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martedì 30 aprile 2024

Anandammide – “Eura”-Commento di Alberto Sgarlato

 


Anandammide – “Eura” (2024)

Sulatron Records

di Alberto Sgarlato


Michele Moschini, polistrumentista italiano che vive in Francia, ha da poco consegnato alle stampe un secondo capitolo del suo progetto Anandammide, a quattro anni di distanza dall’esordio “Earthly Paradise”, del 2020.

In realtà, la parola “esordio” in questo caso è relativa esclusivamente agli Anandammide, appunto: perché il nome di Moschini, sulla scena musicale italiana e internazionale più alternativa, è ben noto da decenni.

L’ideatore e compositore definisce il genere di questo secondo album, intitolato “Eura”, come “folk psichedelico utopico”. E sinceramente ci permetteremmo di aggiungere una ulteriore parola a questa definizione: ed è “cosmopolita”; sia per le vicende personali, di italiano all’estero, di Michele Moschini, sia perché il nutrito team di collaboratori conta attorno a lui musicisti e tecnici italiani, inglesi, francesi e svedesi. E, in un periodo purtroppo tristemente buio, drammatico e denso di tensioni internazionali come quello che il Pianeta Terra sta vivendo in questi anni recenti, è bellissimo respirare veramente un’aria “utopica e cosmopolita”, come quella che affiora dalle dieci, intense, splendide tracce di “Eura”.

Esattamente: l’opera è concepita proprio come un vinile di un tempo, con cinque tracce per facciata di varie lunghezze. E tutto suona molto vintage, tra deliziosi intarsi di strumenti acustici, corpose armonie vocali maschili e femminili, struggenti vagiti di sintetizzatori analogici proto-progressivi e tremolanti tappeti di string-machines.

Il nostro Moschini si prodiga tra chitarre, tastiere d’epoca di vario tipo e batteria, oltre che al canto; ben coadiuvato da una formazione che (dato statistico interessante) annovera molteplici “quote rosa”: la cantante Lisa Isaksson, la flautista Audrey Moreau, la violinista Stella Ramsden. La “squadra” è completata da Sebastien Grignon (violoncello) e due bassisti che si avvicendano: Lelio Mulas e Pascal Vernin. Infine, Lorenzo Castigliego dona un cameo solista chitarristico alla title-track. Come si può capire da una line-up così variegata, non siamo di fronte a una vera e propria band, ma più a un “progetto modulare”, nel quale svariati ospiti sono funzionali alle esigenze creative di Michele Moschini e al suo cantautorato folk/psych/prog. Ovviamente, per questioni logistiche, le registrazioni sono avvenute in varie città europee e sapientemente amalgamate tra loro da David Svedmyr (mixaggio) e da Oscar Larizza (mastering finale).

E partiamo dunque con “Carmilla”: un inizio tra il folk irlandese e il ricordo di autori come Donovan o Cat Stevens sfocia, attorno al secondo minuto, in una affascinante e solenne digressione tastieristica.

A song of greed” è, per chi scrive questa recensione, uno dei picchi dell’album, con quella sua splendida, lunga introduzione strumentale canterburyana, mentre il cantato a due voci evoca certi Renaissance. 

Post atomic reverie”, caratterizzata da un gran lavoro di flauto e violoncello, è – ancora una volta – in elegante equilibrio tra folk e prog, grazie anche agli arpeggi e ai tappeti delle tastiere, che restano più sulle retrovie.

I tappeti del Mellotron affiancato dal violoncello e un basso energico e pulsante, fanno di “Phantom Limb” uno dei capitoli più prog-rock dell’intera opera e, di nuovo, uno dei più riusciti.

I am a flower”, dopo un inizio molto intimista e malinconico, ci porta verso un finale “cameristico” giocato tra tastiere e strumenti ad arco, un ipotetico ponte attraverso la storia del “dream rock”, tra il Robert Wyatt degli anni ‘70, i Mercury Rev di fine anni ‘90 e il Sufjan Stevens di oggi.

La title-track apre quella che possiamo considerare la seconda facciata dell’opera. E la partenza del brano è una delle più “orchestrali” di tutto il lavoro, tra archi, flauti e sintetizzatori. Il cantato femminile, unito a questi robusti arrangiamenti rock e barocchi allo stesso tempo, evoca remotamente i Curved Air, oltre ai già citati Renaissance. Meraviglioso, a due minuti circa dalla fine, l’intervento chitarristico di forte sapore hackettiano. 

The orange flood” è invece uno dei momenti più legati alla psichedelia più cupa, tra suggestioni barrettiane e pinkfloydiane degli esordi.

Lullaby n.2”, con i suoi arpeggi di chitarra, sposta la bussola dal folk inglese a un sound da rock-ballad più a stelle e strisce, persino con impalpabili echi di Boston, Styx degli esordi e Pavlov’s Dog. 

Dream n. 1” è una traccia intrisa di grande malinconia, ancora con lievi sfumature legate al Canterbury sound nelle linee melodiche (Caravan, Hatfield & the North). 

E ci salutiamo con “The anchorite”, episodio profondamente intimista ma di grande potenza evocativa che, in qualche modo, rappresenta un po’ la summa stilistica dell’album.

Concludendo: Michele Moschini è un autore dalla penna decisamente raffinata. La padronanza di molteplici strumenti, l’evidente preparazione musicale, non solo in termini tecnici ma anche di conoscenza di tanti linguaggi diversi dagli anni ‘60 a oggi, e la capacità di circondarsi di ottimi collaboratori per offrire arrangiamenti sempre variegati, fanno sì che abbia saputo crearsi una sua cifra stilistica personalissima, elegante e riuscita. E questo ottimo album ne è la prova.


TRACKLIST

01. Carmilla

02. A song of Greed (secondo singolo)

03. Post-Atomic Reverie

04. Phantom Limb

05. I am a Flower

06. Eura (primo singolo)

07. The Orange Flood

08. Lullaby n.2

09. Dream n.1

10. The Anchorite


MUSICISTI

MICHELE MOSCHINI: voce, chitarre, synth, organo, batteria

LISA ISAKSSON: voce

AUDREY MOREAU: flauto

STELLA RAMSDEN: violino

SEBASTIEN GRIGNON: violoncello

LELIO MULAS: basso

PASCAL VERNIN: basso

LORENZO CASTIGLIEGO: assolo di chitarra elettrica su Eura





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