del tocco sperimentale e, per certi versi, visionario del produttore e arrangiatore Salvatore Papotto, la cui impronta, saldamente presente nell’album, si innesta sulla iniziale narrazione del co-compositore Franco Tonso e regala ai brani un vestito prezioso e fortemente inedito.

La voce di Pamela Guglielmetti si riconferma espressiva ed emozionante, ricca di coloriture timbriche differenti, estremamente convincente nei toni bassi, sussurrati.

“Aleph” si pone come un quasi concept metafisico, nella ricerca di risposte autentiche a quesiti fondamentali della realtà.

Guglielmetti prende per mano l’ascoltatore (si ascolti, in particolare, “Eternità”) e lo accompagna in un viaggio interiore sofferto e intenso, una sorta di rito di passaggio che fa i conti con fisiologici fallimenti esistenziali (“Lascio che sia”) e mette di fronte alla necessità di un ribaltamento di prospettiva e di una crescita personale non procrastinabile. (“Alisha”, “Uomo di carta”).

Particolarmente riuscite, su tutte, “La quarta casa” e la fossatiana “Dio degli ultimi”, forse la migliore interpretazione di una Guglielmetti in stato di grazia.


 I DETTAGLI NEL COMUNICATO...

https://mat2020comunicatistampa.blogspot.com/2023/10/pamela-guglielmetti-e-uscito-il-20.html






venerdì 27 ottobre 2023

ACQUA FRAGILE - “MOVING FRAGMENTS”-Commento di Andrea Pintelli


ACQUA FRAGILE

“MOVING FRAGMENTS”

Di Andrea Pintelli


Il 20 ottobre è finalmente stato pubblicato “Moving Fragments”, il nuovo album dell’Acqua Fragile. A cinquant’anni di distanza dal loro omonimo LP d’esordio, i tre elementi originali Bernardo Lanzetti (voce solista, chitarra, Glovox), Franz Dondi (basso) e Pieremilio Canavera (batteria e voce), sono nuovamente affiancati da Stefano Pantaleoni (tastiere) e Rossella Volta (voce), oltre che da Claudio Tuma (chitarra), quest’ultimo alla sua prima collaborazione discografica con la band, ma già con loro da un paio di anni.

A sei anni da “A New Chant”, i nostri schiacciano sull’acceleratore e, pur mantenendo il loro stile assolutamente riconoscibile fatto di dolcezza e forza, stupende armonie vocali e melodie ricercate, insomma la loro attitudine prog, portano una ventata di rinnovamento grazie a fantasiose idee ben calibrate e azzeccate.

L’album è composto da nove brani, di cui sei in inglese, tre in italiano e uno strumentale e, in esso, trovano spazio ospiti di grande prestigio, quali Stef Burns alla chitarra, David Jackson al sax e flauto, Brian Belloni alla chitarra, Sergio Ponti alla batteria e Gigi Cavalli Cocchi alla batteria, nonché autore della splendida cover, la quale riporta gli argomenti trattati nelle canzoni. Interessante notare quanto sia importante e determinante lo sguardo verso il futuro della band: già dal nuovo logo lo si può intendere e carpire. Ottimamente prodotto da Dario Mazzoli, vede in Lanzetti il principale compositore, affiancato mirabilmente da Pantaleoni in tre brani.

Venendo ad essi, si parte davvero in quinta con “Her Shadow’s Torture”; dopo un intro di ampio respiro, arriva la soave voce di Bernardo Lanzetti, protagonista indiscusso del lavoro e leader nato. Inutile sottolineare nuovamente quanto la sua voce sia unica e migliori con gli anni, visto che di questo ne avevamo già parlato in passato, ma il vero miracolo resta la sua perseveranza, la dedizione, lo studio continuo e la cura che ha del suo strumento naturale. Il ritmo cadenzato e una serie di melodiose trovate sonore, pongono una nuova visione del progressive, ossia un nuovo modo di intenderlo, molto al passo coi tempi.

White Horse On Dope” coi suoi tempi dispari farà impazzire gli amanti del nostro amato genere e farà sobbalzare i neofiti. Potenza e poesia al servizio della musica. Notevole l’intervento di Burns alla chitarra, già avvezzo al prog, oltre che famoso per la sua famosa collaborazione col Vasco nazionale. Vorrei sottolineare, però, lo stupendo tappeto sonoro improntato da Stefano Pantaleoni, sempre più elemento cardine del gruppo.

Moving Fragments”, delicato pezzo di bravura che ne esalta il suo intreccio vocale, si apre poi verso un ritmo inusuale per l’Acqua Fragile, per far capire quanta ricerca ci possa essere in tre minuti di beltà.

Malo Bravo” ci riporta ad un’ambientazione più cara ai nostri, misteriosa e a tratti cupa, e utilizza la lingua italiana con un bel risultato complessivo. In questa traccia la teatralità cara alla band è ai massimi livelli. Altro elemento da omaggiare.

I A – Intelligenza Artificiale”, scritta tre anni fa quindi, in qualche modo, in anticipo netto rispetto a quanto sia ora argomento non plus ultra del nostro quotidiano, ha le maestose e imponenti voci di Bernardo e Rossella in primo piano. Il loro utilizzo, al servizio del profondo testo, ne esalta la sua bellezza. “Black Drone, altra song che fa dell’attualità il suo leit motiv, è subito inquietante, per poi sfociare in una sorta di spensieratezza di fondo che rende il tutto un gioco come, appunto, lo può essere un drone.

DD Danz”, il primo brano interamente strumentale mai apparso in un disco dell’Acqua Fragile, è stato composto da Pantaleoni e da solo potrebbe rappresentare un mondo intero: qui siamo oltre i generi musicali, così come qualcuno ce li ha imposti. Badate bene, non è in alcun modo slegato dal resto del disco, per quanto differente per approccio, anzi ne accresce la varietà e il suo significato. Grandioso.

Il Suono Della Voce”, potenziale singolo che le radio dovrebbero passare repentinamente, ha atmosfera rock vivace e trascinante, e la sua melodia arriva direttamente dagli anni Settanta. Potente e tirato, può essere un nuovo identificativo per questi immensi musicisti che ancora cercano (e trovano) nuove emozioni in sé stessi per regalarcele.

Limerence Ethereal” chiude il cerchio senza far calare il sipario su questo incantevole e affascinante disco, a tratti sorprendente. E lo fa con classe, in pieno mood Acqua Fragile: intro placida, proseguo drammatico, voce infinita, svolgimento romantico e suonato con sontuosa eleganza, ne fanno senz’altro uno dei punti fermi dei loro prossimi concerti, che attendiamo con gioia. Cavallo di battaglia immediato.

Per chi scrive (e ne ho scritto tanto, insieme ai miei inseparabili amici/colleghi Athos Enrile e Angelo De Negri) uno dei migliori gruppi di musica italiana di sempre, nonché una delle migliori espressioni del prog mondiale. Nel tempo, attraverso il tempo, eludendo il tempo. Abbracci diffusi.

 

Tracklist:

1 - “Her Shadowʼs Torture” (S. Pantaleoni/B. Lanzetti). Ospite Gigi Cavalli Cocchi alla batteria ma anche autore della copertina e del nuovissimo logo della band.

2 - “White Horse On Dope” (B. Lanzetti). Ospite il chitarrista Stef Burns.

3 - “Moving Fragments” (B. Lanzetti)

4 - “Malo Bravo” (B. Lanzetti). Ospiti Brian Belloni/chitarre e Sergio Ponti/batteria.

5 - “I A - Intelligenza Artificiale” (S. Pantaleoni/B. Lanzetti). Ospite Davide Piombino/chitarra 7 corde.

6 - “Black Drone” (B. Lanzetti). Ospiti, Gigi Cavalli Cocchi/batteria e David Jackson/sax e flauto.

7 - “DD Danz” (S. Pantaleoni). Strumentale.

8 - “Il Suono Della Voce” (B. Lanzetti)

9 - “Limerence Ethereal” (B. Lanzetti). Ospite Sergio Ponti/batteria






mercoledì 25 ottobre 2023

Racconti SottoBanco-"Come in un ultima cena"

Immagini del tour

Racconti SottoBanco

"Una cena con gli amici di sempre, un fatto abituale. Tutti più o meno rassegnati alla battuta scontata o ai discorsi già sentiti; un incontro che improvvisamente, però, diventa duro, violento, uno scontro frontale. Ciò accade quando uno dei presenti, senza preavviso, mette sul tavolo se stesso, il suo lasciarsi vivere, esprime con forza tutta la sua confusione, la sua "mancanza"... Un non previsto contatto e una diversa tensione, allora, si stabiliscono tutti ci si trovano coinvolti dalla totalità dei loro problemi, bisogna uscire allo scoperto, non ci si può sottrarre alla sincera verità di chi ti guarda dritto negli occhi e la cena stessa prende un non so che di definitivo; qualcuno dice "Mi sembra l'ultima cena" !

Veniva pubblicato nell’ ottobre del 1976 l'album del Banco del Mutuo Soccorso "Come in un ultima cena".
Dopo i tre "capolavori" precedenti, dopo"Banco IV", registrato per il mercato "internazionale", dopo "Garofano Rosso", colonna sonora dell'omino film. L'attesa dei fan per un nuovo album in studio (cantato in italiano) era molta. 
Questo disco fu uno "spartiacque", si abbandonarono le suite prog dei primi album a favore di una forma di canzone più tradizionale, nel senso della composizione dei brani, più ricercati e raffinati. Opera abbastanza "complessa", sia sul piano musicale che dei testi, nato in una specie di autoanalisi . Una cena dove si incontrano vari personaggi . C'è il furbo opportunista (Il ragno), il romantico idealista (E cosi buono Giovanni ma,...), l'attivista politico (Slogan), e cosi via. Il brano, "Si dice che i delfini parlino", era già pronto con un altro titolo per l'incompiuta opera-rock "San Francesco".
Per la "stampa specializzata" trattasi di album di transizione (ad avercene!), non capirono che questa "metafora" della vita dei vari personaggi del disco era lo specchio della società dell'epoca (e forse anche di quella attuale), e che il gruppo stava cercando una nuova dimensione.
Uscì per la casa discografica di EL&P "Manticore", ebbe una grande promozione, uscì anche una versione in inglese, "As in a last supper", con i testi tradotti da Angelo Branduardi, ed i notevoli "progressi" di Francesco a livello di pronuncia, rispetto a Banco IV (!!??)
Seguì in lungo tour con i "Danzatori Scalzi" ed Angelo Branduardi, ancora poco famoso; apriva i loro concerti e presentava il nuovo brano "Alla fiera dell'est", (con cui fece il botto). Ricordo di averli visti al Teatro Olimpico di Roma, allo spettacolo pomeridiano (la mia futura moglie doveva rientrare prima di cena!): che concerto! Al mixer c'era Marcello Todaro. Mi verrebbe da dire: " ho visto cose che voi umani.....".
Un grande album, maturo, che ha il solo "difetto" di essere stato preceduto da tre capolavori, ma con una liricità unica, e la voce di Francesco, antica...ancestrale (andate a ri-ascoltarlo…)
WK

Questo disco, ha anche una "copertina importante"…


Note: Copertina apribile con all'interno un disegno ispirato a "L'ultima cena" di Leonardo da Vinci e avente per soggetti i componenti del gruppo / Allegato un opuscolo cm. 22x22 di 16 pagine con una nota di presentazione all'opera a firma del gruppo, testi delle canzoni e relativi disegni a commento (vedi link "Altre immagini") / Copertina di Cesare e Wanda Monti - Illustrazioni e libretto di Mimmo Mellino / Registrato da Peter Kaukonen e mixato da Peter Kaukonen con Banco del Mutuo Soccorso presso il Chantalain Studio di Roma, nei mesi di Marzo-Aprile-Maggio 1976 / Produzione esecutiva: David Zard / Distribuito da Dischi Ricordi - Milano / Formazione: Pierluigi Calderoni - batteria, percussioni; Renato D'Angelo - basso, chitarra acustica; Francesco Di Giacomo - voce; Rodolfo Maltese - chitarre, tromba, corno, voce; Gianni Nocenzi - pianoforte, piano elettrico, sintetizzatore, clarinetto, flauto dolce; Vittorio Nocenzi - organo, sintetizzatore, solina, clavicembalo.

 Angelo Branduardi, tradusse i testi per la versione inglese "As in a last Supper" 




Cesare Monti, ideatore della copertina, racconta come è nata !

Banco del Mutuo Soccorso - Come in un'ultima cena


Attorno a questa immagine ci sono due storie incredibili. Iniziamo con la prima. Eravamo ormai al quarto Lp escludendo quello inglese. Ci fu una riunione da me, con Sandro Colombini, i fratelli Nocenzi, Francesco e gli altri. Il rapporto tra la musica e l’immagine stava diventando prioritario anche se le case discografiche non volevano vederlo, d’altronde sulla cecità dei nostri manager dovremmo stendere un velo grande come tutta la nazione. Proposi allora di fare una cosa completamente diversa, non tanto nella forma, ma diversa proprio come metodologia. L’idea era di girare un film in cui le immagini commentassero la musica, non la raccontassero ma ne fossero una visione onirica una evocazione, in quegli anni non esisteva ancora il video-clip, non c’erano ancora le video cassette ne tanto meno i dvd, ma come poteva allora essere commercializzato il disco? Lo spettatore che andava a vedere quel film avrebbe pagato con il prezzo del biglietto anche il costo molto ridotto del disco, che gli sarebbe stato dato in una busta bianca visto che la copertina erano le immagini del film. Si guardarono in faccia stupefatti era troppo per loro così si ritornò sulla terra e si progettò un qualche cosa che avesse dentro dei segni forti. A nessuno, se non a me, sarebbe mai stato permesso di fare una immagine del genere, d’altronde ero convinto che all’uscita ci sarebbe stato uno sconquasso, soprattutto da parte della Chiesa, e la cosa non poteva che farci gioco, ma non ci furono reazioni ne dalla Curia, ne da nessun altro. Ma qui nasce la seconda storia, figlia della prima, verso la fine degli anni 70 la mia situazione lavorativa in Italia era divenuta più che difficile, tragica, nessuno mi passava più del lavoro, ero considerato , troppo cerebrale, troppo difficile, poco accondiscendente a compromessi. Grazie a Nanni Ricordi conobbi l’amministratore delegato della Rolling Stones Record. Sigillai parte dello studio per non avere troppe spese mi feci prestare dei soldi dalla banca con la scusa di acquistare delle macchine, e mi trasferii da solo a New York: non ci andavo molto volentier,i lasciare moglie e figlia non era cosa che mi piaceva. I primi tempi, con l’aiuto di alcuni amici, presi in affitto una barca, di quelle stanziali al boat bease sul fiume Hudson, di fronte al New Jersey; dopo un pò mi trasferii non molto lontano da lì, alla 91 West Side. Lavorando con l’etichetta dei Rolling Stones economicamente le cose migliorarono, anche se il mio pensiero era sempre all’Italia. Un giorno fui chiamato in direzione e mi fecero sentire un pezzo, era Only on the top, il singolo del nuovo long playing di Mike Jagger come solista. Mi chiesero di fare un progetto. Presi loccasione e tornai in Italia per chiedere una mano a Vanda, disegnammo la nostra proposta che portai nel viaggio di ritorno a Parigi, agli studi Olimpya, dove stavano registrando. Il progetto vedeva Mike sdraiato su una croce con la testa verso macchina in una prospettiva mantegnana, vestito solo con un panno ai fianchi e con ai piedi delle scarpe da tennis; la croce stava ancora a terra su un crinale come sfondo le balze di Volterra. Mike stringeva nella mano un martello che picchiava con forza a cacciare un chiodo dentro al palmo dellaltra, ferma sullasse della croce, era unautocrocifissione. Allinterno una serie di informazioni che avevo chiamato Do it yourself spiegavano come costruirsi i chiodi il martello la croce, gli oggetti fotografati erano tratteggiati in modo da poterli ritagliare. Il progetto fu accolto con entusiasmo. Intanto ero tornato a New York, passarono più di due mesi. Un giorno chiesi che succedeva del mio progetto, la risposta fu sconcertante: avevano sottoposto la proposta ai più grandi magazzini negli Stati Uniti e in Inghilterra la risposta era che una copertina del genere non l’avrebbero esposta, perché lesiva della moralità quindi non se ne faceva nulla. La cosa in sé non mi meravigliava più di tanto, se i punti vendita ti danno delle risposte simili l’industria che mira al profitto non poteva non tenerne conto, ma che i Rollig Stones si sottomettessero a queste regole, quando in Italia terra del Vaticano del Papa e dei cattolici, nessuno si era indignato per una immagine molto più blasfema tutto sommato, mi sembrava troppo. Ma il culmine dell’assurdità fu la ragione dello scandalo che non stava nel vilipendio religioso, ma nella moralità dell’immagine, il fatto che Mike Jagger fosse nudo con solo una piccola striscia a nascondere le sue grazie. Era finito un sogno, era finita un’epoca, almeno per me.





martedì 24 ottobre 2023

L & F – “Lost and Found”- Commento di Alberto Sgarlato


L & F – “Lost and Found” (2023) 

di Alberto Sgarlato


Dietro l’originale pseudonimo di L & F (abbreviazione di Lost and Found, il nome tecnico che nei paesi anglosassoni si dà all’ufficio oggetti smarriti) si cela in realtà Andrea Bisaccia: artista cresciuto con una solida e sincera gavetta “come una volta” con le cover band su e giù per i locali e i pub della Riviera Ligure e con un viscerale amore per tutto ciò che è stato il rock degli anni ‘90, in particolar modo per il grunge.

In questo suo album, intitolato appunto “Lost and Found” (in questo caso però scritto per esteso) e pubblicato il 10 ottobre 2023 su tutte le principali piattaforme digitali, l’artista (ligure d’origine ma da anni ormai trasferitosi in Toscana) ha composto tutte le tracce, ha cantato e ha suonato tutti gli strumenti, avvalendosi di collaboratori esterni soltanto per le parti di batteria e per il mastering finale dell’album.

L’uscita del disco (anche se, nell’era dello streaming, parlare ancora di “disco” può risultare anacronistico), è stata preceduta dal singolo di lancio “Supertechnologies”, una traccia in cui soprattutto le melodie del cantato e l’uso dei bending “urlati” della chitarra richiamano immediatamente all’epoca d’oro dei Nirvana.

Fatte tutte queste premesse, però è giunto il momento di mettere in chiaro due punti fondamentali. Il primo è che questo non è affatto un disco derivativo: la cifra autoriale di Bisaccia è perfettamente a fuoco e la sua scrittura è carica di tensione, intensa, matura e personale. Il secondo aspetto è che non si tratta di un lavoro immediatamente ascrivibile a un genere o un filone, seppur concepito sotto il brillare della stella del grunge. Bisaccia, infatti, non ha alcun timore ad osare e a sperimentare nel corso delle otto tracce che costituiscono l’opera. E lo dimostra ad esempio già a partire dalla seconda traccia “Thoughts and clouds” dove, pur partendo da un assunto grunge, l’incedere si fa più granitico, marziale, quasi al confine con certo psych-stoner di nomi come Kyuss e Queens of the Stone Age. Queste atmosfere lente e “desertiche” si fanno ancora più accentuate negli oltre 5 minuti di “Dogs without leash”, uno dei picchi dell’intera opera, dove il contrapporsi di chitarre, ora arpeggiate e più pulite, ora dalle note lunghe e sofferenti, ora volontariamente e apertamente dissonanti, genera sensazioni ipnotiche degne dei migliori Jane’s Addiction.

Dopo tante dilatazioni spaziotemporali a riportarci con i piedi per terra ci pensa la malinconica ed intimista “Coffee on the table”, molto toccante nelle sue atmosfere.

Bisaccia imbraccia la chitarra acustica per la prima volta in tutto l’album con “Lost in you”. Pulisce i suoni e, di riflesso, “pulisce” anche il suo cantato, che rispetto alle interpretazioni precedenti, più graffiate, si fa qui delicato e quasi sussurrato. Minimi tocchi di percussioni impreziosiscono il tutto. L’aggiunta di momenti che sembrano ad ogni istante lanciare un crescendo ma sfumano subito contribuisce ad accentuare il pathos di questa traccia, fatta di continui picchi emozionali. Altro momento di commovente intensità in un lavoro tutto giocato su ottimi livelli.

Ma la quiete è destinata a svanire: immediatamente si crea una brusca contrapposizione con “Kickboxing man”. La partenza di questo brano è forse la più aspra, nelle sue cupe distorsioni, dell’intero lavoro; ma le sorprese sono date dalla cangiante varietà dell’interpretazione cantata (più nasale nelle strofe, più rabbiosa nei bridge) e di conseguenza del grado di distorsione degli arpeggi che accompagnano la voce. In meno di 4 minuti le variazioni psichedeliche, anche nelle aperture strumentali, si susseguono senza sosta.

Il rock energico, diretto, ipnotico maggiormente caro a Bisaccia lo ritroviamo verso il finale con “Then you are”; a mettere la parola “fine” al tutto ci pensano i due minuti abbondanti di “Good night”, altra ballad psichedelica in equilibrio sul filo tra malinconia e sperimentazione.

Concludendo: un gran lavoro, che farà felici tutti coloro che ricordano con nostalgia un determinato decennio, quello degli anni ‘90, ma che sarà capace di conquistare tutti gli appassionati del buon rock grazie ad un songwriting ispirato e sempre godibile. 





domenica 22 ottobre 2023

Valeria Caputo – “Habitat” - Commento di Alberto Sgarlato

 



Valeria Caputo – “Habitat” (2023) 

di Alberto Sgarlato


La cantautrice tarantina Valeria Caputo gode di un curriculum di tutto rispetto. Laureata in un percorso di studi legato alla musica elettronica al Conservatorio di Bologna e diplomata in musica interattiva per arti digitali al Centro di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo (Cuneo), ha già esplorato nel suo passato i percorsi musicali più eclettici ed imprevedibili, spaziando dal folk della West Coast statunitense fino a tributare il songwriting raffinato di una artista come Joni Mitchell.

Con questo suo nuovo “Habitat”, terzo album in studio (oltre a un paio di colonne sonore e sonorizzazioni) e primo in lingua italiana, Valeria Caputo (che sovente si firma soltanto come Caputo) esplora molti dei territori suddetti e numerosi altri. In circa mezz’ora di ascolto, infatti la musicista di Taranto “sballotta” l’ascoltatore da situazioni più “convenzionali”, legate alla melodia e all’immediatezza del cantautorato, ad altre invece assolutamente spiazzanti, a base di ricerca sonora elettronica e di free-jazz.

Habitat” non è un concept-album, ma è piuttosto un disco con un fil rouge. Tema ricorrente è infatti quello della “casa”, ma casa può voler dire tantissime cose. E, infatti, le varie declinazioni di questo tema scorrono tra i vari brani dell’album.

Casa come oggetto-simbolo in una società capitalista, casa come appartenenza, casa come dolore nell’essere strappati talvolta dalle proprie radici (all’inizio di queste righe sono stati menzionati Taranto, Bologna, Cuneo, oggi Valeria vive da tempo a Forlì, quindi questi brani sono narrazioni di storie altrui ma anche proiezioni di un vissuto interiore).

Il nostro corpo è il “Tempio della nostra anima, ed ecco che quindi casa siamo noi stessi: il corpo raccontato dal punto di vista della donna, come in “La mia città che sull’acqua brucia”, o “Mel”, brano dedicato alla compositrice Mélanie-Hélène Bonis, costretta nella sua vita artistica a cavallo tra Ottocento e Novecento a ricorrere a pseudonimi pur di far conoscere le proprie composizioni in un ambiente decisamente maschilista. Il nostro pianeta è la nostra casa, quindi non mancano chiari riferimenti ambientalisti.

Circa mezz’ora di musica, dicevamo, che si apre con “Ma quale casa?” e la memoria vola subito al Franco Battiato degli esordi o al Claudio Rocchi del suo periodo meno acustico e più sperimentale: effetti sonori di cicale e di passi, legno e cigolii ci accompagnano verso ronzii cupi di sintetizzatore. Voci recitate dal tono rassicurante leggono annunci immobiliari o testi di spot pubblicitari di prodotti igienici; le voci e i loro campionamenti “rimbalzano” da una parte all’altra dello spettro audio, da destra a sinistra delle vostre casse o cuffie, mentre in lontananza si percepisce appena per un secondo la melodia di “Era una casa molto carina…”

Meno di due minuti per “Vieni”, delizioso acquerello acustico affidato a una chitarra fingerpicking e al pianoforte, tra atmosfere quasi brasiliane, ma anche in parte assimilabile ai linguaggi di artiste come Cat Power o Cocorosie.

La “malinconia brasiliana” della traccia precedente diventa ancora più forte in “La mia città che sull’acqua brucia”; le strofe “se avessi saputo di questo grembo vuoto…” pongono l’accento su un tema ancora oggi visto come un tabù nella società, quello della non fertilità della donna, al punto che il coro conclusivo si trasforma in una dolorosa ninna nanna, con la chitarra che si “sporca”, distorce il suo suono e “ruggisce” sempre di più.

Dopo due brani in sequenza dominati dalle chitarre è il momento di una traccia dove invece è il pianoforte il re della scena. Non a caso è il brano “Mel”, dedicato a Mélanie-Hélène Bonis, che era proprio una pianista. E c’è un pizzico di Wim Mertens nelle trame minimaliste e nei rarefatti tappeti quasi ambient del brano.

Con “Taras”, un’altra delle tracce più sperimentali del disco assieme a quella d’apertura, la parola recitata, il rumorismo, l’elettronica, un massiccio uso del sax totalmente free-jazz e un testo che unisce i temi delle migrazioni, del territorio, del rilancio economico e culturale e dell’inquinamento ci portano verso un risultato finale che fa pensare agli Area e al movimento Rock in Opposition.

Altro brano, altre situazioni, altre atmosfere: a dimostrazione dell’eclettismo dell’artista ecco che “Sulla Strada Statale” è un tango in piena regola, con tanto di fisarmonica e tempo di tre quarti. Cambiano i suoni, cambiano le atmosfere, ma ritornano i temi della traccia precedente: il viaggio, la difesa del territorio, l’inquinamento; “Cade ruggine tossica anche su Gesù Bambino / è a Sud dello Stivale che si è posata quella nuvola / si posa piano sul futuro / si riflette nel mare”, sono alcune delle strofe cariche di dolore di questo testo.

Dopo la profonda amarezza di questi brani, invece “Riconoscersi” è una ventata di allegria e di positività, sia nelle musiche dal sapore quasi afro-caraibico, sia nel testo che comunque, pur in tono diverso rispetto alle canzoni, prosegue nel suo messaggio sociale: “La mia casa è dove c’è attenzione / il rispetto, la comprensione / la mia casa è fatta di empatia / se mi dici ‘ciao’ allora sei a casa mia / la mia casa è anche la tua / io sono a poppa, tu sei a prua / siamo tutti nella stessa barca / non c’è padrone o patriarca”.

Speranza, energia, positività per un brano che regala un sorriso dopo l’oscurità. Un brano sull’amicizia tra le singole persone ma anche tra i popoli.

Dove finisco io” è in realtà anche dove finisce l’album. E dopo aver sentito un tripudio di strumenti che impreziosivano le varie tracce, per salutare l’ascoltatore diventano protagoniste le voci, tra armonizzazioni e cori che custodiscono persino un qualcosa di mistico e sacrale.

Le registrazioni sono iniziate nell’estate del 2022 e il mixaggio finale si è concluso nell’estate del 2023. Un anno di lavoro per portare a termine un album che si afferma come una gemma non incastonabile in generi o stili ma totalmente libera e cangiante.





sabato 21 ottobre 2023

Franco Mussida riceve il Premio Internazionale Cilento Poesia sezione Musica-Il racconto di Michele Pisaturo

 


Il 10 ottobre a Salerno è andato in scena il

 Premio Internazionale Cilento Poesia

Reportage di Michele Pisaturo

 

Michele Pisaturo era presente e ha commentato così la manifestazione…

Il Premio Cilento Poesia, nasce nel 2017, grazie a Menotti Lerro, poeta, giornalista, cultore del linguaggio e dell’arte in molteplici espressioni. La finalità è celebrare e divulgare cultura, legandola a doppio filo con la meravigliosa area del salernitano. Il premio assegnato a prestigiosi poeti, quest’anno ha aperto le sue porte alla narrativa, all’arte visiva e al design e alla musica. La lodevole iniziativa è sostenuta e patrocinata dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino e da enti (Regione e Università di Salerno, solo per citarne alcuni), quindi, nella serata di consegna del riconoscimento, hanno inevitabilmente condiviso il palco, artisti e rappresentanti istituzionali, con la regia del bravo presentatore.

Per la sezione musicale sono stati scelti Franco Mussida e Bernardo Lanzetti.

La presenza di due musicisti rock in un contesto artistico, comunque abbastanza formale, sarebbe stata difficilmente immaginabile per gran parte della loro carriera: agli inizi la loro opera suscitava diffusa diffidenza tra i critici, almeno quelli legati alla tradizione, superata la metà degli anni Settanta, anche da molti di quelli autoproclamatisi innovativi, spesso dediti a denigrare capacità tecniche e qualsiasi forma di ricerca, complessità o originalità in ambito musicale.

I “Capelloni”, giovinastri equivoci, stravaganti e di cattivo gusto, si erano trasformati in pochi anni, non ancora trentenni, in “Dinosauri”, esponenti di tradizione ed estenuante cultura.

La consegna del Premio Cilento Poesia è stata preceduta dalla lettura delle motivazioni alla base della scelta, impeccabili e utili a presentare gli artisti, ma per Mussida e Lanzetti, manchevoli nel riconoscimento di meriti non trascurabili, specialmente per i protagonisti di un ambito popolare e dallo straordinario potenziale economico: essere stati coerenti con i loro vissuti artistici e aver saputo accrescere la loro opera sia al cospetto delle sirene incantatrici del successo sia lontani dalle luci della ribalta. Lo spessore della loro personalità è emersa dirompente sul palco della “Sala Pasolini” di Salerno: nelle brevi interviste, mai banali, e nella scelta dei tre brani eseguiti da ciascuno di loro, nessuno degli Acqua Fragile e della Premiata Forneria Marconi. Artisti di razza, non in cerca di facili consensi, capaci di sorprendere e incantare: Lanzetti, con la sua voce in continua evoluzione, spaziando da una cover di Bob Dylan a Donna Giovanna, la storia di una versione femminile di Don Giovanni, dal suo prossimo disco solista, per la prima volta eseguita in pubblico, Mussida con il suo tocco magico.

Elogi e attestati di stima sono piovuti dagli altri artisti premiati e dai rappresentanti delle istituzioni, diretti anche a Lino Vairetti, presente in sala, con discrezione, animato della sua immutata passione ed empatia (personalmente avrei già qualche motivazione valida per il conferimento del premio per il prossimo anno…). Quanto tempo c’è voluto per riconoscere in Capelloni e Dinosauri artisti capaci di influenzare il loro tempo. E, per fortuna, ancora non hanno finito.


I contenuti video sono di Fabrizio Sarno





Francesco Di Giacomo ricordato da Wazza il giorno 21 di ogni mese


"La guerra è un posto dove i giovani che non si conoscono e non si odiano, si uccidono, in base alle decisioni prese da vecchi che si conoscono e si odiano, ma non si uccidono... ”

 (Paul Valéry)

 

 

21 Ottobre

 

Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano

Wazza


Il ricordo di Marco Maraviglia 

1995 

Durante una di quelle conferenze stampa che piacciono a me: buffet self-service e bollicine.

Questo signore si chiamava Francesco Di Giacomo ed è stato il fondatore e cantante del Banco del Mutuo Soccorso.

Autore di testi che sono esempi di grande cultura letteraria italiana. Poesie.

Non ho mai imparato una poesia a memoria a scuola, non ho mai avuto memoria io e maestra e genitori non capivano che problemi avessi

Da ragazzo però imparai a memoria alcune canzoni, poche, di Finardi, di Bennato e poi "Non mi rompete" di Francesco.

Il primo concerto che vidi nella mia vita fu quello del Banco del Mutuo Soccorso.

Dicembre 1977. Avevo 12 anni. Andai con mio fratello e con la sua folta combriccola dell'epoca.

Al Palazzetto dello Sport di cui oggi sono rimaste solo rovine.

Il supporter che suonò prima del Banco fu Angelo Branduardi che fu una grande rivelazione.

Fuori ai cancelli c'erano gli autoriduttori.

Erano quelli che «il prezzo del biglietto è troppo alto» e riuscivano sempre ad entrare a gratis dopo un paio di pezzi dall'inizio del concerto.

I concerti all'epoca costavano 500 lire. Circa 0,25 euro di oggi.

Bei tempi.

Quella sera gli autoriduttori entrarono prima del concerto. La polizia non riuscì a contenerli.

Noi eravamo sulle gradinate frontali al palco.

Vidi questa folla di ragazzi che stavano conquistando il campo e improvvisamente da dietro al palco uscì Francesco Di Giacomo che si rimboccava le maniche correndo verso questi "facinorosi".

Scapparono tutti da lui.

Francesco all'epoca poteva pesare un 120 Kg, almeno ai miei occhi.

Chi non poteva temere una massa del genere contro di sé.

Gli animi si acquietarono e il concerto iniziò.

Rivedere da vicino dopo 18 anni Francesco Di Giacomo mi fece un certo effetto ricordando quell'episodio.

Era pacato e simpatico.



 

venerdì 20 ottobre 2023

La delusione di Claudio Milano nella sua missiva a MAT2020

A causa dell’impossibilità nel trovare una label interessata alla pubblicazione con relativa offerta di rassegna stampa e booking de L’Inferno dantesco al quale ho lavorato negli ultimi quattro anni, I Sincopatici, musicisti con i quali lavoro, mi hanno portato alla non facile scelta di pubblicare integralmente su Youtube il DVD-film del cineconcerto/spettacolo registrato a Piacenza a piste separate e con multicamera.

Che almeno il video abbia adeguata diffusione: 

https://www.youtube.com/watch?v=grvZ5Icy6N8


Nella speranza di individuare location adeguate dove riproporre lo spettacolo e una label interessata alla stampa del CD fisico (registrato a Varese nel 2021), assieme DVD video stesso.

Buona visione

Claudio Milano

Tel: 3402473626